martedì 30 agosto 2011

Garibaldi come l'Uomo Tigre



Stavo leggendo le epiche imprese dello stupefacente Garibaldi di Tuono Pettinato e...
dove può andare l'immaginario.
Mi interrompo per andare in bagno. Lavo i denti. E mi ritrovo a canticchiare
"E l'Uomo Tigre che lotta con furore, combatte sempre per la libertà..."

Il potere delle libere associazioni.
Garibaldi, il nuovo supereroe.
Quando l'immaginario nazional popolare riprende piena vita.

Harry

venerdì 26 agosto 2011

Rivelazioni (2)



Ogni tanto escono nuove rivelazioni dagli archivi di WikiLeaks che riguardano il fumetto.
Oggi si parla di una delle principali icone del fumetto italiano.
Pare che tutte le storie di Dylan Dog raccontate fino ad oggi siano solo una parte della verità.
Tiziano Sclavi aveva in programma di scrivere il numero 300 (in uscita in questi giorni) per raccontare la finzione dietro alla vita di Dylan Dog.
Dalle indiscrezioni emerse sembra che il protagonista avrebbe approfittato di ogni spazio bianco tra le vignette per rimepirsi di vodka e brandy, e che non avrebbe mai superato la sua dipendenza dall'alcool.
Le tante relazioni precarie con le donne sarebbero la più classica delle coperture per un orientamento omosessuale (non è chiaro se Groucho sia a sua volta coinvolto).
Sembra che un console russo a Londra abbia visto Dylan Dog a una festa vestito con camicia blu elettrico e pantaloni di lino bianco, lo avesse scambiato per Rupert Everet e gli avesse rivolto un complimento nella sua lingua. Il presunto Rupert Everet sarebbe scappato esclamando "Giuda Bastardo".

Negli ultimi anni Sclavi avrebbe voluto raccontare la verità, ma Bonelli gli avrebbe imposto il silenzio. Da qui il progressivo allontanamento dalla testata.
Le ultime vicende personali del sig. Dog, sempre più avvilenti e tristi (Dylan Dog sembra sempre più una caricatura di se stesso), sarebbero dovuto a un crollo psico-fisico dovuto all'abuso di alcool, sesso e alla finzione che ha dovuto sostenere per tutto questo tempo.
Il ministro della cultura italiano, interpretato su questi dati, avrebbe detto che "si tratta solo di un complotto comunista per attaccare il nostro paese".
I ritardi nella pubblicazione dell'intervista di Sclavi sul quotidiano l'Unità sarebbero dovuti all'imbarazzo della redazione di fronte alla verità che l'autore avrebbe rivelato senza giri di parole. L'intervista sarebbe stata profondamente ri-editata.

A proposito di KikiLeaks, segnalo l'uscita in libreria del libro su Assange, Julian Assange, la vita del fondatore di WikiLeaks (Becco Giallo), realizzata da Dario Morgante e Ginaluca Costantini. Il libro è presentato così:

Non una semplice biografia di Julian Assange o un reportage su WikiLeaks, ma un libro che parte da questi spunti per esplorare argomenti caldi come l’etica hacker, la libertà d’informazione, le basi della democrazia.

Per me è importante.

Harry

giovedì 25 agosto 2011

Merchandising e la posizione di Bill Watterson


                                                                             un'immagine a caso presa da internet


Immerso in Calvin and Hobbes fino al collo, mi lascio ammaliare dalla sconvolgente posizione di Bill Watterson sul merchiandising, a me nota da tempo, ma che mi torna alla mente con prepotenza. Una posizione che, dentro a queste pagine, dentro a questa famiglia, ha ancora più forza e senso per me.

Se non lo sai, all'apice del successo di Calvin and Hobbes sui quotidiani, il Syndacate che pubblicava la striscia ha chiesto (è un eufemismo) a Watterson di sviluppare la solita, enorme, ubriacante, miliardaria trafila dei prodotti marchiati C&H. Magliette, pupazzetti, tazzine, mutande, ... se pensi a dove nei decenni hai trovato Linus con la sua copertina, o Snoopy e gli altri personaggi dei Peanuts, sai bene di cosa parlo.
La risposta naturale, forte del successo, sarebbe stata un contratto d'oro per Watterson e un futuro da milionario vita natural durante. Eredi degli eredi compresi.

Ma

Watterson decise che no, che non voleva vedere diffuse le sue creature a fumetti in tutti gli oggetti della vita quotidiana. La ragione? La dignità del suo fumetto, dei suoi personaggi. Voleva che i suoi personaggi continuassero ad avere vita propria nella forma per la quale sono stati realizzati. Il fumetto!
Incredibile a pensarci oggi. No?
Oggi il fumetto popolare è per lo più un veicolo pubblicitario, un traino per la mercificazione spinta dei collaterali. Da anni si inventano fumetti pensando a come poterli sfruttare commercialmente. Per Watterson, uomo solitario e coerente, il fumetto dovrebbe avere la dignità di esistere per quello che è.

Quindi, se anche tu hai nel tuo cassetto una bella maglietta con Calvin che piscia contro il muro, ricordati che non è autorizzata da Watterson. E che in qualche modo contraddice i presupposti stessi sui quali Watterson ha costruito le sue creature, la sua professionalità e la sua credibilità.

Harry

Idee per i prossimi Dylan Dog Color Fest



Ieri sera, a un aperitivo con un paio di amici fumettisti, ci sono venute alcune idee per le prossime pubblicazioni del Dylan Dog Color Fest.
Dopo il Color Fest realizzato da sole donne, ecco alcune proposte per le prossime categorie di persone che potrebbero farne uno:
omosessuali
ciccioni
nani
alcolizzati (che potrebbero realizzare un ottimo Dylan Dog Year One a colori)
autori di fumetti che non leggono fumetti
ipoacusici
non vedenti
tassisti
avvocati (per una volta, la categoria tanto invocata ultimamente potrebbe avere una funzione reale nel mondo del fumetto)
...

Pensa, un Dylan Dog Color Fest realizzato solo da avvocati. Non sarebbe male.
Ah, e un'ultima idea, davvero provocatoria, che incontra il paradosso: un Color Fest realizzato solo da inchiostratori. Un Color Fest in bianco e nero.
Una rivoluzione concettuale! Gualdoni!!

Harry
(grazie ad Alberto e Gabriele. Grande serata quella di ieri)

mercoledì 24 agosto 2011

La completezza come arte


L'ho accennato.
Ho comprato dopo anni di desiderio a distanza, Complete Calvin and Hobbes (Universal Press Syndicate ), un'opera monumentale che raccoglie tutto quanto realizzato da Bill Watterson per la sua immortale striscia. 
Watterson è un caso unico nel fumetto mondiale, per la sua nota opposizione al merchandising di Calvin and Hobbes, e per il fatto di essersi ritirato dal mondo del fumetto dopo la conclusione della striscia giornaliera. L'uomo da un'opera (monumentale) soltanto? Chissà.

Intanto, due cose a seguito della lettura di questa edizione. Se esiste un mercato nel quale qualità e cura editoriale sono marchio di fabbrica è certamente quello della ristampa delle strisce. Ne ho già parlato. Con Complete Calvin and Hobbes questo fenomeno è spinto alle estreme conseguenze. In ogni pagina, di grande formato, sono contenute tre strisce giornaliere o la striscia domenicale a colori. La qualità della carta e della stampa è altissima. La rilegatura, il cofanetto, la grafica fanno di quest'opera una pietra miliare. E questo, senza parlare dei contenuti.

Ritengo che Calvin and Hobbes sia una delle rare (rispetto al mare magnum delle produzioni e dei presunti best-seller) opere culturali che abbiano avuto un successo e un riconoscimento pari al suo valore. Merito della lucidità di Watterson, e della sua capacità di parlare in modo trasversale a persone di diverse appartenenze culturali e generazionali.
Ma leggendo quei tre volumi, così spaziosi, delicati (sul piano dei contenuti), solidi (contenuti ed edizione), accoglienti, intelligenti, movimentati, gioiosi, ... leggendoli in fila, si coglie per la prima volta davvero l'omogeneità artistica del capolavoro di Watterson. Basta vedere la cura che Bill ha messo nella realizzazione del lettering, oppure nella colorazione delle tavole domenicali. O l'impressionante coerenza con cui sono stati ritratti i diversi personaggi nel corso degli anni, striscia dopo striscia. Tutti aspetti che la Complete Edition valorizza al massimo.
Insomma, Complete Calvin and Hobbes è un'opera unica, capolavoro nel capolavoro. E se vuoi un divertente spaccato di vita vera su Calvin and Hobbes, ti consiglio di leggere questo, di cui riporto il finale:

 " [...]E quello stronzo di Bill Watterson ti dice così, facendoti pure ridere, che non è possibile  nel mondo– aiuto!- una conoscenza di quel tipo. Figurarsi nel fumetto. Devi fare una scelta. Tu: devi guardare la complessità e farla, una scelta. Questo è il fumetto, piccolo. E’ una roba iperbolica, mica euclidea. Qui sta il suo bello.”

Harry

lunedì 22 agosto 2011

Punpun cos'è



Paolo Interdonato, qualche tempo fa, elencava alcuni buoni motivi per evitare future pubblicazioni italiane della linea manga di Panini Comics. Il riferimento dell'esempio è a un'opera molto bella di un autore molto bravo, Inio Asano.
Uno sforzo interessante per migliorare, Panini Comics lo fa con la pubblicazione di Buonanotte Punpun, il nuovo lavoro dell'autore giapponese, che riprende pari pari l'edizione originale. Sono piccoli albi colorati, con sovraccoperta. L'albo è bello al tatto e bello da sfogliare.
Il lettering è lo stesso. Il prezzo non è popolare.

La serie è ancora in corso in Giappone. In Italia sono finora usciti tre volumetti, di cui ho potuto leggere finora solo il primo. Il primo di cosa? Cos'è Punpun?
Asano ci immerge nella quotidianità, quella che lui conosce e rappresenta così bene, quella depressa, inquieta e isolata dell'adolescenza nipponica. E per certi versi, l'inizio di Buonanotte Punpun è nel solco di certa tradizione manga che si occupa di scuola, innamoramenti, sessualità, ... Non manca il suo tocco poetico e vago, quel vagare emotivo tipico dell'insofferente ricerca dell'adolescenza. E non mancano le sorprese nei particolari.
Il primo è eclatante: Punpun non è un ragazzo, ma una sorta di uccellino, disegnato in modo infantile, essenziale. Quel che domina, è l'icona. Punpun è un'icona vivente in un mondo reale, e la rincorsa al non detto, alla rappresentazione e all'immaginazione è un baratro, un buco nero narrativo che assorbe il lettore in domande e sensazioni. Hai presente quella strana sensazione a cui pensi quando immagini La Cosa dei Fantastici Quattro che fa sesso con la sua fidanzata cieca? Ecco, qualcosa di simile, ma in un impianto molto più realistico e spaventoso.
Ma i particolari sono molteplici. E sottili. Per esempio, il rapporto di Punpun con i suoi genitori. Lo zio che arriva a soccorso e l'immaginario rivoluzionario che si porta con sé.
E poi, una svolta violenta, inaspettata, che rompe ogni equilibrio.
Asano finge la favola vagamente antropomorfa, per parlare di una realtà violenta e incontrollata. Punpun non è dolce, o semplicemente simpatico. Ma una rappresentazione iconica della vittima. Della fragilità degli adolescenti in un contesto più grande, doloroso e pericoloso di quello che appare.
E per forza di questo punto di vista, l'inizio della saga di Punpun mi sembra imperdibile.

Harry

Didascalico - come ti uccido il fumetto di avventura

                                                                 asttear, (c) renee french


Tempo fa il fumetto di avventura aveva una cultura dell'immagine tutta da creare. Il riferimento più vicino era l'illustrazione. I testi erano verbosi, molto descrittivi, derivativi della letteratura. I disegni erano un compendio. In quel contesto, c'era una doppia esigenza: accompagnare il lettore passo a passo attraverso una nuova forma di comunicazione; riuscire ad essere popolari.
Perdonami l'estrema semplificazione. E andiamo avanti.
Il tempo è passato. La cultura visiva del fumetto è mutata sotto tutti i punti di vista. Il modo di funzionare della nostra mente è cambiato. Il visivo è diventato predominante. Nel fumetto, le parole, la parte testuale, ha visto complessivamente stravolto il suo ruolo. Il cosiddetto storytelling lo si osserva sempre più nello sviluppo delle tavole, vignetta dopo vignetta, in un'insieme organico e composito. Si è capovolto il rapporto. E la faccio breve.

Perché allora nel fumetto popolare seriale italiano, quello di avventura, si osservano così tante prove forzatamente didascaliche?
Esistono due approcci didascalici, attualmente ben reappresentati. Il primo è di tipo redazionale. Ne ho parlato a proposito di Julia (Sergio Bonelli Editore) un po' di tempo fa. La redazione, a piè di pagina, inserisce una nota, per esplicitare un termine, un concetto o un dato storico. In Bonelli è un metodo molto usato da sempre, che per fortuna si sta in parte riducendo. Ma è tuttora presente, con effetti che vanno dal ridicolo al fastidioso. Dietro a questo artificio, si nasconde una vocazione superficialmente educativa, retaggio di tempi in cui al fumetto si attribuiva una funzione didattica piuttosto forte (funzione strettamente legata all'esigenza di rendere il prodotto il più accessibile e popolare possibile).

Se tale usanza è ormai obsoleta ma, in parte, comprensibile, non si può dire la stessa cosa di un approccio didascalico allo specifico della narrazione. Da un lato, nel fumetto seriale, troviamo sempre più tentativi di ampliare i temi, i riferimenti e le suggestioni (culturari e di intrattenimento) alla base dell'impianto avventuroso delle storie. Dall'altro, si nota una grande difficoltà da parte degli autori (in particolare gli sceneggiatori) nell'utilizzare questi nuovi riferimenti in un modo efficace sul piano narrativo. In pratica, anziché essere questi riferimenti al servizio della storia, è la storia che diventa al servizio di questi temi, che necessitano lunghe spiegazioni, la massima esplicitazione, al limite della descrizione didattica. Inutile dirlo, questo approccio uccide il fumetto. Mortifica la storia.

Se una sceneggiatura così esplicita da risultare didascalica rimane un tentativo (sciocco) di mantenere un lavoro popolare, dall'altro è segno di una grande incapacità degli autori a rielaborare, selezionare, metabolizzare e utilizzare in modo efficace le diverse matrici culturali. Il problema esiste anche sul piano visivo. Spesso i disegni sono banalizzati dai riferimenti fotografici, e il realismo si trasforma in foto-grafismo. Tutto, in questo processo, appare omologato e appiattito. Il risultato è quello di togliere vita alla storia, e di non stimolare in alcun modo la fantasia, la curiosità e l'intelligenza dei lettori. Oltre, ovviamente, a togliere qualunque ritmo narrativo al racconto, appesantito da contenuti testuali e visivi già morti.

Harry

giovedì 18 agosto 2011

I cinque ingredienti (vincenti?) per ristampare le strisce



Tom De Haven in un articolo sul sito del Comics Journal analizza le ragioni del successo editoriale della ristampa cronologica delle strisce storiche negli Stati Uniti, indicando cinque ingredienti tematici che si aggiungo ai fumetti e che, insieme alla cura del volume (grafica, carta pesante, rilegatura, ecc.), rendono imperdibili questi volumi.
I cinque ingredienti sono:
1. Contesto storico e socio-culturale
2. Un’analisi tecnica dell’efficaca delle strisce pubblicate e come funzionano sul piano narrativo e stilistico
3. Le influenze stilistiche, culturali e narrative dell’autore
4. Le biografie degli artisti, con particolare attenzione alla famiglia e al rapporto con gli editori
5. Aneddoti sulla vita e la carriera dell’artista

Giustamente De Haven sottolinea il grande lavoro di ricerca, cura e amore che c’è dietro alla riuscita di un volume di questo tipo. Ricordo per esempio che la ristampa cronologica e completa di Gasoline Alley (Walt & Skeezix per Drawn & Quaterly) curata da Chris Ware, fatica a ripagarsi le spese di produzione, ma è un autentico pezzo di storia (del fumetto e in senso lato della cultura americana) che ritorna alla luce a disposizione di tutti.
De Haven evidenzia inoltre, quasi di passaggio, la contraddizione tra la transizione in atto verso un nuovo concetto di libro (ebooks) digitale e volatile, e l’imponenza e la consistenza (anche fisica!) di questi prodotti.
Ricordo che in Italia, un solo editore ha recentemente avviato un lavoro altrettanto importante, seguendo a grandi linee i cinque criteri elencati da De Haven, che è Black Velvet con l’integrale di Doonesbury, di cui aspetto trepidante il secondo volume.
Le mie personali preferenze sono comunque per Gasoline Alley, Popeye e King Aroo, ma la scelta è davvero ampia.

Harry


Per inciso, aggiungo che mi è appena giunto dalla Gran Bretagna la mastodontica edizione integrale di Calvin & Hobbes, a proposito di volumi consistenti. Una vera meraviglia. Ne riparlerò.

mercoledì 17 agosto 2011

Tezuka sotto il sole del positivismo?


Torno a parlare di Tezuka Osamu. Sfogliando questo blog mi accorgo, in effetti, di avergli dedicato davvero poca parte del mio tempo rispetto al grande interesse e amore che nutro per questo autore.
Ieri, nella calura estiva, rileggevo Black Jack (Hazard ed.), l'opera più trasversale e sorprendente di Tezuka, quella in cui ha maggiormente giocato con la sua perizia e la sua intelligenza, racconto dopo racconto.
Il dottor Black Jack, abilissimo chirurgo senza licenza, è una delle figure narrative più sfaccettate e complesse che abbia mai incontrato nelle mie esperienze di lettore. Nobile, anarchico, saccente, avaro, generoso, ... ha una tale profondità e ambiguità che è impossibile catalogarlo. Nelle sue scelte e nelle sue azioni, si respira tutta la complessità di pensiero di Tezuka, e la conflittualità morale che lo ha da sempre attraversato. Tezuka si divide a metà tra una vocazione spirituale molto forte e ancorata nella tradizione (in parte induista, in parte buddhista, in parte cristiana) e un positivismo scientifico figlio del suo tempo. La medicina (e la chirurgia, per certi versi perfezionamento e massima espressione della medicina stessa) ha un luogo immaginario particolare, in Black Jack, poiché rappresenta sia il potere della tecnica dell'uomo sulla natura (il dominio della medicina sulla malattia), sia la forza della volontà e della perizia sul fato. Black Jack, da questo punto di vista, è un grande medico, per nulla mistico, ma totalmente, concretamente pratico, essendo la prassi e la tecnica le sue ineguagliabili risorse.
D'altra parte, l'esasperazione concettuale a cui giunge Tezuka, in più occasioni sembra trasformare l'uomo Black Jack in una divinità (positivita. Si potrebbe utilizzare il concetto di ateismo religioso). Con grande intelligenza (e grottesca ironia), il Maestro rivela un altro meccanismo tipico della modernità, ovvero quell'attesa salvifica verso la medicina e la Scienza in senso lato, che domina in particolare nelle persone colpite dalle grandi malattie del nostro tempo. Viene svelato, cioè, quel rapporto di potere fortemente asimmetrico per il quale il malato è in balia totale delle scelte e delle capacità del medico, che raramente spiega, raramente conforta, raramente si confronta con il paziente malato, e che ne governa le sorti dall'alto della sua conoscenza e della sua tecnica. Le conseguenze di tale distorsione sociale sono esperienza quotidiana di tutti noi, e sono spesso portatrici di nuova sofferenza e frustrazione, in aggiunta a quella che già abbiamo per colpa della malattia. Tezuka, nella sua gestione volutamente ambigua del personaggio, non bara mai. Più volte, è lo stesso Black Jack che dichiara ai suoi pazienti che non è un dio, ma solo un uomo molto abile. Spesso, sono i pazienti che sembrano non ascoltare (altra dinamica tipicamente umana).
Ma è proprio nel positivismo portato all'estremo che Black Jack muta fino a ribaltare completamente il punto di vista del lettore. La narrazione vista nel suo insieme, capitolo dopo capitolo, si sviluppa attraverso un andamento non lineare (neppure circolare, piuttosto a spirale, tipicamente orientale) che si appoggia su una struttura morale (o karmica) per la quale Black Jack, che non è un dio per ragione delle sue capacità (salvifiche), diventa una sorta di divinità karmica nel suo ruolo di maieuta, di facilitatore dei destini delle persone che incontra. Black Jack, malgrado le sue operazioni al limite del possibile, non ha potere di vita e di morte sulle persone. Il suo compito, piuttosto, sembra essere quello di favorire il compimento di un cammino karmico del genere umano a cui è impossibile sottrarsi. Nell'accezione tipicamente orientale, però, il destino di cui si parla non è qualcosa di deciso dall'alto, di predeterminato in senso assoluto da una divinità estranea e lontana, ma semplicemente la conseguenza inevitabile delle scelte e delle condotte individuali. Gli esempi sono numerosi, e vanno dal giovane nuotatore affetto da malattia congenita, al bambino intrappolato sotto le macerie, alla piccola ma adolescente Pinoko, ecc.
Nel prossimo articolo riporterò una storia che è perfetta nell'esplicitare quanto ho cercato di spiegare, una breve parabola morale toccante e in perfetto equilibrio tra sentimentalismo, grottesco, orrore, commedia, ...

Harry

giovedì 11 agosto 2011

Tezuka ai quattro venti



Io amo Tezuka Osamu in modo viscerale. Le sue storie sono per me fonte di enorme soddisfazione. Dalla più ironica e infantile a quelle più adulte e sofisticate. Tezuka rappresenta ai miei occhi l'autore completo per antonomasia, colui che ha toccato tutti i generi e ogni volta con estrema intelligenza, mettendo sempre in discussione quanto fatto prima, sfidandosi costantemente e... sfidando le aspettative dei lettori. Tezuka è un unicum nel mondo fumettistico globale.

In Italia, per molti anni, la sola Hazard Edizioni è sembrata interessata alla sua opera. A lei, al suo lavoro mai perfetto ma sempre importante, dobbiamo la versione italiana dei principali capolavori riconosciuti di Tezuka (Budda, Black Jack, La storia dei tre Adolf, La Fenice tuttora in corso di pubblicazione). Non so se in precedenza Hazard avesse l'esclusiva italiana, oppure fosse l'unica casa editrice realmente interessata alla sua opera. In effetti, a memoria, ricordo una pubblicazione interrotta di un suo lavoro, Dororo, edita da Kabuki Publishing, agli inizi del 2000, quindi immagino che non ci fossero contratti di esclusiva tra Hazard e gli eredi Tezuka.

Ebbene, nell'ultimo periodo sembra che ci sia un ritorno a Tezuka, da parte di più di un editore. Prima fu Panini Comics, che pubblicò alcuni volumi antologici di Astro Boy, a sfruttare il traino commerciale del film. Oggi ci sono Free Books con Alabaster, Ronin Manga con Don Dracula e Kappa Edizioni con Pinocchio.
La qualità delle proposte è altalenante, sul piano della cura editoriale. E credo che in generale, troppo spesso l'opera di Tezuka sia stata malamente punita da una confezione inadeguata e spesso incapace di attrarre davvero i potenziali lettori. Potenziali lettori che, nel caso di Tezuka, dovrebbero/potrebbero essere tutti gli esponenti della razza umana! Perché la varietà dei temi e degli stili è davvero in grado di parlare a tutti e di trasmettere a ognuno qualche intuizione e qualche emozione sulla nostra vita.

Non mi è chiaro, tuttavia, il perché di questo ritorno a Tezuka, in un periodo di fatica del mercato e di difficoltà di collocazione. Ho due idee: o l'amore per Tezuka è talmente forte, da parte di alcuni editori, da voler in ogni caso rischiarne la pubblicazione pur di vederne un'edizione italiana; oppure si conta su uno zoccolo duro di appassionati immortali lettori di Tezuka come il sottoscritto.
Il primo caso mal si concilia con la scarsa cura editoriale di alcune pubblicazioni (vedi Free Books, ma anche Hazard, per quanto decisamente migliore). Il secondo caso potrebbe essere un miraggio, compensato solo dalla distribuzione per librerie specializzate e dall'alto costo di copertina.

Di Tezuka amo molto alcune edizioni statunitensi (Apollo's Song, per esempio). Ma in ogni caso, vi prego, piccoli o grandi editori che avete la determinazione di pubblicare il Dio dei manga, credeteci fino in fondo e fatelo guidati dal cuore. Amatelo. Coccolatelo. Curatelo in ogni dettaglio. Non merita niente di meno.

Harry

mercoledì 10 agosto 2011

Coprire di colore

(c) jeff smith



Torno sul Tex a colori.
Come suggerito da Tiziano Angri in un commento al post precedente, la colorazione delle storie classiche di Tex è un po' come la colorazione di vecchie pellicole cinematografiche.
Il che è comprensibile. Si interviene a posteriori su un prodotto vecchio di anni, concepito per un altro formato e... un altro gusto. Non tutti possono permettersi di investire tempo, risorse, ingegno per ripensare il prodotto originale alla luce della nuova colorazione, come ha fatto Jeff Smith con il suo Bone a colori (attualmente in pubblicazione per Panini Comics). Nel caso di Bone, l'autore ha ricreato una nuova opera, per un diverso pubblico (i bambini e i giovani ragazzi). Sono stati anche rivisti parecchi dialoghi, per renderli o meno oscuri o meno adulti nel linguaggio. Personalmente non concordo con Art Spiegelman (che a quanto si dice diede a Smith l'idea del Bone a colori) nel ritenere che i colori avrebbero perfezionato il capolavoro di Smith. Rileggo e confronto le due edizioni e sono ancora convinto che gran parte della forza di Bone stia in quel bianco e nero netto e attento, vero stile intuitivo e geniale dell'autore. Tuttavia, apprezzo e capisco il senso di tale operazione. E immagino che la nuova edizione a colori abbia davvero avvicinato migliaia e migliaia di nuovi lettori negli States (nota a margine, l'incapacità di sfruttare le potenzialità di Bone in Italia sono imbarazzanti. Vedremo cosa ne farà Bao Publishing con la One Volume Edition in bianco e nero).
Ma per Tex, la questione è ovviamente completamente diversa. Innanzitutto perché, strano ma vero, il target di riferimento del Tex a colori è molto probabilmente lo stesso che ha letto e legge il Tex classico. Credo ci sia piena sovrapposizione, o quasi (escluderei qualche nostalgico purista). E soprattutto perché sul materiale già edito di Tex è impossibile immaginare una qualunque forma di revisione in funzione del colore. L'unica via, è coprire di colore. Qualche autore ne uscirà meglio, qualche autore ne uscirà peggio, a seconda del suo personale uso dei tratteggi, dell'ombreggiatura, delle campiture, ecc.

Quel che tuttavia mi colpisce, e mi lascia davvero perplesso, è la scelta di Bonelli di non produrre neppure le nuove storie (a colori) in funzione del colore, a parte il fatto di scegliere un disegnatore che per stile meglio si adatta ad essere coperto di colore, ovvero Bruno Brindisi e la sua personale e italianissima interpretazione della linea chiara. Per il resto, Bonelli ha chiesto a Brindisi di lavorare come al solito. Nessun pensiero, nessuna riflessione, su quel benedetto colore. Ce lo dice lo stesso Brindisi in un'intervista per LoSpazioBianco.it realizzata da Davide Occhicone:

Quando sei stato contattato nuovamente dall’editore per tornare a Tex ti era già stato detto che l’albo sarebbe stato colorato, esatto?
Sì, sono stato precettato, non mi è stato chiesto se volevo farlo, del resto loro sanno che possono contare su di me.

Che cambia nel tuo approccio lavorativo quando sai che l’albo sarà colorato?
Nel caso di Tex non cambia, non è una storia a colori, ma una storia colorata, all’antica, come piace ai lettori e all’editore. Il mio stile, comunque, non è mai troppo dark, quindi si presta. Ho lasciato il cielo bianco di notte. Stop.
Una scelta per me incomprensibile. Se non, di nuovo, giustificata dal semplice sono stato costretto di cui già parlavo. Interessante notare che Brindisi accenna al gusto del lettore, quando dice come piace ai lettori. Eppure, mi chiedo, IL lettore di Tex non potrebbe apprezzare, magari anche di più, un lavoro diverso, che non consista solo nel coprire di colore i disegni ma che ne valorizzi appieno il potenziale narrativo?

Harry

lunedì 8 agosto 2011

A colori



Insomma, come dichiara di qua e di là, Sergio Bonelli si è dovuto arrendere al colore.
Queste ammissioni sono, in qualche modo, una dichiarazione di intenti.
Il successo dell'iniziativa di Tex a Colori è stato inaspettato. Vero. Incomprensibile, per certi versi. O no?
C'è qualcosa di davvero automatico, meccanico, in questo Tex arcobaleno. Una sensazione, che viene confermata dalla testata del nuovo periodico (vedi sopra), che non è nulla, non è nuovo, non è vecchio, non trasmette una sensazione viva, non c'è qualcosa di lucido dietro. Sembra proprio un arrendersi (al di là che un pensiero sui grafici di casa Bonelli si dovrebbe fare).

E intanto siamo al secondo periodico a colori di casa Bonelli, dopo quello di Dylan Dog.
Convergenze:
- foliazione diversa dalla serie regolare;
- ...

Divergenze:
- formato
- scelta autori (più tradizionali per la testata in Tex; più eterogenei in Dylan)
- storie brevi vs unica storia lunga
- nessuna sperimentazione grafica e del colore in Tex, al contrario di Dylan
- totale familiarità per Tex; più imprevedibilità in Dylan
- ottima storia di impianto classico in Tex; brutte o quasi brutte storie in Dylan salvo rare eccezioni
- ...

Poi le cose mutano nel tempo. Nel nuovo Color Fest c'è la nefasta coppia Montanari & Grassani, di cui l'ottimo Faeti scrisse un bellisimo articoletto tempo fa (sarebbe bello proportelo, e in ogni caso lo trovi nel libro di cui parlo qui), per cui, tanti saluti all' innovazione e all' eclettismo, e bando a quel tocco di autorialità che sembrava alla base del progetto.
E per Tex, forse, provare con storie brevi, con stili diversi, con impianti meno realistici. Non so dire.
Sta di fatto che il passaggio al colore, obbligato qual è, in Tex per ora non regala alcun momento di emozione, a parte la buona, davvero buona storia di Mauro Boselli e Bruno Brindisi. Richieste accontentate? O solo un passaggio di transizione? Prima che qualcosa di più profondo muti davvero, con uno sguardo anche ai nuovi supporti tecnologici?
Fantascienza.
(ah, sig. Bonelli, a proposito di fantascienza, e un Nathan Never a colori? Magari con un vero progetto innovativo dietro... Forse è la testata che più ne gioverebbe.)

Harry

giovedì 4 agosto 2011

L'impossibile critica 4 (bis)

osamu tezuka


Sento qualcosa come una profonda tristezza quando osservo da fuori i meccanismi che stritolano le persone nelle loro idiozie ideologiche.
Nel quarto capitolo dell'Impossibile Critica, ho parlato delle funzioni umane che sottostanno all'esercizio della critica. Tra quelle funzioni, spesso implicite, ma ancor più spesso chiarissime, ci sono senza dubbio il potere, la lotta, la contrapposizione, la forza, la potenza.
Il mondo del fumetto in Italia è un mondo piccolo, dove girano relativamente pochi soldi, dove la visibilità politico-sociale è ridotta, dove il potere si misura in una cerchia di amici e nemici.
In tale contesto c'è chi ha deciso di assumere un ruolo, quello che viene prima del potere, il ruolo del pre-potente. Se ci pensi, il termine descrive bene questa funzione umana: qualcuno che usa la pre-potenza è qualcuno che non è potente (ma desidera esserlo), che ha paura (di non avere potere sufficiente, di non avere un luogo, di non contare abbastanza) e che sviluppa relazioni aggressive, minacciose nel tentativo di acquisire quel che manca (la potenza appunto).
Sono dinamiche umanissime, comprensibilissime, molto comuni.
Dietro a questo atteggiamento, inutile dirlo, c'è molto dolore. Un dolore che non supera i confini, che chiude a trincea, che si scherma dietro al vittimismo e all'ideologia fine a se stessa.
Per un equivalente fumettistico, puoi leggere una perla di Osamu Tezuka, Ayako (in Italia per Hazard Edizioni), che è una riflessione profondissimo e toccante, lacerante, dell'esibizione della pre-potenza umana.
Qualcosa di simile, ce lo ricorda Barbieri nel suo blog, avviene regolarmente nella politica (e nelle istituzioni religiose, e nelle famiglie, e ...), che è il luogo per eccellenza dove si mettono in atto gli esercizi del potere e del pre-potere. Nella politica e nei suoi organi di propaganda, ovvero i quotidiani, le televisioni, le radio. Attenzione, sarebbe errato pensare a questa funzione umana come legata a una precisa e unica connotazione politica. La dinamica è trasversale. Eppure, un certo tipo di vittimismo antidemocratico ha sviluppato con enorme efficacia il sistema della calunnia e della pre-potenza. L'argomentazione muore, sotto il peso dell'aggressione ideologica.
In politica, è certo, gli interessi economici sono tali da motivare (perversamente, ma umanamente) questi sistemi comunicativi e propagandistici.
Ma nel piccolo mondo del fumetto, dove, come detto, gli interessi economici sono risibili, perché si riproducono gli stessi modelli?
L'ho detto sopra, perché risponde a una funzione umana elementare, guidata dalla paura e dalla sofferenza. E perché hanno una diffusione sociale molto più ampia di quanto se ne abbia reale comprensione.
Pensiamo a un analogo intimo che ci tocca tutti. Il vittimismo e la conseguente aggressività pre-potente che a tutti noi sarà capitato di mettere in atto in qualche relazione di coppia non felice. Accusa, attacco, sofferenza, e pre-potenza, si elargiscono a piene mani proprio nel momento in cui sentiamo di perdere l'amore, il controllo, ... il potere.
Ayako ci muore, di ignoranza e pre-potenza. Il sistema fumetto, incrinato a mio avviso da un'insopportabile sofferenza costante, dovuta al paradigma della crisi permanente e alla sindrome da piccolo paese di campagna (lotte e gelosie tra vicini), ha davvero i suoi anticorpi? E ancora, come può reagire a tali rituali?
Forse davvero, come ci suggerisce Barbieri, con l'indifferenza. Un'indifferenza però comprensiva, che capisca cioè quanto dolore e rabbia ribolla nel pre-potente, e quanta umana comprensione manchi da quelle parti. Ma che sia un'indifferenza attenta, consapevole, pronta a mutare quando il limite è colmo, senza perdere il controllo e la serenità. Tanto, ogni cosa finisce nella polvere.

Harry

lunedì 1 agosto 2011

A livello superiore - Videogiochi, intrattenimento e senso di colpa (pausa)


Ehm, non disturbare.
Sto facendo parapendio su Wii.
Se non mi slogo un braccio torno presto.

Harry


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