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martedì 12 luglio 2011

Trama, il peso dell'eredità e degli antenati




Un lungo preambolo e poi la sintesi. Devi avere pazienza.

Un dilemma ideologico proprio della nostra modernità è quello della ricchezza economica. In un mondo sempre più nettamente diviso tra ricchi e poveri, la nostra esistenza di figli del benessere si colloca in un buco nero della coscienza che difficilmente esploriamo, che ha a che fare con il debito e l'eredità personale e sociale. Non è difficile immaginarlo come un ottimo spunto narrativo per un fumetto horror.
Ma di quale ricchezza sto parlando?


Ognuno di noi si porta con sé un’eredità personale stratificata, fatta di elementi materiali e oggettivi, e di elementi immateriali e soggettivi; è inoltre legata a due tipi di antenati: quelli della propria famiglia d’origine (di generazione in generazione) e quelli della propria famiglia spirituale (l’insieme di ispirazioni etico-religiose alle quali possiamo liberamente ricondurci, in positivo o in negativo e che, in un modo o in un altro, ci appartengono). Ogni eredità genera un debito personale per certi versi insanabile. Non è possibile ripagare il debito della vita direttamente ai nostri genitori, né rispetto al dono della nascita, né agli altri infiniti doni successivi (protezione, sostentamento, studio, cultura, ecc.). L’unico modo per ripagare pienamente questo debito personale è nel proseguimento della linea generazionale: procreare, dare a nostra volta la vita, estendere il debito alle successive generazioni, è l’unico modo che la natura ci ha dato.
Ma esiste anche un debito per così dire sociale, ovvero tutte le ripercussioni più o meno grandi che la nostra esistenza ha provocato sulla società (estesa) che ci circonda: ogni cosa che possediamo, che abbiamo fatto, che abbiamo mangiato, … ha una contropartita sociale. Il nostro esistere è composto di interconnessioni e di interdipendenze. Esistono diversi modi per ripagare questo debito, dal francescano ed estremo abbandono di ogni bene materiale in nome di una vocazione spirituale; a un più percorribile e prosaico aiuto agli altri. Ma in primo luogo, credo che il debito sociale debba essere pagato attraverso la consapevolezza, la comprensione dei collegamenti, di questa inter-esistenza con il mondo che ci circonda. Uscire dal solipsismo, dall’egoismo esistenziale.


La ricchezza materiale è un demone potente, per ogni generazione, e soprattutto per chi la eredita. E in qualità di demone è un ottimo oggetto per la narrazione horror. I figli del benessere, che attraversano profondamente la società occidentale in modo trasversale, spezzandola in due, sono la manifestazione più potente della stregoneria dell’incoscienza. Il denaro è un’allucinazione collettiva, e i figli del benessere ne sono gli stregoni, appunto. Vittime e carnefici della loro stessa condizione, sono portatori della colpa prima ancora di nascere, quella della mancanza di sacrificio personale per l’ottenimento di una condizione, di una posizione… dell'elusione del principio di sopravvivenza. Qualcosa che è proprio della sola specie umana, quell’accumulare al di là delle proprie necessità fondamentali, della propria sopravvivenza in termini di durata della vita. Da qui, da questi meccanismi spesso inconsapevoli, nascono disagio, sradicamento, anomia, senso di vuoto.
Implicito, in tutto questo, un moralismo netto e volgare (nel senso di popolare) per cui la ricchezza è in qualche modo un male. Un demone, appunto. Eppure una condizione agiata è anche, spesso, la base sicura dalla quale poter sviluppare un percorso personale di profonda trasformazione, dell'espressione artistica, di sviluppo di una consapevolezza che, al contrario, nella profonda povertà, nella mancanza dei beni di sussistenza, risulta quasi impossibile.


Di questa vulgata, di tutto questo implicito, ci suggerisce Trama, il peso di una testa mozzata, di Rathiger,  alla prima prova con un racconto lungo.
Trama è un horror che pesca a piene mani dai luoghi comuni del genere di cui ho già parlato: il bello come il bene; il brutto e il corrotto come il male. Solo che, all’ombra del demone del benessere, il bene può diventare il suo opposto, perché dominato dai pregiudizi, dall’ottusità e della sordità della propria condizione; il male può rivelarsi il motore di un cambiamento, per lo meno di punto di vista.




La condizione che pone Trama al lettore è basata su due delle regole dell’horror: la storia deve finire in una carneficina, e deve fare molta paura. Ma il giovane Ratigher è attento in entrambi i casi: la carneficina c’è, ma non viene mostrata, perché esterna al meccanismo che interessa all’autore; la paura (dei protagonisti) si traduce in una strana inquietudine per i lettori.
Se dovessi fare un paragone fumettistico, in termini di sensazioni e clima, mi vengono in mente certi lavori di Miguel Angel Martin così come un certo horror underground giapponese, che faccio fatica a identificare in un autore specifico, vuoi per la mia difficoltà a ricordare i nomi dei mangaka, vuoi per le mie letture disordinate e non sistematiche in quell’ambito.

Per giungere a una sintesi: Trama è figlio del pregiudizio volgare (popolare) che vuole il ricco colpevole di ignoranza (mancanza di conoscenza) esistenziale, e che troverà una forma incompleta di redenzione nella follia e nel totale sradicamento della violenza. E questo è, a mio avviso, il suo difetto più grande, per quanto socialmente comprensibile. Un difetto il cui rischio Ratigher conosce bene. L’autore tenta infatti in più parti di smarcarsi da esso, senza però riuscirci realmente, prigioniero com’è della Trama (appunto!).
Ma oltre questo moralismo indotto, che non mi appartiene né emoziona, c’è una ricerca tutta fumettistica per la narrazione, il segno e il simbolo che fanno di Trama una prova preziosa. Sono elementi che esaltano le potenzialità del fumetto, che ne ridefiniscono per l’ennesima volta i confini, facendo un piccolo, nuovo salto in là, e che raggiungono sottopelle l’immaginario del lettore, scalfendone soprattutto la corazza intellettuale, per arrivare alla parte molle delle emozioni inconsce. Soprattutto attraverso i dettagli: l’idea del titolo del peso di una testa mozzata (e non semplicemente di una testa); la geometria di certi visi; la ricorsività della narrazione; la bruttezza delle ferite; la fragile impalcatura dei cerotti a tenere insieme a stento le coscienze; l’inutile brutalità di un amplesso. Cose che fanno paura.

Harry

(e qui si chiude la parentesi horror di harrydice…,  al netto di una riflessione obliqua su Ford Ravenstock e a meno di sorprese inaspettate)


tutte le immagini sono tratte da trama, il peso di una testa mozzata di ratigher (ed.grrrzetic), diritti riservati.







mercoledì 29 giugno 2011

Il buono, il brutto e il cattivo - libere associazioni sull'estetica horror


Esiste qualcosa come un’estetica horror.

Ma le estetiche cambiano nel tempo e con il tempo. Recentemente, per mia sfortuna, sono incappato nel prequel Non aprite quella porta, l'inizio che ho trovato fuorviante. Più che estetica horror, sembrava estetismo da videoclip: nella messa in scena, nell’abbigliamento fintamente vintage dei protagonisti, nei loro sguardi belli e vuoti, nella regia, che si ostinava a seguire il culo delle protagoniste nelle fughe, in un (finto) contrasto con la bruttezza (posticcia) dell’assassino.


estetica horror da fondoschiena: non aprite quella porta

Il bello a contrasto dell’orrore c’è sempre stato. È uno schema comune quanto abusato. Anche banalizzato (come nell’esempio del film). Eppure, questo antagonismo ricalca un principio universale: la salute e la giovinezza associati alla bellezza, in contrasto con la malattia e la vecchiaia per la bruttezza, la deformità. In effetti, la bellezza risponde al principio dell’equilibrio, della conservazione e dell’omeostasi. L’abbruttimento a quello della corruzione e della morte. Niente muta le strutture quanto la putrefazione.
Da qui, derivano due atteggiamenti nevrotici interconnessi tanto comuni nella nostra società: l’attaccamento a tutti i costi a un’ideale di bellezza etero-diretto (e imposto), con le sue tante derive patologiche quali il continuo ricorso alla chirurgia estetica; il rifiuto e il terrore per qualunque cosa che si discosti dall’ideale di bellezza, o di diverso da un preciso canone.

Da un punto di vista psicologico, bellezza e orrore si possono facilmente collegare al concetto di ombra espresso da Jung, e di cui, sul piano narrativo, Louis Stevenson ci ha dato una perfetta e insuperata rappresentazione in Dottor Jekyll e Mister Hyde. La deformità di Mister Hyde (la nostra ombra nascosta) è proporzionale alla sua perversione, contaminazione morale. E qui, un nuovo collegamento. Al bello è associato il giusto e il puro, su un piano morale.

dottor jekyll e mister hyde nell'interpretazione grafica di mattotti

Bellezza e saggezza hanno anche un principio biologico: la rabbia, la tristezza, la paura, l’angoscia deformano l’espressione del viso e piegano il corpo; la gioia e la pace d’animo accendono il sorriso ed elevano il corpo.

Nel fumetto, che vive di semplificazioni visive e iconiche, la rappresentazione del male e dell’orrore è spesso associata a caratterizzazioni dei personaggi coerenti con il principio di cui sopra. E sorprendono ancora oggi esempi che contrastano con questa legge: la perversione e il male nascosti dietro a volti angelici, puliti, apparentemente puri. Infrangere la regola vuol dire utilizzare la tecnica della sorpresa, della mistificazione, della finzione.

C’è un principio ulteriore nell’orrore nascosto dietro al bello. Quello del distacco. Un essere corrotto, per mantenere una sembianza bella, incontaminata deve distaccarsi dalle emozioni che si collegano all’orrore e al male. Queste figure sono spesso rappresentate come inespressive, gelide, se non enigmatiche. Un maestro dell’ambiguità (morale e nella caratterizzazione dei personaggi) è Naoki Urasawa. Monster, che al momento considero la sua opera più appassionante, è piana di personaggi di questo tipo, sia maschili che femminili, coerentemente con il mistero che sottende la narrazione e l’ambiguità dei comportamenti.

naoki urasawa: buono o cattivo?


Al contrario, in Tex della Bonelli, serie che non è certo nota per il suo approccio iconoclasta, i cattivi sono spesso rappresentati in modo tradizionale: brutti, sporchi e cattivi. Un approccio di cui a suo tempo si lamentò Gianfranco Manfredi, in occasione della sua collaborazione con Miguel Angel Repetto, colpevole a suo dire di rappresentare i personaggi secondo questi principi che lo sceneggiatore definisce cliché. Non è un caso, quindi, se il protagonista negativo dell’ultimo lavoro di Manfredi su Tex (nel Texone attualmente in edicola) è rappresentato come un uomo bello, pulito, e… enigmatico.

copertina del max tex di manfredi e repetto

L’horror, tuttavia, ha un arma in più. Collegandosi spesso al metafisico, se non al fantasy, e comunque a un’idea dell’esistenza che non si limita solo a quanto è concretamente visibile, le manifestazioni del male (e la loro rappresentazione) possono giocare con il grottesco, con l’estremo. Basta riprendere in mano le classiche storie horror della EC Comics per osservarne una carrellata. Sono, questi, fumetti seminali, perché definiscono davvero un’estetica specifica, piegando tecnica e ideazione visiva degli autori alle esigenze narrative che sfoceranno, in particolare nella fase di apice delle pubblicazioni, in esagerazioni discutibili sul piano dei risultati narrativi ma senza dubbio potenti e consistenti. È a questa tradizione che si ricollegano per esempio Alan Moore e Steve Bissette nella creazione delle prime storie di Swamp Thing, così come Charles Burns nel suo capolavoro horror Black Hole. L’estetica EC Comics, per quanto disomogenea come ci si potrebbe aspettare visto i numerosi talenti che vi hanno collaborato, a mio avviso può essere sintetizzata in tre concetti: freddezza e distacco; deformità; ribaltamento dei punti di vista.


alan moore e steve bissette: swamp thing

A questa tradizione, commista a un’attenta rilettura di una specifica ricerca horror giapponese e a un segno che sembra avere legami stretti con certa tradizione italiana (Magnus su tutti), sembra rifarsi Ratigher nel suo Trama, un lavoro che gioca sul luogo comune e sulla contaminazione delle coscienze. In attesa di approfondire Trama, ti lascio con un videoclip horror inaspettato e riuscito, che perfettamente riflette su quanto ho parlato qui: bellezza, corruzione del corpo, inquietudine e ambiguità. La canzone è Istrice dei Subsonica, il regista è Cosimo Alemà.



Harry

giovedì 9 giugno 2011

Orrori quotidiani

(c) thomas ott


Nella mia esperienza di lettore di fumetti, c’è un idea piuttosto chiara che si è consolidata nel corso degli anni di letture: il fumetto horror per lo più fa schifo.

Ammetto di non essere un amante del genere in ogni sua forma. Quella che più apprezzo è forse quella letteraria, mentre il cinema o mi annoia terribilmente, o mi innervosisce al punto da non comprenderne la finalità. Questi i miei limiti personali. Li dichiaro, così sai il punto di partenza.
Sarebbe bello quindi stabilire cosa connota oggi il genere horror, ma soprattutto perché un autore di fumetti dovrebbe realizzare oggi un horror. Qualcosa di simile fu tentato da De:Code nella sua ultima incarnazione in pdf prima della sua compianta e prematura scomparsa, ma si limitò a parlare di zombie, e lo fece dal punto di vista più nerd possibile. Una leggerezza? O una necessità imposta dall’assenza reale di argomenti, se non quello di un vago approccio nostalgico?

Purtroppo sai quanto mi piace entrare in strade impervie e soprattutto quanto mi annoiano le definizioni. Anzi, alle definizioni mi piace avvicinarmi per difetto, per contrapposizione. Quindi, provo a pensare al genere horror in modo non convenzionale, obliquo. Da questo punto di vista, il primo autore che mi viene in mente è lo svizzero Thomas Ott (Black Velvet). Le sue storie sono governate da una logica del fato talmente precisa che mi provocano immediatamente un senso di oppressione, di soffocamento. Ott rivela l’ineluttabilità del male nell’esistenza umana. Non riesco a pensare a qualcosa di più spaventoso. Impotenza, mancanza di libertà, unico destino la disperazione e la morte.





Un secondo autore che percorre i territori dell’orrore in modo obliquo ma sempre più deciso, lucido e spaventoso, è Gilbert Hernandez che con i suoi fumetti/B movies mostra l’abbruttimento che ambizione, sesso e denaro generano necessariamente. Chance in Hell ne è l’esempio più limpido. Difficile non immedesimarsi nella ragazzina protagonista e vittima di una parabola di vita violenta e segnata.


(c) gilbert hernandez
In ambito più mainstream, continuo a pensare che il miglior fumetto horror realizzato negli ultimi anni non sia The Walking Dead ma Girls dei Luna Brothers (pubblicato in Italia da Free Books), dove su uno sfondo fantascientifico in stile Invasione degli Ultracorpi si sviluppa una vera e propria tragedia sociale, mossa dal principio universale della differenza di genere tra uomo e donna. Una metafora attuale e spaventosa, gestita con una lucidità sorprendente dalla coppia di autori, soprattutto nelle implicazioni sociologiche ed epidemiologiche che così tanto risuonano con i terrori della nostra quotidianità (violenze sessuali, aids, omofobia, misoginia, …). I Luna Bros. muovono i loro personaggi in uno scenario fittizio, in un microcosmo controllato ma non per questo irreale. Solo dannatamente sperimentale (leggi laboratorio sperimentale) e asfissiante.






Come vedi, da questa breve, brevissima lista, quello che mi interessa è l’orrore del quotidiano che prende strade impreviste. Che esplode da dietro le coscienze. Lo stesso effetto che mi fa immaginare una figlia che uccide il proprio padre, o il fidanzato la fidanzata, o una coppia i propri vicini rumorosi… insomma, quello che subiamo quotidianamente nella cronaca nera. Con la differenza che la cronaca nera spettacolarizzata da Vespa e insetti simili diviene perverso voyerismo, mentre quella raccontata da Ott, Hernandez e Luna Brothers è un pozzo nero che si apre sulle infinite possibilità della narrazione. E tutte con un approccio che è totalmente fumettistico.

Ed è qui che arrivo a Ratigher e al suo Trama. Ma ne parlo un’altra volta.
Harry

domenica 15 maggio 2011

Fumetti per ricchi

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La versione a fumetti di Harry è (c) di Daniel Clowes.