Finali rivisitati… realtà alternative… quando un creativo ricorre a roba del genere, vuol proprio dire che è già morto e sepolto!
Angelo Stano, il personaggio. Da Dylan Dog 300
Con queste parole vorrei chiudere due cicli: le riflessioni su Dylan Dog e, tangenzialmente, quelle sul fumetto horror.
Dylan Dog 300 è l’esemplificazione del gioco al ribasso nel fumetto seriale. Nella storia, gli autori mettono in scena un gioco metanarrativo che nasconde il vuoto di idee, un vuoto che viene non solo rivelato al lettore, ma anche blandamente ridimensionato da una parvenza di consapevolezza (come suggerito dalla citazione a inizio articolo). D’altra parte, Pasquale Ruju è l’autore che meno ha capito Dylan Dog, che peggio ne ha raccontato le gesta, e che meglio rappresenta il qualunquismo artistico nei prodotti seriali. Sotto al peso delle sue banalità, viene schiacciato anche l’estro normalizzato di Angelo Stano, che non graffia, non emoziona, non evoca.
Eppure, al di là di un risultato narrativo ed espressivo completamente deludente, Dyland Dog 300 rappresenta un ottimo specchio attraverso il quale osservare i difetti principali di un certo approccio al fumetto seriale. Ruji, per voce
finto-autobiografica di Stano, personaggio
reo confesso, si potrebbe dire, esplicita al lettore il
fine ragionamento che si cela dietro alla creazione di una nuova storia di Dylan Dog.
Le riflessioni appaiono avvilenti, perché come gioco metanarrativo sono talmente scontate da essere inutili; e prese sul serio rivelano un approccio allo sviluppo creativo come minimo cadaverico (e neanche l’ombra di uno zombie, in effetti,può risollevarne le sorti).
Ma vediamo uno per uno i passi salienti che l’autore Stano/Ruju fa per dare forma a questo numero celebrativo. Intanto, trovare un’idea per l’inizio. Ecco le prime riflessioni:
“No… nessuna dannata idea…”
“Si forse ci sono”
“Basta tornare all’inizio”
Una delle regole d’oro della narrativa seriale è, quando non si hanno idee, di tornare all’origine del personaggio. Uno sguardo acuto individua per
inizio la sua idea portante, la sua consistenza come elemento dell’immaginario popolare; uno sguardo spento ne riprende semplicemente alcune idee narrative, come in questo caso. Successivamente, a narrazione avviata, Ruju rivela in un passaggio di non aver mai compreso nulla del personaggio di Groucho:
“Lo so, lo so, è un po’ vecchia, come battuta… ma Groucho non è certo un fine umorista. Può andare.”
E, per chi avesse ancora dei dubbi, Ruju mostra il suo approccio di gioco al ribasso: accontentiamoci. È un lavoro e lo devo portare a termine, come già la riflessione su Groucho aveva illustrato:
“Comunque l’inizio non mi dispiace… la strada è quella giusta!”
Più avanti, in pieno stile culinario televisivo, ci spiega la sua ricetta in merito al personaggio di Dylan Dog:
“Bene. A questo punto ci voleva proprio un po’ di sangue!”
“… perciò ora ci vuole
un bel colpo di scena!”
Quando Ruju prepara il falso finale, o doppio finale, con colpo di scena annesso, ci spiega le sue perplessità in merito agli ingredienti, senza riflettere sulle difficoltà di ritmo, efficacia, emozione, identificazione, … che la sua storia ha:
“Potrebbe finire così questa storia”
“… trattandosi di un fumetto horror… forse avrei dovuto metterci più sangue e meno sentimento!”
Arriva quindi come una necessità liberatoria l’uccisione del personaggio creativo. Nessun lettore avrebbe potuto sopportare oltre il pedante Ruju/Stano. Quel
colpo di scena, preparato in modo così avvilente, senza pathos, senza ritmo, è l’apice del vuoto espressivo di questa storia, ed è l’esemplificazione dell’insieme dei problemi che caratterizzano la serie di Dyland Dog attualmente: approssimazione, mancanza di sentimento, eccessiva
professionalismo, vuoto di idee, gioco al ribasso. Di questo passo, non se ne esce né vivi né zombie.
Harry
tutte le tavole sono realizzate da pasquale ruju e angelo stano