martedì 30 marzo 2010

Rinnovare senza innovare

 copertina di corrado mastantuono



Nell’editoriale del numero di Magico Vento attualmente nelle edicole, l’autore Gianfranco Manfredi scrive con la sua solita apertura e schiettezza.
Mi colpiscono due cose.
Innanzitutto Manfredi chiarisce che il passaggio dalla mensilità alla bimestralità della serie che è avvenuto ormai da qualche anno non è stato, e non poteva essere, una premeditata “scorciatoia” verso la chiusura. Il concetto stesso di chiusura programmata con così tanto anticipo è assurdo. Ma Manfredi arriva al cuore della questione quando ammette che il passaggio alla bimestralità ha fatto perdere circa 5000 lettori alla serie. E che Sergio Bonelli lo aveva avvisato del rischio.
L’esperienza di Bonelli non si può mettere in dubbio. Conosce quel mondo, il suo mondo, come se stesso.
Sergio Bonelli ha il polso del fumetto popolare perché è fatto a sua immagine. Lui e la sua casa editrice, più di chiunque altro, hanno determinato quel che c’è oggi nelle edicole italiane.
Bonelli ne è sotto molti aspetti responsabile. Nel bene e nel male.
Il bene? Il fumetto popolare con il prezzo più basso che ci sia in Europa, nel mondo, a fronte di una qualità e di una professionalità complessiva altissima.
Il male? L’addormentamento. L’annuvolamento culturale del lettore di fumetti. La pigrizia concettuale. La paura.

Ed ecco il secondo passo che mi arriva dall’editoriale di Manfredi, quando accenna del difficile equilibrio che uno sceneggiatore di fumetto popolare deve tenere tra innovazione e familiarità, tra luoghi comuni e originalità di pensiero. I topoi narrativi sono trappole intelligenti, trappole della mente creativa, perché conducono alla ripetizione e alla sterilità, da un lato, ma permettono anche ai lettori di ritrovarsi, di orientarsi e di sentirsi a casa. E ai professionisti di… conservare le forze? Di apparire all’altezza anche quando non lo sono? Di spostare i limiti e le costrizioni all’interno di un processo creativo vigile e serio?
Il fumetto Bonelli è una casa. È un lido sicuro. Anche laddove autori intelligenti come Manfredi o Medda o Ambrosini (e Bacilieri) o … tentino percorsi nuovi. Ha regole troppo forti e stringenti, soprattutto sul piano delle convenzioni “linguistiche”. E l’equilibrio ricercato da chi vuole imporre una voce originale è troppo fragile. Perdente.
Si dice che Caravan di Medda non venda bene. Lo si dice in giro e non stento a crederlo…
Magico Vento chiuderà a fine anno, perché le vendite, perché l’autore…
Jan Dix di Ambrosini nasce e muore miniserie senza sussulti di vendite che ne permettano il proseguimento…

Serie come queste sono destinate all’insuccesso? Ha senso cercare di rinnovare senza innovare?
Quale responsabilità ha Sergio Bonelli? La sua idea di fumetto popolare di successo è l’unica possibile? Ed è questa stessa idea che porterà alla definitiva sterilità e immobilità?

Harry

venerdì 26 marzo 2010

L'incantesimo del grande male

 (c) david b.


Il grande male di David B. è uno dei racconti a fumetti più potenti che esistano.
Non sto qui a fare graduatorie, o a disprezzare chi non ama questo lavoro. Perché sarebbero troppe e molto comprensibili le ragioni per le quali Il grande male possa risultare un lavoro indigesto.
Ma altrettante e, per me, più convincenti sono le ragioni che fanno di questo lungo racconto autobiografico una necessità e una possibilità di scoperta.
Quando David B. racconta la sua vita attraverso il disastro che è la vita del suo fratello malato di epilessia, e dei suoi genitori che girano intorno all’incomprensibile e all’inafferrabile, e all’impotenza e alla solitudine, l’autore francese racconta la storia universale dell’umanità.

David B. è uno di quegli autori ossessionati, che non sembra capace di staccarsi da un immaginario, da una poetica. Racconta i suoi sogni da sempre, e li mescola con battaglie sanguinose su campi antichi, dove i ricordi dei giochi di bambino diventano le lotte per la propria indipendenza emotiva, e rappresentano il conflitto irrisolto con suo fratello, con l’affettività infelice della sofferenza.
David B. ha una cultura visiva densa che sa rielabora e personalizzare. Ogni tratto è espressionista e simbolico. L’autore abbatte completamente la distinzione tra realtà esterna e interna, tra esperienza e ricordo, tra vissuto e crescita personale.

Il grande male è un lavoro di guarigione, per l’autore, che mentre racconta con tanta, spietata chiarezza la sua vita arriva a una nuova consapevolezza di sé e della sua vocazione artistica.
Se qualcuno ha dubbi sulla possibilità di realizzare ancora oggi opere artistiche limpide e incontaminate dalle esigenze commerciali, dovrebbe fermarsi sulle pagine di David B. e riflettere sulla totale assenza di furbizie, di ammiccamenti al lettore, di consolazione.
Il grande male è una guarigione anche per il fumetto, quindi. Per l’arte. Per la libertà espressiva.
Senza demonizzare il mercato, senza discutere delle opportunità e dei vincoli che esso impone, sia a livello seriale che non, è importante riconoscere questo straordinario successo. Che è così vicino, concettualmente, al successo di Maus, di Persepolis (e Satrapi deve molto a David B.), alle principali storie universali che il fumetto moderno ha saputo raccontare.

La riuscita de Il grande male è anche il simbolo dell’efficacia del progetto editoriale de l’Association, che ha imposto al fumetto francese una rottura con il passato e il noto, generando un’onda lunga ancora oggi presente.
Il mondo viene cambiato da queste storie. La coscienza collettiva può riconoscersi nei segni, nei simboli del dolore quotidiano, che sono matrice di ogni esistenza.
Per tutte queste ragioni Il grande male è potente. In ogni singola macchia sul foglio.

Harry

domenica 21 marzo 2010

Stop alla vivisezione

(c) angelo stano


Quel che voglio dirti è che, in pratica, sto leggendo molti meno fumetti, in questi giorni.
E quando lo faccio, cerco di farlo con un approccio caldo.
Sto lentamente abbandonando l’idea di una critica anatomica, con microscopio, bisturi e sega. Fino a poco tempo fa, mi era sufficiente sfogliare le prime pagine di un nuovo fumetto per iniziare a vivisezionare, separando il buono dal cattivo, ricercando connessioni con altri lavori, stratificando la lettura di osservazioni intelligenti e metodiche.
Quel che mi restava, del fumetto, era un cadavere.
Ricordo periodi in cui ho letto tanto, tantissimo, nella foga di catalogare e analizzare. O, ahimé, nella necessità di archiviare e inscatolare.
Leggere è un’azione che dovrebbe richiedere altre motivazioni.
Se all’immaginario dell’autore sostituisco con prepotenza il mio, di lettore critico e analitico, se riempio le opere dei miei bisogni, più o meno nobili che siano, rendo vano lo sforzo artistico.
Per cui rallento, libero la mente, osservo le linee, le cornici, le parole, i tempi, gli spazi bianchi, e mi lascio trasportare con partecipazione.
Forse, in questo modo, riuscirò capire qualcosa di più di questo strano ibrido narrativo che tanto mi coinvolge.
Ma mi serve tempo, per assorbire.
E comprendere.

Harry. 

venerdì 12 marzo 2010

Da oggi diffido

 (c) david b.



Idealmente, Il mondo della critica si divide in due parti: quelli che non fanno recensioni negative, e quelli che adorano fare recensioni negative anche quando non ci sarebbe nulla di negativo da dire.
I primi direbbero che è inutile perdere tempo a recensire cose brutte. C’è già troppo poco tempo a disposizione per fare critica amatoriale e così tanti bei lavori di cui parlare, che non ha senso perdere tempo parlando di brutti fumetti.
I secondi direbbero che è romantico e nerd parlare solo dei fumetti che piacciono, che il mondo della perfezione non esiste, che anche l’opera più riuscita ha delle macchie.

Personalmente, preferisco parlare di opere belle e intelligenti, ma non disdegno di criticare anche fortemente opere non riuscite, a patto che queste siano in qualche modo interessanti: perché sono esemplificative di tendenze; perché sono particolarmente attese; perché sono chiarificatrici di un approccio culturale o produttivo; ecc.
Le critiche negative riescono anche a dare riferimenti chiari rispetto allo stato di salute del fumetto come mezzo di comunicazione e aiutano a tracciare linee guida interpretative. La psicoanalisi freudiana si è costruita proprio a partire da quel che non funziona, per definire le funzionalità. Ciò naturalmente può portare a visioni riduzionistiche o nichiliste (come certe tendenze psicanalitiche, per rimanere all'esempio). Oppure offrire l’idea di una critica incontentabile e, perché no, distante dalla realtà.

A questo punto però si pone il bisogno di una scelta. Per anni e anni, in nome di una presunta apertura mentale e culturale, ho comprato di tasca mia e letto anche lavori che sospettavo già poco interessanti e sterili. Buttare soldi e tempo diventa più accettabile quando lo si fa in nome di qualcosa di più alto, no?!
Ma oggi decido che basta. Decido che acquisterò e leggerò solo lavori che per i più svariati motivi mi ispirano fiducia, che spero essere efficaci, divertenti, ben scritti e disegnati, non prevedibili o meccanici. Ho l’esperienza dalla mia, la conoscenza degli autori e delle case editrici, e d’ora in avanti spero di sbagliarmi raramente. Questo vuol dire dimenticare il gusto di acquistare un lavoro solo per parlarne male! E vuol dire anche “correre il rischio” di dedicare il mio poco tempo libero solo alla lettura di opere piacevoli e alla scrittura di recensioni positive.
Ma non dispero. Le delusioni sono sempre in agguato.

Piuttosto, ricordo agli editori, agli autori e ai distributori che d’ora in avanti, per avere i miei soldi, dovranno essere molto ma molto più convincenti. Le antenne della mia diffidenza saranno accese costantemente. E Dio solo sa quanto poco fanno, tutti, per essere convincenti.

Harry.

mercoledì 10 marzo 2010

Dieci giorni




Sembra strano ma sono passati già dieci giorni dal mio ultimo post.
Mi dicono che non è bene, che un blog ha bisogno di aggiornamenti regolari e frequenti.
Il fatto è che a dispetto delle tante cose di cui parlare, il tempo mi ha lasciato indietro.
E osservando il passo di vignette troppo incalzanti, mi sono perso nello spazio tra l'una e l'altra. Non è nobile tutto ciò. Ignobile.
Ricordo che le parole, come simboli, sono deboli e refrattarie rispetto alla forza iconica di un disegno. Così come tante, sciocche parole sono vane rispetto alla forza iconica dell'assenza di pubblico, della disorganizzazione e della sufficienza che deriva dall'incapacità di comprendere. Ognuno è libero di difendere quel che vuole.

Ma siamo certi che sia scorretto ritenere che BilBolbil sia più nobile di altre manifestazioni?
Lo dico senza timori, il fumetto italiano ha bisogno di manifestazioni non improvvisate, che abbiano una precisa connotazione culturale, che respirino delle relazioni costruite con il territorio, che sappiano valorizzare gli autori e i loro gesti di inventori e comunicatori. Che sappiano restituire poesia e concretezza all'espressione a fumetti. Pensate, concretezza e poesia, al giorno d'oggi. Possibile?
E il problema non è la presenza di BilBolbul o la sua sovrapposizione con un'altra manifestazione insignificante, ma l'assenza di altre iniziative che hanno lo stesso respiro.
Questo, mettendo tra parentesi Lucca, e ricordandosi che la fiera di Mantova che si avvicina ad essa per ambizione, soffre di una vocazione eccessivamente markettara, volatile, incolta.


Harry


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La versione a fumetti di Harry è (c) di Daniel Clowes.