mercoledì 25 maggio 2011

Intrattenimento, mancanza di tempo e immortalità


Quando decidi di dedicare il tuo tempo alla lettura di un fumetto, devi ricordarti che quel tempo lo stai usando e non ti verrà restituito. Sembra una constatazione banale, se non sciocca. Eppure, troppo spesso dimentichiamo il semplice principio che l’intrattenimento è, nella sua definizione speculare, perdita (spreco) di tempo.
Qui si apre una finestra enorme. Perché, in effetti, il principio dell’intrattenimento che così spesso si incontra con la necessità di evasione porta necessariamente a due domande: quanto tempo mi resta; da cosa voglio evadere.
Ho sempre pensato che nel mio accumulare pagine e pagine di volumi non letti ci sia un sano e inconscio ottimismo, legato a un'aspettativa di vita lunga, lunghissima, vicina all’immortalità, perché solo secoli di lettura mi permetterebbero di esaurire davvero quello che giace negli angoli di casa mia. Segui l’ellisse. Ottimismo come aspettativa di immortalità; pessimismo come mancanza completa di tempo.

Domenica ho riordinato alcune decine di volumi. E in quell’onda di prodotti di intrattenimento ritornati alla luce della memoria, la mia mente ha già realizzato una selezione immediata, dividendo i prodotti utili dagli inutili. Di nuovo, due domande: come classifico l’inutile dall’utile; perché mi sono riempito la casa di inutile.
L’intrattenimento è insidioso. Perché basandosi sul principio della novità, dell’eccitazione per il nuovo, sfrutta l’acquisto compulsivo come meccanismo essenziale della sua persistenza. Quale migliore intrattenimento conosci se non quello di comprare nuovi, luminosi volumi a fumetti? Sfogliarli, leggiucchiarli qua e là? Sorvolare le tavole, gli stili, le grafiche, i caratteri? Indovinarne il carattere? E poi, appoggiarli, dimenticarli sotto a nuovi acquisti?
L’intrattenimento consuma. Il tempo che ho dedicato a sistemare i volumi avrei potuto spenderlo a leggere. Oppure, meglio, a vivermi la famiglia. Lo vedi quale gusto perverso si cela dietro a tutto ciò?

Più volte ho sognato improvvisi, abnormi ritrovamenti di tesori a fumetti nei sottoscala, nelle cantine di amici. Il tutto è nato, credo, dall’acuta e febbrile emozione che provai da bambino il giorno in cui un mio cugino mi regalò tre scatoloni tre colmi di vecchi fumetti Disney. Dalla fuga che feci in quella polvere e in quelle pagine scolorite. Dalla passione che nacque come per magia. Ero posseduto. Da una gioia irrefrenabile e ingenua. Inconsapevole.
C’è una coltre di polvere che ancora rimane, nelle mie scelte quotidiane, che in qualche modo ricerca quella gioia per la fantasia, il possesso, la conoscenza, l’esplorazione, … l’intrattenimento.
Non so dire ancora oggi con precisione cosa divida, in modo istintivo, l’utile dall’inutile e perché riempia i miei spazzi di inutile. E non mi è facile spiegare quale sia l’evasione. Ma soprattutto, quale forma di intrattenimento (intelligente, si dovrebbe aggiungere) è oggi accettabile per me, e quale è invece figlio di una passione passata, di un’abitudine inattuale.

È con questi pensieri che leggo svogliatamente N.O.X. della Star Comics. Sapendo di trovarmi di fronte a un intrattenimento inutile, che delude completamente la speranza di trovarmi di fronte a un prodotto per lo meno fresco e divertente come si è invece rivelato The Secret (almeno il primo numero. Il secondo mostra qualche cedimento che spero passeggero).

Ma tu cosa ne pensi? Qual è la tua soglia che divide l’utile dall’inutile? E cosa lega l’intrattenimento all’evasione? E il rapporto tra immortalità e mancanza di tempo?
Sono domande senza senso. Scusa.

Harry

lunedì 23 maggio 2011

Gravel e la forza del buttare tutto via



Ecco, di Gravel di Warren Ellis e il (pessimo) Mike Wolfer (Avatar Press in USA, in Italia per Edizioni BD) mi viene da pensare alla bellezza di realizzare un fumetto seriale horror nel quale ogni capitolo butta al mare tutto quanto costruito nei capitoli precedenti. Lasciare così al lettore, cioè me, cioè noi che compriamo e spendiamo i nostri soldi, quella sensazione di incertezza sul futuro, cosa accadrà, che ti mette scomodo sulla poltrona, e ti porta avanti, alla prossima storia.
Tutto questo funziona se la narrazione è solida. E da Ellis mi aspetto questo. Mistico, horrorifico, denso, a volte fin troppo autocompiacente, ma coinvolgente.
Sul personaggio... è John Constantine scritto come sarebbe se ne fossero i detentori dei diritti: figlio di puttana, ricattatore, con uno strano quanto affascinante senso del dovere e della giustizia e libero di cambiare pagina dopo pagina. Questa la matrice. Il resto è puro ellisverse.
Buon divertimento.

Harry

domenica 22 maggio 2011

Fumetti mistici

Prossimamente...

(c) warren ellis & mike wolfer

martedì 17 maggio 2011

Nuove condensazioni

 

Ascolto Ain't No Grave di Johnny Cash, che arriva dall'oltretomba come un fantasma, con una voce trasfigurata (dalla morte), e penso alle migliaia di pagine depositate e lasciate alla memoria di autori morti da poco o da tanto. C'è una meravigliosa umana tenerezza in questa nostra capacità di perpetuare eredità di immaginazione e creatività. Che poi ogni autore, se può, prepara a suo modo il suo testamento creativo. Cash ha avuto la possibilità, via Rubin, di costruire un monumento al trapasso, alla sua fragilità degli ultimi anni di vita, a compendio di una vita disperata.
Nel nostro amato fumetto, invece, c'è chi come Carlos Trillo non ha avuto quella possibilità, ed ha semplicemente lasciato le sue pagine sospese, nei lavori che stava portando avanti con la solita curiosità intellettuale.
C'è chi come Magnus ha dedicato tutti gli sforzi dei suoi ultimi anni all'icona per eccellenza del fumetto seriale italiano, un'impresa eroica quanto inconsistente, dove la forma è diventata esasperato annichilimento concettuale di un talento immenso.
C'è chi come Steve Gerber ha raccolto i suoi ultimi stretti passaggi in un blog lavorando contemporaneamente a storie brillanti e profonde come sempre (Hard Time è lì a ricordarcelo) mentre il suo cuore e i suoi polmoni si chiudevano.
...

Ma non voglio fare una triste lista di morti, ché questi sono i primi nomi che mi vengono in mente. Nomi ai quali sono legato. E mentre la morte separa, l'immensità dell'immaginario prosegue a tessere trame e fili che sfidano la fragilità umana. Forse, in questa calda primavera che si rinnova, qualche autore troverà anche l'ispirazione per realizzare una nuova storia a fumetti che sia luminosa, attuale, viva e di ispirazione per altri autori.

Harry

domenica 15 maggio 2011

Story minute - le iperboli istantanee di Carol Lay



A proposito di semplicità, mi imbatto in un volumetto di una ventina di anni fa edito da Kitchen Sink, che racoglie un centinaio di storie della durata di un minuto (story minute)  realizzate da Carol Lay.
La Lay è essenziale, personale e iperbolica. Ogni storia occupa una tavola, rigidamente divisa in tre strisce da quattro vignette l'una. Le storie sono un ottimo esempio di condensazione narrativa: in quelle dodici vignette si sviluppa un'intera esistenza. Lay pone basi immediate nelle prime vignette e chiude con un ending sempre efficace, spesso tragico o per lo meno inquietante.
Il suo è un lavoro sul paradosso, con un tocco surreale accentuato dal disegno essenziale, quasi infantile, fortemente iconico. La forza evocativa di queste rapidissime storie sta soprattutto nell'imediatezza a supporto di un pensiero ironico e limpido. Lo stile usato da Lay in queste storie arriva direttamente dalle matrici storiche delle strisce, ma si apre a intuizioni visive e narrative inedite personali e uniche.
Alcuni esempi.

La mia preferita (Shadow puppet) è una perfetta rappresentazione dell'ombra junghiana. Da notare la forte ironia e lo stile iconico, che chiarisce come il lavoro di Lay sia totalmente visivo e fumettistico.

La seconda (Spaced out) è puro surrealismo onirico in forma di fumetto. Il dentro come il fuori, lo spazio mentale come l'universo.


La terza (World views) è di una poesia sconcertante. Totalizzante.



La quarta (Human guinea pigs) svela il meccanismo del potere scientifico e l'incapacità delle masse di mettere in discussione quello stesso meccanismo. La constatazione finale è raggelante.



La quinta (Aesthetic pugilism) potrebbe essere il quarto capitolo della mia Impossibile critica (che presto proseguirà). La critica come militanza espressa attravero la guerra (notare la giustapposizione delle opere d'arte con i vari passaggi della narrazione, e il finale atroce e liberatorio?!).


Harry


tutte le tavole sono (c) di carol lay, da strip joint ed. kitchen sink.

Fumetti low-fi

Prossimamente...

miguel angel martin

Fumetti per ricchi

Prossimamente...

ratigher

venerdì 13 maggio 2011

Underworld e American Flagg! - nella tela del ragno

 american flagg! (c) howard chaykin

È possibile commentare partite, seguirle fase per fase quasi ogni giorno per tutta l’estate e non cristallizzarsi in qualche versione del passato?
Don De Lillo, Underworld (Einaudi)




Leggo contemporaneamente il romanzo Underworld di Don De Lillo e il fumetto American Flagg! di Howard Chaykin e mi si creano strani cortocircuiti in testa.
C’è una sovrabbondanza narrativa che nella mia testa accomune le due opere, seppure così diverse tra loro, e che mi genera uno strano senso di nausea.
Chaykin è stratificato, nel segno e nella sceneggiatura, ricco di significati multipli, riferimenti iconici al passato (fumettistico) e al nostro presente socio-politico (ricordando che American Flagg! è di 30 anni fa), è volgare di quella volgarità consapevole, non gratuita, non sciocca, non becera ma ficcante, insinuante. De Lillo è un folklorico moderno, o forse un classico postmoderno che rinarra attraverso il passato le nostre convulsioni, anche solo attraverso una partita di baseball.

Ma è un periodo strano questo. Una primavera calda in cui mi inseguono strani malanni invernali, e ho bisogno di semplicità. E invece De Lillo e Chaykin, ognuno a modo loro, mi aggrediscono e incalzano. Sospendo?
Sospendo.

Avere una Biblioteca di Babele in casa ha almeno un vantaggio: la possibilità di trovare l’opera giusta nel momento giusto. Con il rischio speculare di ritrovarti capovolto in invisibili tele di ragno.
Torno ai paperi di Carl Barks.

Harry

lunedì 9 maggio 2011

Muore Trillo, e sono triste


Avrò tempo per ricordarlo. Chissà quando chissà come. Ma il tempo per questo è ormai, ahimé, eterno.
Un saluto a Carlos Trillo, che mi ha fatto ridere e pensare moltissime volte. E che è morto lasciando il mondo del fumetto con un'eredità importante: l'ironia e l'intelligenza.
Segnalo il ricordo di Laura Scarpa sul blog di Scuola di Fumetto.

Harry

(avevo parlato di un suo lavoro con l'immancabile altuna qui)

Che tu sia padre o no - Tigre! Tigre! Tigre! di Scott Morse


Quando diventi padre puoi fingere di non essere tu il motivo di quella nascita.

Puoi fare finta che il tuo spermatozoo sia solo un lavoro minuscolo di un’impresa eroica, quella materna, che prende la scena e cambia il mondo. Da quella prospettiva illusoria, puoi cercare di proseguire la tua vita come nulla fosse.
Oppure può succedere che non trovi un tuo spazio. Che quel centro rituale che è il rapporto madre-bambino ti porti a sentirti più solo di quanto la quotidianità già non faccia. E allora puoi cercare di vagare nelle camere dell’immaginario, pensando a come sarebbe bella la tua vita se tutto si fermasse e quel bambino… fossi tu.
C’è una terza via, che è quella del dominio, del potere. O meglio, della pre-potenza. Il padre padrone domina allora la scena con la sua promessa di ricchezza (economica) e di certezza (morale) che si impone sovrana, cancellando dietro al (pre)potere l’esistere delle relazioni e della vita che cambia. Il padre padrone è il dominatore della scena sociale da secoli. È l’essenza dell’impalcatura patriarcale dell’esistenza. Ma il sistema è stato più volte messo in discussione. E in crisi. Per fortuna.





Quando, padre, ti ritrovi davanti alla luce accecante della nuova nascita, puoi anche accettare semplicemente il fatto di essere impreparato a tutto, di vedere in quella nuova parabola un’occasione per scoprire cose nuove e impensabili di te stesso come cittadino del mondo, come essere vivente. E accettare il fatto che quel bimbo e la sua mamma (la tua donna!?) ti stanno cambiando per sempre. E metterti in discussione. E inventare qualcosa di nuovo. Insomma, diventare padri è uno dei momenti potenzialmente più creativi che un uomo possa vivere. Qualche artista se lo ricorda.

Scott Morse ha scritto Tigre! Tigre! Tigre! come un’esplorazione interiore da condividere. Non ci sono altri motivi. Non c’è morale da insegnare. Non c’è scopo educativo o pedagogico. Non c’è retorica. Morse è fumettista straordinario che ama nascondersi. Pubblica e scompare. Non teorizza come i vari Ware e amici. Quando uscì questo fumetto negli Stati Uniti ne sentii parlare con entusiasmo per poco tempo, poi silenzio, e me lo feci scivolare tra le dita per ragioni che non ricordo. L’edizione italiana di Bao Publishing è tanto bella quanto necessaria.




La vita è difficile, abbiamo tutti un nostro carico di insicurezze, paure e pregiudizi. E la nostra ignoranza; e il nostro ego che ci impedisce di vedere quell’ignoranza. Ed è a questo punto che nascono i figli, pronti a strapparci dal nostro ego, per sbatterci in faccia la nostra incertezza, il nostro enorme punto di domanda. Possiamo scappare sotto un sasso. Oppure trasformarci in tigri e affrontare la realtà.

Morse scrive del rito della scoperta, e suo figlio è il piccolo centro di un universo meraviglioso e fragile, dove ogni viso che incontra, ogni passo nel quartiere, ogni episodio di vita è una piccola opportunità di scoperta. E Morse è anche profondamente onesto. Lo sa, lui, di avere una parte di sé che gli racconta ogni giorno di non essere all’altezza. E sa, di pari passo, che un’altra parte gli dice di essere il miglior padre del mondo. C’è un’alterità continua tra pensiero e azione, tra essere e desiderare, che in Tigre! Tigre! Tigre! si mostra pagina dopo pagina. E c’è la sfida della creatività. L’esigenza della creatività.






Quando entri nel mondo del fumetto da persona reale, da autore che si mette in gioco, hai da affrontare scelte continue che ti costringono a rifuggire l’abitudine, a confrontarti con un immaginario vasto e talmente vario da non essere definibile. Quell’immaginario, scopri, è il vasto mondo delle generazioni che ti viene addosso, e che si rivela nel rapporto con un figlio. Il fumetto può essere anche questo.

Ogni azione da uomo è frutto di decisioni e scelte. Non pensare a questo come a un gioco pericoloso. E non cadere nei buchi della retorica sentimentale o esoterica. Ma quando hai davanti un bimbo che ti cresce davanti agli occhi, e ne ripercorri le esperienze giornalmente, può venirti voglia di pesare quelle scelte e di ripensare a quale dovrebbe essere la tua funzione di padre. Per esempio, al tuo bimbo stai insegnando la prepotenza o la gentilezza? Lo stai riempiendo delle tue idee o lo stai aiutando a formarsi una sua coscienza? Lo stai annaffiando per diventare forte e indipendente o lo stai sradicando per renderlo una tua appendice (contro)dipendente?
C’è una strada che ti permette di capire la rotta. È guardare in faccia tuo figlio, ascoltarlo e capire se è felice o si sta riempiendo di rabbia. E rielaborare, magari in forma di fumetto, attraverso un viaggio creativo breve e densissimo come ha fatto Scott Morse.





Tigre! Tigre! Tigre! è uno strano pezzo di fumetto autobiografico che arriva dal vuoto dell’inedito, o dal pieno dell’esperienza di vita. In effetti, qualcuno alla fine del libro potrebbe riporlo e pensare… e allora? Finisce qui? Ma, diavolo, solo nella fiction la vita è una storia conchiusa e definitiva. Morse ci sta parlando della vita. E allora riponi quel libro e fatti due passi nel tuo quartiere, guardando bene in faccia le persone. Potresti scoprire delle cose. Che tu sia padre o no.
Harry
 
tutte le tavole sono di scott morse, da tigre! tigre! tigre!, bao publishing.
questo breve, eccezionale fumetto devi averlo per intero, nel suo grande formato.

domenica 8 maggio 2011

Toth come Jr Jr



Sono saltato sulla poltrona.
Troppo noto per me, della mia generazione, questo stile di disegno.
John Romita Jr. prima di diventare automatica ripetizione di sé stesso, è stato uno straordinario narratore Marvel. E mi ero accorto di diverse influenze di Alex Toth. Ma qui, in queste storie di Toth di inizio anni '70 del divertente The Witching Hour della DC Comics, vedo una sovrapposizione sorprendente.
Insomma, per anni non ho pensato di aver amato Toth via Jr. Jr.

Harry

da The Witching Hour 1








da The Witching Hour 12 (dove la similitudine è impressionante)













disegni di alex toth. showcase presents the witching hour vol. 1, dc comics

sabato 7 maggio 2011

Dylan Dog e le donne (1bis) - storie parallele

Per dare un'idea del lavoro di sceneggiatura fatto da Paola Barbato in La Seconda Occasione, riporto alcune tavole da leggere in parallelo.
Si tratta della stessa sequenza, che si sviluppa nella prima parte da pag. 18 a pag. 23, e nella seconda parte da pag. 58 a pag. 63.
Cambia il punto di vista, ma la scena è la medesima. Nota la cura dei dettagli nei dialoghi e nelle inquadrature di Giampiero Casertano. Credo che possa essere presa a esempio per una lezione di fumetto.

Harry

tav. 18-23





e la stessa sequenza nelle tav. 58-63





sceneggiatura di paola barbato
disegni di giampiero casertano
da dylan dog 296, sergio bonelli editore

giovedì 5 maggio 2011

Dylan Dog e le donne (1bis) - eterno ritorno



Sto scrivendo di donne che scrivono Dylan Dog.
Poco dopo aver pubblicato la prima parte, che leggi qui, e che parla di Paola Barbato e del suo Dylan Dog imprigionato dai suoi rapporti amorosi, mi imbatto nel nuovo numero della serie regolare, anch'esso scritto da Barbato e disegnato da Giampiero Casertano. Posso confermare, per la sceneggiatrice il tema delle relazioni affettive di Dylan è il perno narrativo che muove le sue storie. E ne capisco i motivi.
Chiarisco un punto. Da sempre, da Sclavi in poi, insomma, le infinte relazioni di Dylan sono state storie romantiche. Storie di amore vero. Alcune improbabili, altre totalizzanti. Non sono conquiste usa e getta. Sono l'inseguimento di un sogno di felicità. Forse, l'eterno ritorno alla fusione materna. Ed è in questa corsa all'affetto oceanico, impossibile quanto necessario, che si misura la dimensione nevrotica del protagonista, è in questo impossibile ritorno che l'amore diventa orrore.
Sclavi lo ha suggerito più volte, in primis, naturalmente, attraverso l'amante-madre Morgana. Ma è con Barbato, in particolare in questo ultimo La seconda occasione, che questo elemento narrativo esplode. Ed è una visione seducente, precisa quanto personale. Dylan Dog viene letteralmente sdoppiato e fatto a pezzi. Per quanto il trucco narrativo alla base della storia sia noto e usato, il racconto di Barbato e Casertano funziona per l'intelligenza e la cura della messa in scena. La ricorsività narrativa, circolare e ossessiva, è sviluppata in ogni dettaglio, con i cambi di punto di vista a proporre nuove sfacettature della stessa scena. Casertano è esemplare. Non lo leggevo così da tempo. Ci ho rivisto amore e vita, in queste sue tavole, con il mestiere che è andato un po' a quel paese. La voglia insomma di tornare a giocare con il disegno, l'espressività, le linee.
Merito di Barbato? Senza dubbio la sua sceneggiatura ritmica e dinamica, per quanto introspettiva e intima, è stata uno stimolo fondamentale.
In questo sguardo femminile sull'icona Dylan Dog si nasconde qualcosa di nuovo, vitale. Perché offre uno spaccato di umana incertezza e debolezza, di orrore insomma, che nulla ha a che vedere con i vuoti rituali narrativi del cattivo di turno, dell'incerto miscuglio di sogno e reale, e di tutti quei luoghi comuni di cui Dylan Dog si è riempito in questi anni. Se Dylan Dog ha saputo raccontare così tanto a più generazioni, diventano simbolo di un'epoca, oltre che fenomeno editoriale di successo, è perché Sclavi ha saputo dare vita a una sintesi nuova costruita su un immaginario preciso ma improprio, decostruito, ri-codificato. Ecco, in questa storia di Barbato e Casertano, ho letto un pezzo in più di quel puzzle, che così tanto ci dice delle incertezze emotive del nostro tempo, e che superano il tempo stesso.
A ognuno di noi, in fondo, sarà capitato di sentirsi mormorare, con voce rassegnata "se mi lasci, mi ammazzo". Una frase che, lo ammetto, mi ha sempre terrorizzato.

Harry




 sceneggiatura di paola barbato
disegni di giampiero casertano
copertina di angelo stano
da dylan dog 296, sergio bonelli editore



Tutti i testi di questo blog sono (c) di Harry Naybors, salvo dove diversamente indicato.
Puoi diffonderli a tuo piacere ma esplicitando sempre l'autore e/o la fonte.

La versione a fumetti di Harry è (c) di Daniel Clowes.