sabato 31 luglio 2010

Uccidere il coyote



Quando Grant Morrison aprì le sue porte al meta-fumetto, con la famosa storie del coyote (Coyote Gospel) nella serie di Animal Man, si aprirono molteplici possibilità all’interno del genere supereroistico prima inesplorate.
A dire il vero, quel che fece l’autore britannico fu portare alle estreme conseguenze, quelle in cui lo sceneggiatore diviene egli stesso personaggio e si mettono in discussione tutte le regole fondamentali della narrazione di genere, a partire dalla sospensione dell’incredulità. Ma già Stan Lee e Jack Kirby, per esempio, sin dalle prime storie dei Fantastici Quattro negli anni ’60, hanno giocato con i lettori attraverso espedienti meta-narrativi, parlando direttamente al lettore, fingendo l’esistenza dei fumetti dei Fantastici Quattro nel mondo Marvel, e così via.

Il fumetto ha una strana predilezione per la meta-narrazione. In anni recenti, anche il fumetto indipendente, con la sua virata “formalista”, ha utilizzato tecniche di questo tipo, ma con finalità differenti: se nei comics di supereroi l’obiettivo era quello di aprire scenari avventurosi inediti, con pieghe relativiste ed esoteriche, negli art comics di Ware, Seth e amici parlare di fumetto, delle sue regole e dei suoi topoi nei fumetti stessi è per lo più un modo per riflettere sul potenziale che questa forma espressiva ha.

In Italia, beh, in Italia c’è Leo Ortolani. Rat-Man nasce come parodia di Bat-Man, e in quanto tale è geneticamente meta-fumettistico. Il fatto è che l’autore non si è accontentato semplicemente di giocare con i luoghi comuni del genere supereroistico (qualcosa di simile venne già fatto in lingua inglese con Brick-Man), ma ha utilizzato tale approccio per riflettere sulla dimensione umana del fumettista, sul significato della creatività e sulle incertezze che la professione e il fumetto stesso pongono.

Il meccanismo è talmente oliato da risultare “necessario”, dopo così tanti anni. Eppure Ortolani ha una sensibilità curiosa e infedele agli stereotipi, riuscendo a passare senza tregua dalla comicità alla satira alla parodia al dramma.
Ma è sufficiente, questo, per ritenere Ortolani un vero narratore? Pongo meglio la questione. È in grado Ortolani di raccontare seriamente una storia? Sembra un paradosso, oppure una visione riduttiva. Ma non è superfluo chiedersi se, tolto il piccolo e innocuo esperimento di molti anni fa con Ade Capone in una miniserie “realistica” dimenticabile, l’autore sia capace di raccontare senza “interferire” con le emozioni dei lettori attraverso il salto dall’ “altra parte”.
Non dimentichiamo che l’uso della meta-narrazione può essere un valido modo per nascondere la mancanza di idee. A corto di trovate originali, è facile costruire storie giocando su racconti e modalità già utilizzate da altri. Final Crisis ancora di Grant Morrison è, in questo senso, un esempio tristemente riuscito per ben due volte: primo, perché è l’ennesima interpretazione meta delle storie di supereroi; secondo, perché l’autore ripete sé stesso in una modalità sterile e stucchevole.
E ancora, la meta-narrazione è un buon modo di “sdrammatizzare” laddove si rischia di finire nel melodramma, nel sentimentalismo o nel nichilismo. Lo sapeva bene, in narrativa, il compianto José Saramago, che ha fatto del dialogo diretto con il lettore un modo privilegiato per “gestire” le emozioni, per minimizzare eventi e tragedie e pertrovare agili scorciatoie alle sue trame. Saramago era unico, in questo approccio, per la letteratura. In mani meno sapienti, quello stesso gioco si sarebbe rilevato sciatto e futile.

Sarebbe impensabile raccontare una storia di Rat-Man senza meta-fumetto?
Probabilmente sì. Impensabile e inutile.
Eppure rimane il sospetto che quando Ortolani chiuderà la sua vicenda meta-narrativa finirà sul serio di scappare dal coyote, ovvero dallo straordinario narratore che è.

Harry



domenica 25 luglio 2010

La morte ti fa bella



Ti avviso, se leggi Jan Dix e non hai ancora letto l’ultimo numero della serie, qui ti svelo il finale.

Jan Dix è la maxi serie di Carlo Ambrosini che termina in luglio con il quattordicesimo numero. La conclusione era prevista, ma con qualche speranza, a differenza di chiunque coinvolto nel progetto ti dirà oggi. La speranza era che, come successe per Napoleone, le vendite permettessero un prolungamento oltre i quattordici numeri. Anche per questa ragione, Jan Dix è concepita come una serie slegata di episodi, senza un inizio e una fine predefeniti, in uno sviluppo coerente. Ma le vendite non sono state buone. Da quanto scrive Sergio Bonelli e Ambrosini stesso nell’introduzione all’ultimo numero, si tratta di nicchie di lettori, affezionati, attenti, intelligenti, curiosi, stimolanti, blabla, ma pochi.
Nell’introduzione di Peter Milligan al secondo tradepaperback di Young Liars di David Lapham (di cui vi parlerò presto), l’autore britannico ammette che ci sono storie che necessitano di essere di nicchia, perché quello che viene raccontato è inaccessibile, si potrebbe dire, alla coscienza collettiva di massa.
Se vale per Young Liers, non è il caso di Jan Dix.

Dix è un Investigatore dell’Arte, o qualunque altra definizione inappropriata vuoi usare. Non vuol dire altro che Arti Figurative più delitti o misteri più passioni umane.
Ha base ad Amsterdam ma ha respiro internazionale. Il protagonista soffre della peggiore sindrome dell’antieroe, ovvero un’ambiguità che sfocia nell’anonimato che, si direbbe dal finale, porta all’anomia.

Ambrosini ha vocazioni chiare. Utilizzare forme da fumetto popolare per avvicinarsi al fumetto artistico, colto e… intimista. Insomma, in qualche modo, boicottare l’avventura in funzione dei sentimenti, quelli "adulti", quelli "veri", quelli della depressione dell’età adulta irrisolta.
Dix è vittima del suo autore, dei suoi lettori, delle sue passioni da protagonista anonimo e nell’ultimo numero lascia questo triste mondo scaraventandosi con la sua auto contro un treno. La sua vita termina in quello che si potrebbe dire il numero più bello della serie, non a caso scritto e disegnato dal solo Ambrosini, quello più emblematico, che segna in modo chiaro l’insuccesso del progetto dell’autore.

L'errore: l’arte figurativa così come è osservata dall’autore è un’arte morta. È quella dei musei e dei saggi stratificati. Paolo Conte, in una sua canzone, diceva

È gente per cui le arti stan nei musei

Tutto qui. I Monet, i Picasso, i Tintoretto, … avvicinati con sguardo per certi versi esoterico, simbolico, non appartengono più alla nostra cultura del quotidiano. Il che naturalmente non dovrebbe precludere nessuno a parlarne. Ma Ambrosini non riesce a riportare questi autori e le loro opere nel cuore della nostra quotidianità. Da qui, si direbbe, il rifugio in un mondo "adulto", dove adulto vuol dire privo di speranza, dove l’irrazionale è incompreso, è subito, è depressivo. Jan Dix sembra un rifugio, dove il fumetto diventa torre rialzata lontana dal mondo, chiusa dalle mura della griglia, della forma, del pubblico bonelliano, isolata dall’impossibilità di un linguaggio inadatto, sterile.

Non sono mancate storie coinvolgenti e riuscite: La guerra (con Bacilieri), Una tragedia americana (con Mammucari) e questo finale Lo sguardo cieco. La solitudine di Jan Dix, che si ritrova schiacciato dalla nostalgia per la propria madre scomparsa da anni, è un atto narrativo generoso e onesto di Ambrosini, che trova una voce autentica e senza mediazioni e che sfida tutte le logiche base dell’avventura bonelliana. Un non-Bonelli, insomma, per un finale senza consolazione. Per l’autore, che torna a lavorare per Dylan Dog, per il protagonista, per le Arti Visive, per il fumetto non-avventura in Bonelli. Un punto di non ritorno?

Harry.

E poi...



abbracciare Tito Faraci
ovvero

gruppo di autoaiuto per fumettisti anonimi.
Leo Ortolani sta ancora scappando?

Harry

Presto, ancora...



del mettersi a nudo, ovvero delle parole di Gipi
o di Andrea Pazienza
ovvero

per comunicare si deve avere qualcosa da dire?

Harry

sabato 24 luglio 2010

Presto...



Parole su:

la fine di Jan Dix, in tutti i sensi
i giovani bugiardi di  Lapham, e del superare il limite
le favole di Willingham, e i premi meritevoli

giovedì 15 luglio 2010

Intanto...

... mi prendo una pausa. Vado, poi torno.
Presto.
Intanto prendo appunti.

L'estate è una corsa meravigliosa.

Harry


(c) daniel zezelij

mercoledì 14 luglio 2010

Reperibilità



Non capisco.
Forse volumi come questo dovrebbero essere sempre reperibili. Credo sia il senso di questo tipo di ristampe. O no?
Ebbene, il Devil di Miller e Janson è di nuovo affare per pochi. Esaurito.
Abbi pazienza, e spiegami se capisci.

Harry

lunedì 12 luglio 2010

Letture distratte



Sono un lettore del cazzo, uno qualunque. Ancora, sono un lettore distratto. Pendolo giornalmente avanti e indietro per un lavoro che sopporto a stento, e che il viaggio mi rende più odioso. È il viaggio che mi permette di essere distratto lettore onnivoro. O qualunquista. Fai tu. Al mattino mi reco in edicola, uno dei pochi piaceri che mi rallegrano la giornata. Osservo le novità e, diavolo, lascio lì ogni giorno una parte del mio stipendio. Leggo ad abbuffate. Sono distratto, ma aperto. E quella mattina ho comprato il Canemucco 2. Non l’1, ché a giugno era già andato e non l’avevo visto prima. Il 2, e già un po’ mi innervosisco, ma fa niente. Mi piace quel papero in copertina che dice parolacce sotto falsa censura. Mi chiedo cosa c’entri con la Disney.
In treno leggo, seduto nel posto più arieggiato, e perdo i riferimenti.
Makkox? Brutto pseudonimo. La tua storia non la inquadro. Leggo la finzione erotica via web più realistica che mi sia capitata finora, in quello scambio chit-chat che non arriva sotto alla mia cintura, ma mi accende una nostalgia romantica. Il sesso come amore. Come fuga.
Non ci sono contorni, dietro a questi personaggi scontornati, che si espongono senza presentarsi, entrano in scena così come sono, brutti abbozzi di vita. Non ci sono contorni ma paesaggi, appesi vicino alle vignette. E una storia che se è genere, forse noir, in realtà li trascende, i generi. Perdo i riferimenti, come dicevo. E un po’ mi innervosisco. Di nuovo.
La soria si muove veloce. Ecco un riferimento, queste vignette scontornate, che forse nascono dalle forme del web, hanno i tempi di lettura del Diabolik, due per pagina (tre? Una?), e si scivola nella vicenda verso un finale non consolatorio, senza protagonisti certi, senza personaggi ricorrenti (o si?! Il primo non l’ho letto, diavolo!) e senza quei riti che piacciono tanto a noi lettori distratti, quelli che le ultime pagine costituiscono riassunto, spiegazione e morale in atto unico.
Makkox improvvisa, questo è un fatto certo. Inizia e la storia lo guida o i personaggi o le idee o i dialoghi, così indiretti, obliqui da sembrare reali, perché parlare, a noi umani, ci viene spesso così, parliamo per distrazione, senza finalità se non per riempire gli spazi. Makkox (ce l’avrà un nome vero!) improvvisa avanti e indietro, e dalla sua immaginazione matura qualcosa, che trova una casa in un giornaletto di 100 pagine a colori, piccolo ma accogliente.
Ora, da lettore qualunque(ista) chiedo, chi ha il coraggio di sviluppare un tale progetto, così diverso, così inedito, da lasciare soli tutti gli altri prodotti da edicola? E perché voler perdere tutti quei soldi? E perché rischiare per un signor nessuno, che nemmeno un soprannome come si deve si è trovato?
Forse perché quelle storie ti parlano, ti arrivano dirette in faccia, ti affamano mentre sfamano, nel loro sguardo pop imbevuto di tutto, completo di tutto. E aperto a tutto.
Lunga vita. Noi lettori distratti abbiamo fame.

Un lettore qualunque

domenica 11 luglio 2010

Dopo Rat-man



Uno dei personaggi non protagonisti più divertenti del fumetto italiano è senza dubbio l’Andrea Plazzi di Leo Ortolani. Un essere proveniente da un’altra dimensione, di proporzioni matematiche e trans-editoriali, il Plazzi ha collezionato apparizioni poco numerose ma sempre di rilievo all'interno di Rat-man.
La capacità di Ortolani di cogliere con ironia e sberleffo le caratteristiche di una persona e del suo ruolo è ineguagliabile.

 

Leggendo Rasl di Jeff Smith fantasticavo su quale strada potrà prendere Ortolani terminato il suo Rat-man (perché accadrà, come ha più volte detto l’autore stesso).
Smith, si sa, è lo straordinario creatore di Bone, uno dei fumetti più importanti della scena statunitense nei decenni 1990-2000. Bone sorprese tutti più volte. Per il suo esordio inaspettato, dove l’umorismo e la forza narrativa colpirono dritti al cuore (chi non ricorda l’improvviso arrivo dell’inverno nelle prime scene della storia, o il primo incontro tra Bone e Thorn?!); per la sua evoluzione fantasy drammatica e plot-oriented (fin troppo, aggiungerei, banalizzando in chiave Il Signore degli Anelli un lavoro prima indefinibile). Da qualunque parti lo si osservi - importanza per il “movimento” del fumetto indipendente statunitense; bellezza del tratto e qualità dello story-telling; divertimento per le sue qualità umoristiche; ecc. – Bone è uno dei fumetti più rappresentativi degli ultimi due decenni e Smith uno degli autori più bravi.
L’edizione “definitiva” di Bone, che consiglio a chiunque se la cavi un po’  con l’inglese, è Bone One Volume Edition, anche perché la serializzazione in italiano ha  sofferto per le troppe incarnazioni e l’attuale pubblicazione Panini a colori ha tempi lunghi e … il bianco e nero dell’edizione originale è magistrale. Per quanto ben fatta e curata nei dettagli dallo stesso Smith, il colore è quello che è, un buon espediente per avvicinare i ragazzini alla sua lettura.

Come per Ortolani, molti si chiesero cosa avrebbe fatto Smith dopo Bone. Una serie umoristica che  richiamasse il suo capolavoro, o qualcosa di completamente diverso?
La prima scelta avrebbe giovato alle aspettative e alle speranze di molta parte del suo pubblico, ma avrebbe generato un confronto per certi versi insostenibile. La seconda, avrebbe messo in discussione tutto il suo pubblico e messo alla prova la duttilità dell’autore, ma avrebbe dato a Smith piena libertà espressiva e nessun confronto diretto con Bone.
Inutile dire che Smith ha scelto la seconda strada. Rasl è  un fumetto sci-fi drammatico, sicuramente non di genere umoristico, con un approccio e tematiche adulte, molta violenza (non gratuita) e una base tematica scientifica solida e documentata.
I riferimenti stilistici sono talmente tanti (da Jack Kirby a Milton Caniff) che è inutile approfondirli, perché totalmente integrati in una sintesi stilistica personale. Di Bone restano le curve morbide del tratto, l’attenzione unica all’uso del bianco e nero, la capacità di far recitare i personaggi attraverso gesti, posture, ingombri ed espressioni del viso. Il resto è continua sperimentazione, classica, senza sperimentalismi, semmai il tentativo di raccontare sempre al meglio, mettendo in gioco tutto quello che Smith conosce della nona arte.
Rasl è una delle letture più coinvolgenti del 2010, di cui è difficile prevedere l’evoluzione e la struttura. Una grandissima prova d’autore, quindi, coraggiosa e determinata.

Non so quando Ortolani terminerà davvero Rat-man. Continuo a seguire il suo personaggio con divertimento (e un po’ di stanchezza, lo ammetto). Ma spero che, dopo la sua conclusione, l’autore abbia il coraggio e la determinazione di fermarsi e… cercare una nuova strada, per mostrare e mettere alla prova il suo infinito talento.
Spero ci sorprenderà.
Smith sta dimostrando che si può, si deve fare. Il mercato italiano lo permetterebbe a Ortolani?

Harry
di seguito le prime 3 tavole di Rasl 4, (c) jeff smith


venerdì 9 luglio 2010

Di quale Dio?



Dell'ultimo "romanzo a fumetti" Bonelli, Mohican, sceneggiato da Paolo Morales e disegnato da Roberto Diso, posso dire che si tratta dell'ennesima interpretazione del genere western per l'editore di Tex. Cosa che di per sé non rappresenta alcuna novità, purtroppo. Lo sviluppo della storia è prevedibile, per quanto ben scritta, e Diso si conferma abile professionista, ma forse un po' freddo, distaccato, eccessivamente "professionale". Per intenderci, la storia è più vicini all' "umanesimo" di Berardi (più del suo Tex in Oklahoma che del più imprevedibile Ken Parker), meno al dinamismo avventuroso del Tex di Gianluigi Bonelli.

Di Mohicani non so nulla. Non del film, non dei romanzi con protagonista Nathaniel Bunppo.
Mi colpisce però, in negativo, come Morales nel fumetto affronta il tema della religione. Nathan scorta un gruppo di protestanti, tra i quali spicca una giovane, bellissima ragazza. Le dinamiche relazionali sono le solite, e la passione d'amore sembra in grado di mettere in discussione qualunque fede.
Purtroppo, il tema della religione in Mohican è un elemento avulso dalla vita, e ha esclusivamente funzione narrativa. Non ha elementi di realtà se non quelli necessari a una vaga verosimiglianza ed è sviluppato solo in relazione alla storia. 

Non ricordo fumetti seriali italiani nei quali il tema della fede sia trattato in modo non meccanico e non schematico. Trovo strano che un fatto umano così importante, che condiziona così tanto le vicende personali e sociali, le relazioni e le scelte di vita sia così assente dal fumetto popolare.
Non so neppure dire se si tratti di laicismo o di tabù.
Qualcuno ricorda qualche eccezione significativa?

Harry

Educazione (alla scrittura) - seconda parte



Ancora a proposito della narrazione di sé.
Ancora a proposito dell'educazione.

Uno dei passaggi cruciali che si fanno durante la scuola è quello di capire cosa si può fare quando si deve scrivere. C’è un passaggio che per molti non avviene mai, ma che per qualcuno è l’apertura di una serie infinita di possibilità. È la consapevolezza di poter esprimere sé stessi, i propri pensieri, la propria immaginazione, quando si scrive.
Tema: Siamo soli? Esistono gli extra-terrestri (sintesi di uno dei titoli delle prove di maturità 2010).
Svolgimento 1: Cosa vogliono che racconti?
Svolgimento 2: Cosa voglio raccontare?

Il passaggio alla narrazione attraverso sé e di sé, dove il proprio mondo psicologico diventa nodo centrale di quel che si scrive, può traghettare l’esperienza passiva e imposta dall’autorità verso il divertimento e la passione.

Con il disegno, le cose iniziano molto prima. Già durante la scuola dell’infanzia, i bambini sono incoraggiati a giocare con forme e colori sui fogli. È un lungo percorso educativo che molto spesso passa attraverso l’omologazione a modelli e regole precostituite. Per questa via, molti bimbi possono perdere identità, passione e divertimento e, se troppo distanti dai modelli, possono essere etichettati come incapaci. Eppure, il disegno, come forma di espressione, mantiene una spontaneità e una vitalità molto chiara a chi osserva i bimbi al lavoro. La mediazione della parola, della grammatica e della sintassi, a dar forma a pensieri e idee, è un’impresa più ardua, che raramente offre soddisfazioni immediate e che necessariamente si sviluppa in età più avanzata.
In questi cicli educativi, nelle scuole italiane, il fumetto è totalmente assente, se non come forma spuria e per lo più inconsapevole.
Immagina quale potenzialità potrebbe avere in un pre-adolescente, o in un primo adolescente, l’unione di un disegno già in buona parte “evoluto” e di una scrittura “acerba” per educare al racconto di sé. Naturalmente questo potrebbe presupporre un ripensamento dei metodi educativi sul disegno: non più singoli disegni isolati, ma elementi di una forma di narrazione sequenziale (cosa che avviene molto raramente). Al contempo, richiederebbe di ripensare all’uso della parola scritta, nelle sue forme più sintetiche e funzionali allo svolgimento di un racconto con immagini e, per queste caratteristiche di supporto al racconto disegnato, di più facile appropriazione da parte dei bambini.

Educare alla narrazione di sé vuol dire aiutare le persone a sviluppare idee di sé. In molte attività di formazione psico-sociale, si insegnano tecniche narrative per aiutare i partecipanti ad acquisire consapevolezza e a supportare fasi di cambiamenti o di crisi. Si arriva persino a parlare del sé come di un testo scritto e da scriversi.
Raccontarsi è sempre uno strumento di auto-guarigione, non facile e non indolore, perché presuppone la necessità di guardarsi d’avvero.
Certo, il passaggio dalla scritture di sé per se stessi alla scrittura di sé per un pubblico è un altro nodo fondamentale nelle imprese artistiche. Ma se manca quella  prima scintilla, quel primo bisogno, il resto
non può fiorire.



(c) gipi


Il disegno ha una portata autobiografica inarrivabile, che è quella della personalità del tratto. Una semplice linea tracciata da una mano veicola immediatamente un’idea di quella mano, ed è unica, quasi quanto la voce di una persona. Anche nelle forme di fumetto più realistico, il tratto non è anonimo o indifferente (o, se lo è, rivela un’incapacità, quanto meno) ma veicola un intero mondo psicologico, che è quello proprio del disegnatore.


(c) jeffrey brown


Se, poi, l’intento è quello di narrare di sé in una vera e propria autobiografia, ecco che le possibilità  si moltiplicano e il tratto personale diventa fondamentale. È da questo punto di vista che si possono osservare le ricerche artistiche di Gipi, di David B. e di Jeffrey Brown (solo per citare tre autori rappresentativi di nazionalità diverse), dove non è più la bellezza, l’eleganza, la ricchezza del tratto a funzionare, ma la forza iconica, l’idiosincrasia, l’immediatezza. Per Gipi è una sorta di manifesto, nel suo ultimo romanzo, La mia vita disegnata male. Per David B., il disegno (che, senza banalizzare, non si limita solo al tratto) è una porta per l’inconscio e la comprensione del dolore. Per Brown è la sintesi del minimalismo, il disegno realizzato al bar, mentre la vita scorre; appunti di vita, quindi, che richiedono velocità (nella realizzazione, nella codifica, nella comprensione) e appaiono fragili e nudi.


(c) david b

Ecco, arrivati al punto, mi piacerebbe pensare a una scola che insegni ai bambini e ai ragazzi a far proprio il manifesto di Gipi: raccontare ognuno la propria vita disegnata male, come viene, come si sa fare, per arrivare al cuore di sé, dei lettori e del potenziale espressivo del fumetto.

Harry

giovedì 8 luglio 2010

L'indomito sé



Le autobiografie fanno male, per primo, a chi le scrive.
Richiedono il coraggio di mettersi in gioco e a nudo, di fronte al lettore.
Le psicopatologie quotidiane in autobiografia sono ancora più dolorose, perché il gioco narrativo rischia di trasformarsi in autocommiserazione, da un lato, in maniacale esaltazione di sé-artista, dall’altra.
Per arginare questi pericoli, molti autori di fumetti utilizzano due  stratagemmi: l’ironia e/o la meta-narrazione.

Toni Bruno, autore e protagonista de Lo Psicotico Domato (Nicola Pesce Editore), gioca entrambe le carte con un risultato non sempre convincente. C’è in Bruno il timore di fare sul serio, di sporcarsi e inguaiare davvero il lettore con il dramma e il dolore della sua vita. Una voce non pienamente chiara, quindi, accanto a un’idea di sé ancora frammentaria, probabilmente, trova nell’ironia e nella meta-narrazione delle vie di fuga, piuttosto che dei veicoli efficaci per far capire al lettore da dove arriva quel grumo di dolore, quel senso di non appartenenza.

Eppure, Bruno, nei suoi tentennamenti che a mio avviso risentono soprattutto dell’affabulazione piuttosto che del disegno (eccessiva e troppo involuta, la prima, più chiaro anche se con uno stile ancora non pienamente delineato, il secondo), Bruno, dicevo, riesce in due obiettivi, più o meno consapevoli: ricordarci la fatica e l’impegno che richiede trovare una propria voce espressiva netta e determinata; mostrarci la confusione, il baratro e l’incertezza che nascono dal disagio psichico, così poco narrato nel fumetto italiano, così difficile da comprendere per chi ne è estraneo.

Un’opera quindi interlocutoria, che pure fa pensare. Sull’autore, e sul fumetto italiano.

Harry

mercoledì 7 luglio 2010

IoPad

Abitudini, usi, formati, marketing, diffusione...
con l'Ipad. Su LoSpazioBianco.it
Io ho più domande che risposte.

Harry

lunedì 5 luglio 2010

Dimensioni oblique



Immerso nelle dimensioni oblique di Rasl.
Non disturbate.
Jeff Smith, tu sia maledetto!

Harry


sabato 3 luglio 2010

Mamma!

Da qualche mese ho intenzione di parlare del progetto satirico di Mamma.
Ora non ho tempo di approfondire. Posso solo mettere in evidenza la tag-line, che è una delle migliori che mi è capitata di leggere in anni: Se ci leggi è giornalismo. Se ci quereli è satira.
La piccola società italiana non merita di meglio.
L'occasione per invitarvi a navigare tra le sue pagine (e ad acquistare la rivista) mi viene dall'anteprima della classifica dei blog di attinenza fumettistica di luglio di Wikio, gentilmente inviatami dallo staff su segnalazione di Stefanelli, dove Mamma figura al primo posto.

Buona lettura.

1Mamma! Satira e giornalismo
2Fumettologicamente
3Cartoonist Globale
4afnews.info
5vukicblog
6flaviano's
7INSERTO SATIRICO
8comicsblog
9Mulholland Dave
10Scuola di fumetto
11Fumetti di Carta
12harry dice...
13Guardare e leggere
14Balloons - Il blog delle comic strip
15Stunf.it
16Verticalismi
17AlboBlog - V3.0
18Rizzoli Lizard
19MangaForever.net
20CARAVAN
Classifica curata da Wikio

giovedì 1 luglio 2010

Il nuovo Spazio Bianco - intervista



Come sai, Guglielmo Nigro è un mio caro amico. È da anni che dialoghiamo a distanza sul fumetto. Mi ha anche dato una mano essenziale per avviare questo blog. Ed è uno dei redattori storici de LoSpazioBianco.it, nota rivista di critica online.
In occasione del varo del nuovo sito, ho chiesto la sua disponibilità per presentare le novità principali e per raccontarci come è cresciuta l’idea del nuovo LoSpazioBianco.it.
Ciao Guglielmo.
Ciao Harry.

Come mai avete deciso di rinnovare il sito?
In tutta onestà? Perché il precedente puzzava di vecchio da anni. Io stesso ormai leggevo i suoi contenuti solo attraverso google reader. Non riuscivo più ad avvicinarmi alla vecchia home!

E come mai, allora, è stato rinnovato solo ora?
Per un progetto importante come questo sono necessari tre ingredienti fondamentali: competenze, tempo e soldi. A un certo punto, per molteplici fattori, tutti e tre sono venuti meno. Se chiedi in giro ad alcuni addetti ai lavori ti diranno che è da almeno due anni che sentono parlare del rinnovamento del sito. In questi anni sono cambiate molte cose. Sono nati figli (il mio secondo è venuto al mondo ieri), qualcuno si è sposato, qualcuno ha cambiato lavoro, qualcuno ha iniziato a lavorare (!), qualcuno ha lavorato a vuoto e qualcun altro non ha mantenuto i suoi impegni.
Ti basti sapere che la nostra storica collaboratrice Ilaria Mauric, grafica professionista, aveva preparato una precedente versione del sito proprio due anni fa, dedicandoci tempo e passione. Mancò il lavoro di programmazione. E il tempo è passato invano.
Posso dire che le difficoltà incontrate da LoSpazioBianco.it sono la punta dell’iceberg delle contraddizioni della critica specializzata italiana: passione, competenza e tempo supportano progetti che ambiscono ad essere organici e strutturati, salvo essere fatti senza un guadagno e nei ritagli di tempo. Lo sai, si sta parlando in questi giorni di come gli autori di fumetti professionisti debbano lavorare per pochi soldi nei ritagli di tempo, figuriamoci cosa succede in ambito critico-giornalistico.
A queste condizioni, gli imprevisti sono dietro l’angolo. E per un nuovo sito di critica come Fumetto d’Autore che nasce, altri rimangono al palo (come LoSpazioBianco.it finora) o abortiscono improvvisamente progetti (De:Code?).
Sia chiaro, LSB non ha mai smesso di rinnovare i propri contenuti, continuando a fare quello che lo ha da sempre caratterizzato (soprattutto interviste e approfondimenti critici), ma non nego che lo stallo informatico ha demotivato molti e sospeso progetti importanti.

Ci puoi parlare del nuovo logo di Squaz?
Ecco, nello strano mondo del fumetto, le difficoltà si sposano con l’energia di collaborazioni straordinarie e basate sui rapporti di stima e amicizia personale. Quando scegliemmo la nuova tag-line del sito (nel cuore del fumetto) pensammo che sarebbe stato bello trovare un autore che volesse dedicare la propria creatività a sviluppare in immagine quella tag-line. Volevamo qualcosa di unico, di caratterizzante ed espressivo. Tra i tanti autori che avremmo sognato impegnati nel progetto, il primo della lista fu da subito Squaz, per questo suo incredibile gusto contaminato tra grafica, formalismo a la Chris Ware e apertura all’improvvisazione. Alberto Casiraghi, capo redattore con Ettore Gabrielli, lo interpellò in amicizia e, sorprendentemente, Squaz accettò. Quel che ne è uscito lo potete vedere nel sito, ed è straordinario, a mio parere.




Quali novità avrà il sito, oltre al rinnovamento grafico?
In massima sintesi, facilità di fruizione, possibilità di dialogo diretto con la redazione, valorizzazione dei contributi di tutti i collaboratori, multimedialità in puro spirito 2.0 (blog, filmati, immagini, ecc.). Un solo, banale esempio, per rendere l’idea del cambiamento. Nel precedente sito, per necessità strutturali, era possibile inserire solo due piccole immagini nel testo, a corredo di ogni articolo. Il che, come puoi immaginare, trattandosi di fumetto, era davvero limitante. Oggi c’è la massima flessibilità. Possiamo finalmente dare spazio alle immagini per descrivere quello di cui si parla in un articolo. Ripeto, sembra una banalità, ma dà una buona idea di come cambiano le cose negli anni e con quali limiti si dovesse lavorare un tempo.
E poi i contenuti. Il rilancio del sito è stato e sarà occasione per ridiscutere della linea editoriale de LoSpazioBianco.it, per sviluppare ancor di più l’idea di critica specializzata che vogliamo portare avanti, che vuole coniugare amore per il fumetto e approfondimento, emozione e razionalità, apertura a più punti di vista che siano il meno possibile condizionati da posizioni preconcette, interessi e posizioni ideologiche. Il fumetto è un mezzo dalle infinite possibilità espressive che patisce della chiusura mentale di molti addetti ai lavori, pronti solo a difendere il loro piccolo, angusto spazio di potere e la loro credibilità (anfetaminica). L’organicità e le novità arriveranno col tempo.

Buon tempo, allora. E buon lavoro.
Grazie Harry.


Tutti i testi di questo blog sono (c) di Harry Naybors, salvo dove diversamente indicato.
Puoi diffonderli a tuo piacere ma esplicitando sempre l'autore e/o la fonte.

La versione a fumetti di Harry è (c) di Daniel Clowes.