sabato 31 luglio 2010

Uccidere il coyote



Quando Grant Morrison aprì le sue porte al meta-fumetto, con la famosa storie del coyote (Coyote Gospel) nella serie di Animal Man, si aprirono molteplici possibilità all’interno del genere supereroistico prima inesplorate.
A dire il vero, quel che fece l’autore britannico fu portare alle estreme conseguenze, quelle in cui lo sceneggiatore diviene egli stesso personaggio e si mettono in discussione tutte le regole fondamentali della narrazione di genere, a partire dalla sospensione dell’incredulità. Ma già Stan Lee e Jack Kirby, per esempio, sin dalle prime storie dei Fantastici Quattro negli anni ’60, hanno giocato con i lettori attraverso espedienti meta-narrativi, parlando direttamente al lettore, fingendo l’esistenza dei fumetti dei Fantastici Quattro nel mondo Marvel, e così via.

Il fumetto ha una strana predilezione per la meta-narrazione. In anni recenti, anche il fumetto indipendente, con la sua virata “formalista”, ha utilizzato tecniche di questo tipo, ma con finalità differenti: se nei comics di supereroi l’obiettivo era quello di aprire scenari avventurosi inediti, con pieghe relativiste ed esoteriche, negli art comics di Ware, Seth e amici parlare di fumetto, delle sue regole e dei suoi topoi nei fumetti stessi è per lo più un modo per riflettere sul potenziale che questa forma espressiva ha.

In Italia, beh, in Italia c’è Leo Ortolani. Rat-Man nasce come parodia di Bat-Man, e in quanto tale è geneticamente meta-fumettistico. Il fatto è che l’autore non si è accontentato semplicemente di giocare con i luoghi comuni del genere supereroistico (qualcosa di simile venne già fatto in lingua inglese con Brick-Man), ma ha utilizzato tale approccio per riflettere sulla dimensione umana del fumettista, sul significato della creatività e sulle incertezze che la professione e il fumetto stesso pongono.

Il meccanismo è talmente oliato da risultare “necessario”, dopo così tanti anni. Eppure Ortolani ha una sensibilità curiosa e infedele agli stereotipi, riuscendo a passare senza tregua dalla comicità alla satira alla parodia al dramma.
Ma è sufficiente, questo, per ritenere Ortolani un vero narratore? Pongo meglio la questione. È in grado Ortolani di raccontare seriamente una storia? Sembra un paradosso, oppure una visione riduttiva. Ma non è superfluo chiedersi se, tolto il piccolo e innocuo esperimento di molti anni fa con Ade Capone in una miniserie “realistica” dimenticabile, l’autore sia capace di raccontare senza “interferire” con le emozioni dei lettori attraverso il salto dall’ “altra parte”.
Non dimentichiamo che l’uso della meta-narrazione può essere un valido modo per nascondere la mancanza di idee. A corto di trovate originali, è facile costruire storie giocando su racconti e modalità già utilizzate da altri. Final Crisis ancora di Grant Morrison è, in questo senso, un esempio tristemente riuscito per ben due volte: primo, perché è l’ennesima interpretazione meta delle storie di supereroi; secondo, perché l’autore ripete sé stesso in una modalità sterile e stucchevole.
E ancora, la meta-narrazione è un buon modo di “sdrammatizzare” laddove si rischia di finire nel melodramma, nel sentimentalismo o nel nichilismo. Lo sapeva bene, in narrativa, il compianto José Saramago, che ha fatto del dialogo diretto con il lettore un modo privilegiato per “gestire” le emozioni, per minimizzare eventi e tragedie e pertrovare agili scorciatoie alle sue trame. Saramago era unico, in questo approccio, per la letteratura. In mani meno sapienti, quello stesso gioco si sarebbe rilevato sciatto e futile.

Sarebbe impensabile raccontare una storia di Rat-Man senza meta-fumetto?
Probabilmente sì. Impensabile e inutile.
Eppure rimane il sospetto che quando Ortolani chiuderà la sua vicenda meta-narrativa finirà sul serio di scappare dal coyote, ovvero dallo straordinario narratore che è.

Harry



1 commento:

  1. Oh, finalmente dopo tanto tempo che ti seguo non sono d'accordo su qualcosa :)
    Io credo che Ortolani abbia raccontato tante volte dal punto di vista "serio".
    Pensa ad esempio all'approfondimento psicologico di un personaggio come Cinzia, passata da macchietta a character tridimensionale. Oppure la storia celebrativa sui Fantastici Quattro, presente sul suo sito. Un'avventura drammatica con tutti i crismi del genere, poco spazio alle divagazioni umoristiche (più cinici inserti surreali che altro).


    Su Final Crisis: Morrison si ripete?
    Non lo so.
    Per me FC è stato un tentativo di svecchiare gli schemi narrativi dei cross-over cosmici alla Crisis usando un linguaggio moderno.
    Il resto delle allegorie e dei simboli all'interno della storia fa parte di un percorso quasi "filosofico" su ciò che Grant tenta di dire in merito al mito del supereroe, e presente fin da Flex Mentallo.
    Insomma, in Animal Man c'era la riflessione tra vita dell'autore e vita della creatura... FC è un vero e proprio rituale magico che usa simboli di supereroi e supercriminali per creare una sorta di purificazione dell'anima.
    Ma anche i crossoveroni come la vecchia Crisis erano più o meno schematiche contrapposizioni bene-male su scala cosmica.
    Morrison fa la stessa cosa, solo che al posto della dicotomia sacrificio e onore versus corruzione e lato oscuro tipicamente anni ottanta ci sta la dicotomia depressione versus ottimismo magico scaturito dai supereroi miracolosi, messaggeri della fantasia.

    Insomma, io la vedo così, spero di essere stato d'aiuto, fermo restando che rispetto la tua opinione e continuo a seguire con molto interesse le tue riflessioni:)

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