Sto scrivendo di donne che scrivono Dylan Dog.
Poco dopo aver pubblicato la prima parte, che leggi qui, e che parla di Paola Barbato e del suo Dylan Dog imprigionato dai suoi rapporti amorosi, mi imbatto nel nuovo numero della serie regolare, anch'esso scritto da Barbato e disegnato da Giampiero Casertano. Posso confermare, per la sceneggiatrice il tema delle relazioni affettive di Dylan è il perno narrativo che muove le sue storie. E ne capisco i motivi.
Chiarisco un punto. Da sempre, da Sclavi in poi, insomma, le infinte relazioni di Dylan sono state storie romantiche. Storie di amore vero. Alcune improbabili, altre totalizzanti. Non sono conquiste usa e getta. Sono l'inseguimento di un sogno di felicità. Forse, l'eterno ritorno alla fusione materna. Ed è in questa corsa all'affetto oceanico, impossibile quanto necessario, che si misura la dimensione nevrotica del protagonista, è in questo impossibile ritorno che l'amore diventa orrore.
Sclavi lo ha suggerito più volte, in primis, naturalmente, attraverso l'amante-madre Morgana. Ma è con Barbato, in particolare in questo ultimo La seconda occasione, che questo elemento narrativo esplode. Ed è una visione seducente, precisa quanto personale. Dylan Dog viene letteralmente sdoppiato e fatto a pezzi. Per quanto il trucco narrativo alla base della storia sia noto e usato, il racconto di Barbato e Casertano funziona per l'intelligenza e la cura della messa in scena. La ricorsività narrativa, circolare e ossessiva, è sviluppata in ogni dettaglio, con i cambi di punto di vista a proporre nuove sfacettature della stessa scena. Casertano è esemplare. Non lo leggevo così da tempo. Ci ho rivisto amore e vita, in queste sue tavole, con il mestiere che è andato un po' a quel paese. La voglia insomma di tornare a giocare con il disegno, l'espressività, le linee.
Merito di Barbato? Senza dubbio la sua sceneggiatura ritmica e dinamica, per quanto introspettiva e intima, è stata uno stimolo fondamentale.
In questo sguardo femminile sull'icona Dylan Dog si nasconde qualcosa di nuovo, vitale. Perché offre uno spaccato di umana incertezza e debolezza, di orrore insomma, che nulla ha a che vedere con i vuoti rituali narrativi del cattivo di turno, dell'incerto miscuglio di sogno e reale, e di tutti quei luoghi comuni di cui Dylan Dog si è riempito in questi anni. Se Dylan Dog ha saputo raccontare così tanto a più generazioni, diventano simbolo di un'epoca, oltre che fenomeno editoriale di successo, è perché Sclavi ha saputo dare vita a una sintesi nuova costruita su un immaginario preciso ma improprio, decostruito, ri-codificato. Ecco, in questa storia di Barbato e Casertano, ho letto un pezzo in più di quel puzzle, che così tanto ci dice delle incertezze emotive del nostro tempo, e che superano il tempo stesso.
A ognuno di noi, in fondo, sarà capitato di sentirsi mormorare, con voce rassegnata "se mi lasci, mi ammazzo". Una frase che, lo ammetto, mi ha sempre terrorizzato.
Harry
sceneggiatura di paola barbato
disegni di giampiero casertano
copertina di angelo stano
da dylan dog 296, sergio bonelli editore
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