giovedì 13 agosto 2009

Distruggerò tutti i pianeti civilizzati

Stardust, The Super Wizard di Fletcher Hanks

Negli Stati Uniti, con la new wave degli autori indipendenti degli anni ’90, quelli che oggi sono la base del rinnovamento del medium e che hanno per molti versi raccolto l’eredità dei fumettisti underground degli anni ’70, è venuto alla ribalta un nuovo modo di conoscere la storia del fumetto statunitense (e non solo). Questi autori – Seth, Clowes, Ware, Karasik, Burns, ecc. – hanno costruito le loro sperimentazioni e innovazioni collegandosi in modo più o meno diretto agli autori che hanno dato vita alla prima vera rivoluzione culturale del fumetto, negli anni ’30 e ’40. Seth, per esempio, ha reso omaggio in modo esplicito al suo immaginario derivativo con il suo ultimo lavoro Wimbledon Green, di cui ho già parlato, e nel quale con il pretesto di raccontare la vita e i misteri del più grande collezionista di fumetti, ripercorre modalità e stilemi propri del tempo che furono, rielaborati attraverso la propria sensibilità. Chi più chi meno, questi autori sono innanzitutto degli appassionati, se non degli “archeologi” del fumetto passato. Lo stesso Ware, con le sue collaborazioni alle ristampe di Krazy Kat o di Gasoline Alley, per non parlare dei suoi lavori originali (Jimmy Corrigan, Quimby the mouse) offre continue rielaborazioni e omaggi a un modo di concepire il fumetto che risulta oggi più attuale che mai.

Il loro punto di vista è, semplificando, il seguente: con la nascita del fumetto mainstream e in conseguenza delle politiche delle major (anche a seguito dell’istituzione del famigerato comics code authority) l’evoluzione del medium si è fermato e, per molti versi, ha fatto decisi passi indietro, sia sul piano dei contenuti che della forma. Secondo loro, non a torto, si seminò molto più nei primi anni Quaranta del secolo scorso che nei successivi trenta, quaranta. Con alcune eccezioni, naturalmente. Da qui, la decisione molto chiara di riprendere quella lezione come nuovo punto zero e rielaborarla, rimettendo in moto l’evoluzione della nona arte per le nuove generazioni. Se per decine e decine di autori il riferimento, il punto da cui partire è stato Jack Kirby, per Ware e compagnia si deve tornare più indietro, ai tempi di McKay e imparare da lì.

In questo contesto, nasce una nuova mitologia degli autori e delle serie “scomparse”, artisti e personaggi di cui si sono perse le tracce, che solo attraverso un approccio “archeologico” è possibile rintracciare. Ne racconta ancora, e con maggior efficacia rispetto a Wimbledon Green, sempre Seth nel libro La vita non è male malgrado tutto (Coconino Press), attraverso la finzione, ma immaginate cosa può accadere quando un tale evento accade davvero.

È il caso recentissimo della riscoperta di Fletcher Hanks da parte di Paul Karasik. Hanks è stato una meteora del fumetto statunitense. Ha lavorato per pubblicazioni della Fox, della Fiction House e della Timely Publications per tre anni (1939-1941) fino alla sua misteriosa scomparsa. Non solo le sue opere risultano quasi introvabili, ma anche le vicende umane dell’autore sono per lo più sconosciute e misteriose. Per queste ragioni, Fletcher Hanks (usò anche gli pseudonimi Henry Fletcher, Barclay Flagg o Hank Christy) assurge a mito esemplificativo del lavoro di riscoperta di un patrimonio culturale dimenticato, per il quale Paul Karasik spende buona parte del proprio tempo. È proprio attraverso le sue ricerche, che sono tornati alla luce alcuni lavori di Hanks che la Fantagraphics Books ha pubblicato in due volumi da non perdere, I shall destroy all the civilized plantes e You Shall Die by Your Own Evil Creation.
Le storie di Hanks sono sorprendenti. Ricordatevi, siamo alla fine degli anni ’30, agli inizi del boom dei comic-book. L’autore ha uno stile grezzo, estremo nell’impostazione delle fisionomie e delle espressioni dei volti. La conduzione della narrazione è schematica, sintetica, ma al contempo affascinante. Le storie sono violente, dirette e chiuse. Hanks è apparentemente superficiale e di certo non sofisticato, ed emerge una sensibilità (inconsapevolmente) ironica e decisamente manichea. I suoi personaggi sono granitici e per questo fortemente iconici ed evocativi. Hanno nomi improbabili come Stardust, The Super Wizard (un extra-terrestre potentissimo che combatte il crimine in tutto l’universo) e Fantomah Mystery Woman of the Jungle (ritenuta il primo supereroe donna del fumetto statunitense) e si configurano come torbide e grottesche rappresentazioni dei supereroi classici.
Le storie di Hanks hanno un fascino vicino alla perversione, a mio avviso. Il suo stile è a tratti fastidioso e indisponente, tanto quanto accattivante e ipnotico, tremendamente pop. Non sorprende quindi l’entusiasmo di Karasik e della critica (I shall destroy all the civilized plantes ha vinto un Eisner l’anno passato): Fletcher Hanks è l’esemplificazione della mitologia delle “nuove generazioni” di fumettisti che al passato ritornano per ritrovare un’energia iconica, visiva e rappresentativa che, rielaborata, è in grado, secondo questi autori, di portare il fumetto nel nuovo millennio.

Harry.

2 commenti:

  1. Da quel poco che vedo qui sembra davvero molto interessante questo autore, lo stile sembra una rivisitazione attuale dell'estetica anni 30/40, appunto.
    Grazie per la segnalazione...

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  2. ciao patrizia.
    in realtà le tavole SONO degli anni '30-'40.
    l'autore è stato riscoperto da poco da karasik, come spiego nell'articolo.

    harry

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