venerdì 29 aprile 2011

La lunga lunga guerra dei mondi

 copertina di n.n. 239, di de angelis


Su Nathan Never 239 inizia la Guerra dei Mondi, una saga che durerà circa un anno. Se ne parla da anni. Davvero. Credo si tratti della più lunga preparazione a una saga che una serie italiana abbia mai avuto.
I Pretoriani (Vigna, Bonazzi) si sviluppa su due binari paralleli. Il primo, quello coperto, riguarda le indagini che conduce l'Agenzia Alfa, al buio su tutto, su presunte collusioni e corruzioni tra pubblico e privato di dimensioni (extra)planetarie. Il secondo, quello scoperto, in cui ai lettori tutto è svelato, ci racconta di quella corruzione e delle sue possibili conseguenze prima ancora che le indagini dell'Agenzia portino da qualche parte. Uno sviluppo di questo tipo, senza reali colpi di scena, risulta noioso e meccanico e ridondante. Non aiuta un Bonazzi stiracchiato. Ma in realtà è Vigna che appare intrappolato. Forse da necessità più ampie di un singolo numero, e la fabula di un'ampia saga può sacrificare alcuni sviluppi, alcuni singoli episodi. Lo so, è una sciocchezza, ma lo abbiamo visto succedere più volte; è una delle regole non-regole del fumetto seriale.  Il problema è che qui la meccanica socio-politico-economica che struttura la storia è inutilmente complessa (apparentemente), ma il suo svolgimento è banalizzato e sacrificato ai meccanismi dell'avventura.
Le premesse non sono convincenti, quindi. Staremo a vedere.
Che la saga non si riduca, semplicemente, a una maxi-serie nella serie.

Harry

mercoledì 27 aprile 2011

Il filo di Antonio



Negli anni ’80 Antonio Faeti scriveva una rubrica su Comics Art che molto si avvicina a quello che potrebbe essere un blog di critica fumettistica dei giorni nostri. Quegli scritti, reperibili in un bel volume di Coniglio Editore del 2008 (La freccia di Ulceda), ci riportano le impressioni di Faeti in occasione dell’uscita del primo numero di Dylan Dog, della morte di Jacobs, della morte di una delle sorelle Giussani, del fumetto erotico in relazione all’esplosione dell’emergenza AIDS, ecc. Insomma, una raccolta di stimoli, idee e sollecitazioni nate dai più diversi territori dell’Immaginario. Per filo conduttore, il fumetto, di cui Faeti è studioso acuto e indomito.
A leggerle, quelle riflessioni diaristiche degli anni ’80, così aperte alla società e al mondo, così oblique ma chiarissime, così indipendenti, colte ma mai pedanti o violente, viene da pensare alla necessità di raccogliere oggi quel filo di discorso interrotto, di appropriarsene e di svolgerlo nel quotidiano di una critica sul fumetto meno frammentata, iper-specializzata, più intuitiva e decisa, anche impropria, ma determinata e stimolante. Le nuove tecnologie rappresentano un’ottima occasione per un discorso sul fumetto che sia meno schematico e riduttivo di quello che spesso ci capita di leggere. Certo, per Faeti la rubrica su Comic Art era un piccolo, tangenziale pezzetto del suo lavoro di studioso, delle sue riflessioni da pedagogista e critico, che hanno portato negli anni alla produzione di molti brillanti libri e a un lavoro costante di divulgazione sul fumetto e non solo. Eppure, anche in quei brevi scritti, si respira un impegno, una dedizione e una volontà rare, che è bene ricordare e imitare.

Harry

martedì 19 aprile 2011

Palmiro è il nome mio



Ero convinto di averti già parlato di Palmiro.
Ma ho controllato e non l'ho fatto. E se non l'ho fatto è colpa di Palmiro. Lo sai, è un tipo così, che si dimentica. Di Palmiro c'è una storia editoriale, una storia sentimentale, una storia cronologica e una storia diacronica.
Le sue tracce più recenti e consistenti le trovi in due libretti pubblicati da Double Shot, si intitolano My Name Is Palmiro 1 e 2, una cosa semplice, che dimentichi.

Ti parlerò di quel che trovi nel primo libro. Il secondo è una storia a parte, forse anche più bella e sarà per un'altra volta. Ma il primo ha una copertina gialla, ha per sottotitolo A la recherche du temps perdu, in francese, così come vuole il poeta, ed è un piccolo viaggio nel tempo.
Il libretto ha molti strati, come le cipolle.
Primo strato, le singole strisce di Palmiro, il paperotto sfortunato, idolo delle fidanzate lontane. E ci sorridi.
Il secondo, è una ricostruzione sentimentale della storia di Palmiro, come è diventato quel che è, ovvero un perdente in amore, e come è nata la sua relazione a distanza. Ci sorridi meno. Perché ti immedesimi.
Il terzo, è un percorso editoriale, implicito, sghembo, su come Palmiro il personaggio a fumetti è nato e si è evoluto. E qui, a posteriori, ti chiedi come il suo papà Ciantini sia riuscito a coniugare Kandinsky e Barks, ma te lo chiedi con quel sorrisino compiaciuto che nasconde un pensiero: certo, è un fumetto, è naturale che succeda. Il fumetto è proprio questo (e se non sei convinto, chiedi a Faeti e te lo sa spiegare molto bene). Palmiro, insomma, è una scoria di immaginario che esiste perché Ciantini lo ha generato, perché Double Shot lo ha riproposto in libro.
Il primo libro ha un gusto leggero, divertito, vagamente ma radicalmente metanarrativo, che ricorda (anticipa) uno stile narrativo leggero divertito e metanarrativo che ritrovi per esempio in Makkox e in autori così, quelli che non stanno tanto a farsi le menate sulla complessità di una produzione, di quelli che improvvisano, che lasciano che le cose gli accadano, le invenzioni arrivino. Ci sono molti precedenti, ci sono alcuni esempi recenti. Palmiro è lì, forse a marcare un segno in questa direzione.
E forse potremmo parlare anche del quarto strato, che è filosofico, che ha a che fare con la crescita, con il nichilismo post-adolescenziale che rimugina sugli amori inutili dell'adolescenza. Oppure fermarci al gioco linguistico della variazione sul tema, di come la ricorsività si rinnova, striscia dopo striscia. Ma preferisco fermarmi qui, anche perché alla fine arriva il colore e poi il secondo volume che, come ti ho detto, è una storia diversa.
Ed è vero, anche le cipolle fanno scendere le lacrime quando le sbucci, ma purifica, serve a purificare.

Harry




tutti i disegni sono di sauro ciantini

venerdì 15 aprile 2011

E intanto... grazie a Gianluca

 gianluca costantini


Gianluca Costantini ha da qualche tempo ripreso a realizzare i suoi political comics.
Per posta, mi arriva oggi il ricordo al compianto Vittorio Arrigoni. Non c'è pace.
Stay human.

Harry

L'impossibile critica (3)

il fumetto con protagonista la pornostar jenna jameson



Oltre l’autore/eroe ci sono le logiche di mercato. Si parla di industria culturale (termine utilizzato per la prima volta da Adorno e Horkheimer negli anni ’70 per evidenziare l’ambiguità e la conflittualità proprie dell’arte della modernità), di fette di mercato per ogni singolo prodotto artistico.
Il dato di fatto è che la maggior parte degli autori/artisti di fumetti esterni al circolo dei prodotti seriali, in Italia come negli Stati Uniti, difficilmente può pagarsi da vivere con quello che produce. Puoi leggerne un interessante approfondimento qui, a firma di Andrea Queirolo. E le problematiche degli autori sono l’epicentro di un fenomeno più ampio, dove anche gli Editori spesso faticano a raggiungere il pareggio e dove i Distributori risentono fortemente delle pressioni economiche e dell’indebitamento collettivo, ovvero sopravvivono a stento o chiudono.
Secondo una logica strettamente di mercato, se il fumetto non si paga da vivere è utile? Si direbbe di no.
Nel mercato occidentale, guidato da paradigmi ormai vecchi, frustrato da speculazioni sempre più grandi e rapide, si è via via accentuato il principio secondo il quale è necessario produrre a tutti i costi, pena la chiusura delle aziende e la perdita di lavoro. La produzione si è sganciata dai bisogni e i consumi sono diventati una musa incantatrice. Da un lato, quindi, si cerca di generare nuovi bisogni prima assenti per sostenere la produzione; dall’altro si produce di più e si pagano percentuali per la sovrapproduzione, buttando quel che è in eccesso, alla faccia di chi muore di fame dall’altre parte del mondo (due esempi italiani, le problematiche connesse alla sovrapproduzione di pomodori e di latte).
Alla fine degli anni ’50, John Kenneth Galbraith, economista e ispiratore del Partito Democratico di John F. Kennedy, esplicitava in questo modo il problema:

[…]vediamo chiaro che le nostre energie produttive sono impiegate per fabbricare assurdità, di cui nessuno ha bisogno, mentre però del processo produttivo si continua ad avere “bisogno”, come fonte prima di guadagno. Ora, il guadagno che si ottiene producendo gli oggetti più stupidi, e meno rilevanti, ha dunque una grossa importanza. La produzione riflette la bassa utilità marginale dei prodotti per la società: ma il guadagno riflette la cospicua utilità totale delle entrate per l’individuo. Perciò, quantunque lo si ammetta difficilmente, la vera preoccupazione economica fondamentale non è più tanto per i “prodotti”: diventa una questione di guadagno e di impiego; la prova migliore è che quando si pensa a una depressione viene naturale di farlo non tanto in termini di “meno merci prodotte”, quanto di “disoccupazione e minor guadagno”; e reciprocamente è spontaneo identificare gli “anni belli” o la “congiuntura favorevole” con epoche di pieno impiego,  piuttosto che non di alta produzione.
John Kenneth Galbraith, da America Amore di Alberto Arbasino (Adelphi)



La ricetta di Galbraith è semplice: una rete solidale che garantisca un salario pieno a chi non ha un lavoro, per una disoccupazione che è prevedibile si muova a fisarmonica entro certi limiti percentuali e che, se sorretta in modo coerente, può supportare attività diverse da quelle produttive, come per esempio quelle artistiche. Ovvero, la disoccupazione come un fenomeno strutturale e caratterizzante le economie occidentali. Non solo, la disoccupazione non come un problema sociale ma come un'opportunità.
Oggi, mezzo secolo dopo, le cose vanno diversamente, soprattutto in Italia. Tagli alla cultura, tagli alla spesa pubblica ma solo dove non ci sono interessi di lobby o di corruzione; sussidi di disoccupazione esplosi e gravosi che non prevedono soluzioni o sostegni a medio-lungo termine.
E il fumetto? A quali logiche deve sottostare? A quelle della produzione a tutti i costi o a quella dell’artista libero e, perché no, sovvenzionato di fare quel che sa fare nel modo migliore?
Nelle attuali logiche di mercato prevale senza dubbio la prima formula. Anche perché il Fumetto non è il Cinema, non è l’Opera, non ha mai raggiunto lo status di forma artistica autonoma e riconosciuta (e nemmeno per questi, come sappiamo, è periodo di vacche grasse). E allora, il fumetto è come un gadget, che si deve cercare di vendere a prescindere da uno specifico, reale bisogno, all’interno di logiche consumistiche industriali (o semi-industriali). Qualcuno direbbe che questa è l’essenza dell’arte, ovvero di non rispondere a nessuna specifica necessità. Ma l’arte come gadget mette dentro tutto e risponde a banali e insulse logiche di consumo, usa e getta. L’esempio più chiaro, evidente, è la trasformazione industriale della musica popolare, vero feticcio usa e getta strumentale alla vendita di altro, style, jeans, occhiali, profumi, …
E la critica? Secondo questo punto di vista è un anello (importante?) dell’industria culturale.
La critica si riduce ad essere un veicolo per indurre l’acquisto di un gadget. Nello specifico il fumetto/gadget.

Harry
(continua)

giovedì 14 aprile 2011

Storie senza sangue



Quando in un titolo è scritto un destino.
Tempo fa Tito Faraci sul proprio blog auspicava la comparsa di un vero best-seller a fumetti. Sotto le righe, l'auspicio ha a che fare con una ricerca, senza dubbio in atto tra alcune case editrici, del prodotto perfetto per questo risultato. BD è una di queste. Tito Faraci è da alcuni anni Editor In Chief della BD di Marco Schiavone. Perché quindi non lavorare per produrre il proprio best-seller?
Con questo pensiero rimango al termine della lettura di Senza Sangue, un fumetto scritto da Faraci, appunto, disegnato dal bravo Francesco Ripoli e tratto da una storia di Alessandro Baricco (che di successi se ne intende). Il volumetto in bianco e nero è uscito a ottobre 2010, e non credo che sia diventato un best-seller.

Non amo molto Baricco, ma ammetto di averlo frequentato poco. Per quel che ho letto, non mi trovo molto in sintonia con il suo realismo magico, non abbastanza incisivo, non sufficientemente evocativo. Ma non è di un lavoro letterario che voglio dire, quanto della sua trasformazione a fumetti.
Il Senza Sangue di Faraci e Ripoli è infatti un fumetto che non capisco. La storia si sviluppa in due scenari principali: da un lato un assalto in casa di uno dei protagonisti, con annessa sparatoria; dall'altro, nella seconda parte, in un bar, seduti al tavolino, preludio a una scena finale che arriva meccanica. Dentro alla sparatoria e dentro alla chiacchierata al bar, numerosi flashback sviluppano la fabula di una storia dolorosa.
Leggendo, mi sono chiesto più volte che cosa ci sia di più noioso di una lunga sparatoria o di una lunga chiacchierata al bar, allungata ancora di più dai tanti ricordi e ritorni.
Insomma, un intreccio povero, sbagliato, che la cura dei disegni e dei dialoghi non solleva. Tutto è seduto, e le emozioni si raffreddano. Il legamo amore-morte, che sembra sorreggere tutto lo scorrimento del racconto, si appiattisce al punto che in quell'amplesso finale non c'è più nessuna voglia, nessuna vita. Come se tutto quel che accade ai protagonisti appartenesse a una vita che non è più.
Se best-seller doveva essere, si doveva realizzare una storia più efficace. Forse anche più furba, dinamica, emozionante. Ma a prescindere da questo (immagino che coinvolgendo Baricco, le vendite siano state comunque complessivamente buone), è il fumetto come opera a se stante che non funziona. E si lascia presto dimenticare.
Senza sangue.

Harry

lunedì 11 aprile 2011

Premio Micheluzzi 2011 - un premio vero c'è


L’approccio ad ampio raggio (si diceva democristiano qualche anno fa) nelle candidature al Premio Micheluzzi del Comicon 2011 si conferma anche per quest’anno, così come il comitato di selezione di alto livello (ne parlai circa un anno fa qui). Sono due cose rilevanti, perché al di là di qualunque critica preventiva, danno due messaggi chiari: 1. il Premio Micheluzzi vuole cercare di coprire il più possibile le diverse forme di fumetto (per tecnica, distribuzione, produzione, ecc.) presenti oggi sul mercato; 2. lo vuole fare attraverso il giudizio di persone competenti e consapevoli dello stato in cui si trova oggi il fumetto.
Aggiungo anche che, in fase di selezione, un approccio di questo tipo può essere una risorsa, un buon punto di partenza per la selezione finale. I giurati avranno più possibilità di trovare prodotti a loro più vicini, e nelle scelte saranno meno condizionati da pre-giudizi di genere, distribuzione, formato, tecniche, ecc.
Spero tuttavia che lo stesso approccio non guidi la selezione dei vincitori. Le due fasi sono diverse e richiedono scelte e posizioni diverse.

Ciò detto, come fa Recchioni nel post da cui ho preso le informazioni (e a cui rimando per la lista completa delle nomination), è importante evidenziare il premio che Comicon ha definito in collaborazione con Feltrinelli: una visibilità reale per un mese per tutti i vincitori in 4 librerie Feltrinelli a Milano, Torino, Napoli e Roma. È un passo avanti rispetto all’invisibilità dei premiati degli anni passati (di tutti i premi italiani). Certo, il gruppo di punti vendita è molto ristretto e copre un territorio minimo rispetto al possibile. Si tratta tuttavia delle librerie express, per lo più, quelle che Feltrinelli colloca di solito in luoghi di grande passaggio, negozi di medio-piccole dimensioni che lavorano molto sulla novità e la movimentazione delle proposte commerciali. In questa logica, la visibilità dei premiati ha senso, in modo direi organico con l’impostazione commerciale Feltrinelli. Peccato solo che si tratti di così pochi punti vendita. Ma le case editrici e i distributori, ne sono certo, si staranno già muovendo per capitalizzare a distanza di poco tempo il successo della premiazione, attraverso un rilancio mirato dei propri libri vincitori, con fascette e giusta visibilità e informazione. O no?
(a proposito, mi chiedo, gli editori vincitori quando vengono informati del risultato?)

Harry

L'impossibile critica (intermezzo) - entusiasmo acritico

copertina di mad 47, di giugno 1959


Per scrivere mi serve tempo. Più che per pensare. Ed ecco che mi ritrovo con un po' di idee bloccate prima che possano trovare spazio in parole.
Quindi un piccolo intermezzo, divertente, e tangenziale, che arriva dall'ultimo libro di Alberto Arbasino America Amore (Adelphi). Uno sguardo bello, schietto, un po' snob sugli Stati Uniti di un italiano medio non mediocre. Queste parole sono all'inizio, vengono dalla fine degli anni '50, e sono parte del primo colpo d'occhio di Arbasino sull'America.

[...] uno dei piaceri più forti sarà l'acquisto a bracciate, a mucchi, ogni giorno, di tanti chili di riviste, che qui costano al massimo da 15 a 60 cents ciascuna, e quindi è possibile ottenerne in quantità mai viste, da portare a casa e passarci ogni giorno sopra parecchie ore, buttate là, sul letto, sulle poltrone, sui tavoli, sui pavimenti; e naturalmente non saranno soltanto quelle che più o meno si vedono sempre, "The New Yorker", "The Reporter", la "Partisan Review", ma proprio quelle come "Playboy", "Esquire", "Mad", tutti i moltissimi "mensili per giovanotti" prodotti con un gusto e una abilità straordinari, dosando insieme il "portfolio" con la donna nuda e l'umorismo raffinato, i bei mocassini con la buona letteratura, l'indagine di sociologia con le belle arti e le vacanze grandi e piccole.
Alberto Arbasino, America amore (Adelphi, 2011)

martedì 5 aprile 2011

L'impossibile critica (2ter) - il modernista aristocratico

 alphonse mucha

[...] L'artista moderno ha nostalgia dell'aristocrazia e della struttura sociale precedente: da Stendhal a Baudelaire e Flaubert, i fondatori della modernità odiano la democrazia e condannano il denaro, giacché se ne deve ovviamente possedere, ma senza parlarne, e soprattutto senza guadagnarne - tale è precisamente la condizione dell'aristocratico. L'artista [...] vuole essere riconosciuto, ma nulla lega più la sua musica a un pubblico che si è democratizzato. Non gli resta dunque che oscillare fra il desiderio di ritirarsi nella propria torre d'avorio e di ribellarsi contro una società che lo ignora.
Jean Molino, da Il tempo, la musica e la storia (Enciclopedia della Musica, Einaudi)

domenica 3 aprile 2011

L'impossibile critica (2bis) - il modernista

 disegno di kim deitch
 
Forse la nascita dell'arte avverrà nel momento in cui l'ultimo uomo disposto a guadagnarsi da vivere con l'arte se ne sarà andato, e per sempre.

Charles Ives - Essay Before e Sonata


Tutti i testi di questo blog sono (c) di Harry Naybors, salvo dove diversamente indicato.
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La versione a fumetti di Harry è (c) di Daniel Clowes.