martedì 27 settembre 2011

Mentre morivo



Sto leggendo molti ricordi, pensieri, idee sulla dipartita assai inaspettata di Sergio Bonelli.
Una cosa è certa. Come Tex è rimasto dopo la morte del padre Gianluigi, così resterà un capitale culturale, umano e popolare dopo la morte di Sergio.
Ecco, il ricordo che mi sembra più forte, chiaro e, perché no, stimolante rispetto alle tante parole scritte su questo blog in questi mesi, è quello di Moreno Burattini, a cui ti rimando.
C'è un passaggio che mi ha colpito molto, per la sua chiarezza:
In sessant'anni, disse rivolgendosi ai suoi lettori, io vi ho talmente rispettato che mai vi ho inflitto una sola pagina di pubblicità. Bonelli era un editore puro: voleva reggersi con l'unica forza del suo lavoro, delle sue idee, delle sue storie scritte, disegnate e stampate su carta. Per questo è sempre stato fondamentalmente ostile anche al merchandising.
Forse queste cose, ancora oggi hanno un senso. Che è molto di più del lettering fatto a mano, ma che è tutto dentro a quest'idea di dignità artigianale. La forza e la debolezza della Sergio Bonelli Editore erano in queste idee, in questa convinzione, in questa determinazione più grande di qualunque altra considerazione.

Harry

lunedì 26 settembre 2011

Il consumatore finale


La storia di Chester Brown era già scritta nelle vicende autobiografiche raccontate in Non mi sei mai piaciuto. In quel bellissimo libro seminale, l'autore canadese ci aveva raccontato delle sue delusioni affettive, con uno sguardo impietoso e tagliente. Lucido. Razionale. In quella rappresentazione, in quei ricordi, si nascondeva un grande dolore, controllato e gestito da una forte personalità e volontà.
Questo è possibile comprenderlo oggi, alla luce di quanto Brown racconta nella sua nuova opera, dal titolo inglese Paying for it, ovvero il resoconto lucido, razionale e dettagliato dei suoi rapporti sessuali con prostitute.
Usciamo dai pregiudizi morali, entriamo nelle vicende personali che l'autore racconta.
In estrema sintesi, e per non annoiarti, ti dico soltanto che, dopo l'ennesima delusione d'amore, Brown sceglie di non avere più rapporti affettivi con alcuna donna, ma di praticare sesso a pagamento, per assecondare un bisogno che sente ancora vivo e presente.
Mentre leggi, ricordati della forza della mente, e del potere delle razionalizzazioni.
In un susseguirsi di appuntamenti e racconti minimali, Brown disseziona la sua sfera sessuale (e affettiva?). A margine, o al centro, a seconda dei punti di vista, una sorta di manifesto: normalizzare la prostituzione; farla uscire dall'illegalità e anche da qualunque proposito di regolamentazione, di legalizzazione.

Quello che colpisce, di Brown come persona, è il coraggio, la fermezza, la lucidità. Quello che spaventa è il distacco emotivo. Sembra che accogliere questo nuovo stile di vita, per Brown, sia stato del tutto indolore, anzi, una via di cambiamento oltre il dolore. Eppure, dietro a questa attenzione manichea per i particolari (Brown annotava tutto quello che accadeva di volta in volta, appuntamento dopo appuntamento, conversazione dopo conversazione), si indovina un meccanismo fortissimo di razionalizzazione e di negazione (che l'autore, ovviamente, nega egli stesso, a confronto con gli amici fumettisti Seth e Joe Matt).
Quel che importa non è un giudizio sull'uomo, ma una riflessione sulla natura umana della sessualità, dell'amore e dell'intimità. Paying for it è la messa in scena della scissione tra queste tre sfere, operata dalla mente, per un bisogno di controllo straordinariamente forte. Non è un atto di liberazione, di vita. Ma appare piuttosto come un atto di prevaricazione, di chiusura alla completezza dell'uomo.
Ed è per questo, io credo, che il racconto, nel suo complesso, appare distaccato, ripetitivo, meccanico, privo di vita. Manicheo.

Paying for it, sul piano strettamente fumettistico, è un'opera non riuscita, povera di spunti di autentica riflessione, se non quella del manifesto sulla prostituzione; è un lavoro che non riesce a coinvolgere il lettore, che sembra osservare di là da un vetro.
Ma Paying for it è anche un interessantissimo materiale per comprendere il percorso umano di Chester Brown, e la determinazione di una razionalità che tutto controlla, tutto analizza, tutto determina. E questo, se  vogliamo, è il più grande inganno della modernità occidentale.

Harry

giovedì 22 settembre 2011

Il gioco al ribasso nel Dylan Dog di Pasquale Ruju


Finali rivisitati… realtà alternative… quando un creativo ricorre a roba del genere, vuol proprio dire che è già morto e sepolto!

Angelo Stano, il personaggio. Da Dylan Dog 300



Con queste parole vorrei chiudere due cicli: le riflessioni su Dylan Dog e, tangenzialmente, quelle sul fumetto horror.
Dylan Dog 300 è l’esemplificazione del gioco al ribasso nel fumetto seriale. Nella storia, gli autori mettono in scena un gioco metanarrativo che nasconde il vuoto di idee, un vuoto che viene non solo rivelato al lettore, ma anche blandamente ridimensionato da una parvenza di consapevolezza (come suggerito dalla citazione a inizio articolo). D’altra parte, Pasquale Ruju è l’autore che meno ha capito Dylan Dog, che peggio ne ha raccontato le gesta, e che meglio rappresenta il qualunquismo artistico nei prodotti seriali. Sotto al peso delle sue banalità, viene schiacciato anche l’estro normalizzato di Angelo Stano, che non graffia, non emoziona, non evoca.

Eppure, al di là di un risultato narrativo ed espressivo completamente deludente, Dyland Dog 300 rappresenta un ottimo specchio attraverso il quale osservare i difetti principali di un certo approccio al fumetto seriale. Ruji, per voce finto-autobiografica di Stano, personaggio reo confesso, si potrebbe dire, esplicita al lettore il fine ragionamento che si cela dietro alla creazione di una nuova storia di Dylan Dog.

Le riflessioni appaiono avvilenti, perché come gioco metanarrativo sono talmente scontate da essere inutili; e prese sul serio rivelano un approccio allo sviluppo creativo come minimo cadaverico (e neanche l’ombra di uno zombie, in effetti,può risollevarne le sorti).

Ma vediamo uno per uno i passi salienti che l’autore Stano/Ruju fa per dare forma a questo numero celebrativo. Intanto, trovare un’idea per l’inizio. Ecco le prime riflessioni:

“No… nessuna dannata idea…”
“Si forse ci sono”
“Basta tornare all’inizio”



Una delle regole d’oro della narrativa seriale è, quando non si hanno idee, di tornare all’origine del personaggio. Uno sguardo acuto individua per inizio la sua idea portante, la sua consistenza come elemento dell’immaginario popolare; uno sguardo spento ne riprende semplicemente alcune idee narrative, come in questo caso. Successivamente, a narrazione avviata, Ruju rivela in un passaggio di non aver mai compreso nulla del personaggio di Groucho:

“Lo so, lo so, è un po’ vecchia, come battuta… ma Groucho non è certo un fine umorista. Può andare.”



E, per chi avesse ancora dei dubbi, Ruju mostra il suo approccio di gioco al ribasso: accontentiamoci. È un lavoro e lo devo portare a termine, come già la riflessione su Groucho aveva illustrato:

“Comunque l’inizio non mi dispiace… la strada è quella giusta!”



Più avanti, in pieno stile culinario televisivo, ci spiega la sua ricetta in merito al personaggio di Dylan Dog:

“Bene. A questo punto ci voleva proprio un po’ di sangue!”
“… perciò ora ci vuole un bel colpo di scena!




Quando Ruju prepara il falso finale, o doppio finale, con colpo di scena annesso, ci spiega le sue perplessità in merito agli ingredienti, senza riflettere sulle difficoltà di ritmo, efficacia, emozione, identificazione, … che la sua storia ha:

“Potrebbe finire così questa storia”
“… trattandosi di un fumetto horror… forse avrei dovuto metterci più sangue e meno sentimento!”



Arriva quindi come una necessità liberatoria l’uccisione del personaggio creativo. Nessun lettore avrebbe potuto sopportare oltre il pedante Ruju/Stano. Quel colpo di scena, preparato in modo così avvilente, senza pathos, senza ritmo, è l’apice del vuoto espressivo di questa storia, ed è l’esemplificazione dell’insieme dei problemi che caratterizzano la serie di Dyland Dog attualmente: approssimazione, mancanza di sentimento, eccessiva professionalismo, vuoto di idee, gioco al ribasso. Di questo passo, non se ne esce né vivi né zombie.

Harry

tutte le tavole sono realizzate da pasquale ruju e angelo stano

giovedì 15 settembre 2011

Mentirei

                                                                                  disegno di giacomo nanni

Mentirei se ti dicessi che mi sto divertendo.
No, non mi sto divertendo. Quello che leggo ultimamente non mi piace molto.
Scelte sbagliate? O una tendenza? O il mio umore?

E poi, gli incontri. Parlo con autori demoralizzati. Non poco.
E tutti che mi dicono la stessa cosa: non so bene perché vado avanti.

Cos'è questa urgenza di esprimersi coi fumetti?
Se ci pensi, a prescindere da qualunque giudizio critico ed estetico, la quantità di fumettisti che si impegnano a portare avanti un loro discorso è grande, e ancor più... incomprensibile.
Immotivata?

Forse però questa loro fatica si respira attraverso le loro opere. Sento spesso una sottile barriera. Un'incomunicabilità, una mancanza di direzione, un'incoerenza inconsapevole di fondo, che riverbera attraverso le loro creazioni.
E mi sembrano mancare, da un lato, la determinazione che deriva da una profonda convinzione dei propri mezzi e della propria voce; dall'altro, la confidenza nel credere che si stia realizzando qualcosa di cui le persone hanno bisogno, che potrebbero cercare, amare, condividere con parenti e amici. C'è l'ombra dell'invisibilità. E del vuoto.

Harry

Fumetti compensati

prossimamente...

(c) chester brown


Harry

giovedì 8 settembre 2011

Editori che arretrano


Ma gli editori di fumetti, secondo te che ogni tanto mi leggi, hanno o non hanno la responsabilità di promuovere i propri prodotti culturali?


La casa editrice Marcos Y Marcos, in ambito letterario, ha da qualche anno deciso di utilizzare un approccio diverso al mestiere di editore: meno pubblicazioni all’anno (solo 13) ma tutte attentamente curate e valorizzate attraverso iniziative promozionali di diverso tipo (tra le quali ricordo la collaborazione con la compagnia teatrale Quelli di Grock per la drammatizzazione di alcuni romanzi della casa editrice).
La sua idea è, strano a dirsi, quella di avere un ruolo culturale e non solo commerciale.

Senti che pensiero grande, potente, sarebbe questo nel mondo del fumetto: una casa editrice che si assume un ruolo culturale, programmatico, non fine a se stesso, e che si muove nel territorio con gli autori per creare iniziative creative e stimolanti. Trovare nuovi lettori, stimolare nuovi interessi, mantenere una forte identità, ed avere una funzione anche sociale. È troppo, vero?

Invece, abbiamo case editrici che raramente hanno un progetto chiaro, a volte boicottano più o meno volutamente i propri prodotti o le iniziative di alcuni dei propri autori (!!), oppure se ne disinteressano, e vedono terminare il proprio lavoro nel momento della stampa o della grande fiera-mercato.

Gli autori sono soli. Non solo non percepiscono grandi guadagni nel momento della pubblicazione, se ne percepiscono, ma devono anche avere le forze da soli di promuovere i propri libri, di trovare uno spazio personale, di creare un seguito.
E non lo dico per deresponsabilizzare gli autori, sia chiaro.
Ma dove sono le sinergie? La progettualità? La forza di sviluppare un’idea culturale precisa? Di delineare una funzione sociale (l’ho ridetto) per l’editore stesso e i suoi autori?
Per generare un bisogno (vitale) nei potenziali lettori che sono sparsi nel territorio italiano?

Harry

martedì 6 settembre 2011

Merchandising e un brutto fumetto

Ieri, all'ipermercato, mio figlio si ferma incantato a osservare uno scaffale pieno di shampoo con le immagini dei suoi cartoni animati preferiti. Gli parlo: sono solo veli di adesivo incollati allo stesso prodotto, uno shampoo chimico di bassa qualità. Il gioco e il divertimento che ti aspetti, non ci sono.

A luglio, il settimanale Topolino si rinnova. Importa davvero? No. Ma escono i pezzi della Makkinaz, il gadget estivo di rito che a mio figlio piace tanto. Nel primo numero con allegato, il 2902, ci sono parecchie storie, tra le quali, ovviamente, quella con la Makkinaz che… è già iniziata nel numero precedente?! Non ne capisco il motivo. A mio figlio non interessa. Lui sfoglia il giornaletto, e si fa leggere le cose che gli piacciono. Di tutte le storie che ci sono, la sua preferita è questa (fatti coraggio e leggila tutta. L'ho inserita apposta ad alta risoluzione):




La sua preferita. Perché?
Questo fumetto è totalmente sbagliato. Non è un problema solo tecnico, ma proprio di conoscenza del fumetto come mezzo di comunicazione. Non si riesce a leggere, non c'è sequenzialità e logica nei passaggi. Il punto è chiaro, si tratta soltanto di un prodotto derivato, un collaterale (come gli effetti delle medicine). Nel racconto, viene malamente fatta la sintesi del film di animazione con le avventure di Max, una sorta di Kung Fu Panda a basso costo, di cui tra le altre cose esiste un pessimo gelato frizzante.
Mio figlio mi avrà fatto leggere questo orrendo fumetto decine e decine di volte. Perché il personaggio gli era familiare, grazie ai canali tematici gratuiti per bambini della tv digitale.
Una nota di passaggio: la tv digitale gratuita è pura immondizia, perché continua a ridare le stesse puntate degli stessi personaggi, col solo fine di veicolare le ore di pubblicità. E funziona.

E i fumetti Disney?
Che importa? Quello con la casetta che appare in tv è troppo diverso da questo.
C’è un filtro, un’ombra sopra queste storie, questi personaggi.
Ovviamente conservo i fumetti per provare a riproporglieli quando è più grande. Anche se a leggerle, quelle storie, io da grande, non è che mi sembrano proprio coinvolgenti. Tutt’altro.
In fondo, la speranza, o la fede, non si esaurisce mai.

Harry

Volontari

Ecco quello che succede normalmente nelle redazioni delle riviste di critica sul fumetto...


domenica 4 settembre 2011

Il bisbiglio del cane



Riprendo il filo del discorso su Black Jack di Tezuka Osamu direttamente da qui. Se hai voglia rileggilo.
E poi goditi questa splendida, surreale, romantica, orrorifica storia karmica. Si tratta del racconto numero 81 di Black Jack, Il bisbiglio del cane, nell'edizione italiana di Hazard Edizioni, che devi avere nella sua interezza (25 volumetti imperdibili).

Harry













opera di tezuka osamu, hazard edizioni, tutti i diritti riservati

sabato 3 settembre 2011

Dacci dentro, Baru!




Toni da commedia per scenari tragici di immigrazione e delinquenza quotidiana.
Colpisce la sintesi e l’essenzialità dell’ultimo Baru.
L’implicito di quanto narrato è talmente vasto che rischia di rimanere sommerso.
Ogni segno è talmente carico di significati!
Pompa i bassi, Bruno! (Coconino Press) come titolo della storia, una frase detta e passata come un grido qualunque all'interno di una vicenda complessa,  a rappresentare il movimento della vita.

Ciò detto, non la migliore storia di Baru. Ma non sottovalutarla.

Harry

Merchandising in una cesta



venerdì 2 settembre 2011

giovedì 1 settembre 2011

Merchandising e dove siamo arrivati



Sto parlando di merchandising. Ho una posizione personale, ma mi interessa soprattutto allargare il ragionamento, perché il fumetto ne è strettamente parte, e ... vittima?
Ricorderei solo che l'Italia su queste cose insegue l'America da sempre. Segue e diventa allieva perfetta.
E quindi, per un punto storico chiaro, partirei da qui:

Negli otto interminabili anni in cui rimase alla Casa Bianca, Ronald Reagan bloccò qualsiasi proposta di legge che limitasse la presenza degli spot pubblicitari negli spot televisivi per ragazzi. Eppure l’ultima di tali proposte proponeva limitazioni addirittura risibili: 10 minuti e 30 secondi per ogni ora durante i fine settimana, 12 minuti nei giorni feriali. Due anni dopo, nel 1990, il provvedimento fu approvato dal Congresso; ma l’allora presidente Gorge Bush si rifiutò di firmarlo, appellandosi al primo emendamento della costituzione che garantisce la libertà di parola. In questo caso, libertà soltanto per i pubblicitari delle reti televisive.
Grazie alle continue pressioni di insegnanti, psicologi e genitori, alla fine il provvedimente fu “lasciato passare”, sebbene senza la firma del presidente. Comunque la sua applicazione fu episodica e, presto, cautamente disattesa. In quel decennio la “supercommercializzazione” dei programmi per ragazzi subì un’incredibile impennata: si calcolò che il bambini, prima ancora di raggiungere l’età scolare, venisse esposto a più di 5.000 ore di televisione, un quinto delle quali era costituito da pubblicità diretta e, prima di finire le superiori, il ragazzo medio aveva già riempito la sua vita con un totale di esposizione televisiva che andava dalle 19.000 alle 20.500 ore. Centinaia di ricerche registrarono una caduta verticale del profitto scolastico, della capacità di fissare l’attenzione e dell’interesse nella lettura, compresa quella dei fumetti.Nacque un nuovo formato per i programmi dei ragazzi: i comunicati commerciali erano indissolubilmente legati ai prodotti loro destinati. I legislatori si limitarono a raccomandare alla Commissione Federale per le Comunicazioni (FCC) di verificare che non si perdesse di vista “l’interesse pubblico nei programmi per ragazzi”. Così l’egemonia della promozionalità si estese a tutto il mercato multimediale,  dai disegni animati agli albi a fumetti,  ai graphic novel,  gonfiando enormemente il già fiorente merchandising per l’infanzia. 

                                                                   Roberto Giammarco
dalla Prefazione di Maledetti Fumetti 
di David Hajdu (Tunuè 2010)


Tutti i testi di questo blog sono (c) di Harry Naybors, salvo dove diversamente indicato.
Puoi diffonderli a tuo piacere ma esplicitando sempre l'autore e/o la fonte.

La versione a fumetti di Harry è (c) di Daniel Clowes.