giovedì 8 luglio 2010
L'indomito sé
Le autobiografie fanno male, per primo, a chi le scrive.
Richiedono il coraggio di mettersi in gioco e a nudo, di fronte al lettore.
Le psicopatologie quotidiane in autobiografia sono ancora più dolorose, perché il gioco narrativo rischia di trasformarsi in autocommiserazione, da un lato, in maniacale esaltazione di sé-artista, dall’altra.
Per arginare questi pericoli, molti autori di fumetti utilizzano due stratagemmi: l’ironia e/o la meta-narrazione.
Toni Bruno, autore e protagonista de Lo Psicotico Domato (Nicola Pesce Editore), gioca entrambe le carte con un risultato non sempre convincente. C’è in Bruno il timore di fare sul serio, di sporcarsi e inguaiare davvero il lettore con il dramma e il dolore della sua vita. Una voce non pienamente chiara, quindi, accanto a un’idea di sé ancora frammentaria, probabilmente, trova nell’ironia e nella meta-narrazione delle vie di fuga, piuttosto che dei veicoli efficaci per far capire al lettore da dove arriva quel grumo di dolore, quel senso di non appartenenza.
Eppure, Bruno, nei suoi tentennamenti che a mio avviso risentono soprattutto dell’affabulazione piuttosto che del disegno (eccessiva e troppo involuta, la prima, più chiaro anche se con uno stile ancora non pienamente delineato, il secondo), Bruno, dicevo, riesce in due obiettivi, più o meno consapevoli: ricordarci la fatica e l’impegno che richiede trovare una propria voce espressiva netta e determinata; mostrarci la confusione, il baratro e l’incertezza che nascono dal disagio psichico, così poco narrato nel fumetto italiano, così difficile da comprendere per chi ne è estraneo.
Un’opera quindi interlocutoria, che pure fa pensare. Sull’autore, e sul fumetto italiano.
Harry
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