Quando recentemente il Capo di Stato Papa Ratzinger si è recato a Londra ha chiesto scusa per gli abusi sessuali compiuti da alcuni esponenti della Chiesa Cattolica, promettendo una maggiore vigilanza.
Non ha però ammesso le responsabilità dirette della dirigenza della Chiesa nell'insabbiare, nascondere, negare e, in definitiva,
non aver fatto ogni cosa possibile per evitare che quei fatti si ripetessero. La credibilità della Chiesa prima di ogni altra cosa. L'effetto boomerang non era previsto.
Quello che consiglio a Papa Ratzinger, da piccolo uomo che osserva i fatti del mondo, è di leggere un piccolo libro,
Perché ho ucciso Pierre, di Alfred e Oliver Ka (Ed. Tunuè).
L'ombra della colpa, dell'inaccettabile dolore di fronte a chi si crede un amico e, prima ancora, un uomo di fede, viene trattato con leggera devozione all'arte del ricordo e dell'introspezione.
Perché ho ucciso Pierre offre un punto di vista, quello della vittima, di fronte alla tragedia dell'abuso sessuale, e svela una possibile strada di redenzione.
Ma suggerisce anche il dolore e l'angoscia di chi quegli atti ha commesso.
Quello che la Chiesa non ha capito, negli anni, nei secoli, è il fatto che mettere la persona che perpetra un abuso nella condizione di non poterlo più commettere, è innanzitutto un atto di generosità verso quella stessa persona. Metterlo al salvo dalla propria terrificante instabilità, dal proprio terrificante desiderio, dalla propria perversa dimostrazione di potere, riflesso dell'impotenza.
La via di Perché ho ucciso Pierre è semplice, perché sa parlare a tutti, senza retorica e senza un vittimismo pietistico che sarebbe legittimo quanto anti-narrativo.
Perché ho ucciso Pierre funziona quindi su più piani di lettura, e sa coinvolgere e commuovere con delicatezza. Una lezione artistica, una lezione di vita, verso la riconciliazione con sé stessi e il mondo.
A Papa Ratzinger potrebbe piacere.
Harry