sabato 27 dicembre 2008

Dylan chi?

Immagine di Dylan Dog n. 268


Mi sono avvicinato a Dylan Dog 268 con alcuni timori ma con molta curiosità. La prima storia lunga di Roberto Recchioni su Dylan, "battezzato" dal solito Bruno Brindisi alle matite, può considerarsi a tutti gli effetti per il piccolo e quasi immobile territorio del fumetto popolare italiano un evento.
Purtroppo, la lettura del fumetto si è dimostrata peggiore delle previsioni.
E tutto ciò ha poco a che vedere con la mitologia dylaniana. O meglio, mettendo da parte ogni possibile considerazione in merito alla coerenza e all'aderenza della storia con quanto prima raccontato di Dylan Dog, per volontà di sintesi, direi che è proprio la storia nel suo complesso a non stare in piedi.
Maledicendo per l'ennesima volta il citazionismo che in alcuni, troppi casi, sembra il vero pretesto di alcune trame, posso solo dire che la conduzione della storia appare poco organica, le parti decisive della risoluzione sono sprecato e tirate via (l'indovinello?!), il sesso è usato come puro espediente al servizio di un'immaginazione congestionata, la caratterizzazione dei personaggi derivativa e poco sentita.
Ma soprattutto Recchioni sbaglia nel lavorare sull'atmosfera che dovrebbe, perché lo è stata, essere l'elemento cardine della storia. Dylan e il lettore non sono mai realmente in apprensione, in ansia, in tensione, né per i disguidi burocratici né per l'assenza di Groucho, né per nessuno degli altri elementi della storia.
E Brindisi? Beh, lui c'è, da professionista qual è, ma non si vede. Anch'egli risulta anonimo, a tratti spento, a tratti efficace, ma complessivamente piccolo e insignificante quanto la storia.
Una prima occasione del tutto sprecata. Anzi, siamo a una e mezzo, se ricordiamo, e non vorremmo, la primissima prova su Dylan Dog Color Fest #1.
Recchioni è pronto a riprovarci. La Bonelli pure. Ma sembra che, mese dopo mese, Dylan Dog sia destinato a soffocare sotto l'incapacità anche di validi sceneggiatori nel soffiargli un po' di vita, di anima. E Tiziano Sclavi, purtroppo, non ha responsabilità dirette, se non una: di essersi soffermato troppo, nella seconda parte del suo cammino con Dylan, sulle caratteristiche meno efficaci e più pericolose della serie, ovvero il buonismo, il "socialismo", l'orrore del quotidiano che è dentro di noi e nella nostra vita, il mostro della porta accanto, tanto terribile quanto povero e disperato. Grave errore, Tiziano, che stiamo ancora pagando.

Harry.

giovedì 18 dicembre 2008

Intellettuali o personaggi?

Il fumetto sorride e sbeffeggia la "cultura alta" - Lo vedremo mai?




Gipi è stato in tv.
L’intervista è stata ben condotta e lui ha risposto in modo appassionato e presente.
Ma... sembrava un ragazzino spaventato.
Certo, è Gipi, con le sue timidezze e le sue idiosincrasie, che sono tra le ragioni per cui lo apprezzo e ne seguo il lavoro.

La sera dopo c’era Mattotti a Che tempo che fa, ma me lo sono perso. Devo recuperare l’intervista di un autore fondamentale del fumetto mondiale e che in Italia si muove quasi nell’ombra, se non fosse per le illustrazioni usate sulle riviste e sulle copertine di alcuni romanzi. Sospetto che abbiano parlato meno di fumetti che di arti visive in generale, ma è una sensazione non confermata dai fatti.

Sollecitato anche da alcuni spunti emersi in una recente discussione che ho letto sul forum di ComicUS, a proposito di Interni di Ausonia, mi vien voglia di tornare sul tema dell’assenza di intellettuali nel mondo del fumetto (e delle cultura?) italiana.
Se è vero che è ancora difficile per il fumetto smarcarsi dal sillogismo nuvolette/intrattenimento di massa, è però vero che opere come Interni, con i difetti che non ti ho taciuto in una precedente mail, sono lì a dimostrare che il fumetto può essere molto altro, molto più di questo. Un iceberg di dimensioni enormi sta pian piano affiorando, grazie soprattutto allo sforzo di un’editoria in fermento, con strutture piccole se non minuscole e grazie alle autoproduzioni. Ma anche all’interessamento di importanti case editrici generaliste che hanno ben compreso il potenziale del fumetto altro dal solo intrattenimento.
Ma gli autori di fumetti, dove sono?
Nella sua apparizione televisiva, Gipi, con il suo atteggiamento understatemant, sembrava lì a rappresentare la soggezione del mondo del fumetto e della cultura fumettistica rispetto al mondo visibile, tele-visibile. Faceva tenerezza, tanto quanto il fumetto fa tenerezza alla gente comune.
Nel mondo trasparente del fumetto, le voci che contano sembrano essere soprattutto quelle che sanno riproporre, rielaborate, le fantasie degli adolescenti che furono, le spacconate da action movie, le esaltazioni da ego-maniaci, senza che riesca ad emergere una loro visione del mondo, della vita e della cultura e, quel che più conta, la loro posizione all’interno di esse. La loro posizione di autori, di creativi rispetto a quello che fanno e vogliono esprimere sembra fare parte essa stessa del mondo che creano con i fumetti. Sembra vogliano essere i protagonisti delle loro storie, piuttosto che i protagonisti della cultura italiana. Molti di loro si illuderanno che questa è una posizione utile, mentre mi sembra vada ancora una volta nella direzione della trasparenza di cui sopra, dell’autoreferenzialità e dell’isolamento culturale che il fumetto non riesce a vincere.

Harry

giovedì 20 novembre 2008

Ghost Stories


Questa volta volevo segnalare il lavoro di un autore statunitense davvero bello.
Si tratta di Essex County di Jeff Lemire.
Sono tre racconti collegati. Il secondo, dal titolo Ghost Stories ha a che fare con i ricordi e la perdita della memoria in età anziana.
Il protagonista, prossimo a scomparire nella sua vecchiaia solitaria, ripercorre la sua vita, riscoprendo la desolazione di episodi di vita che, a posteriori, delineano una parabola chiara e inevitabile.
Viene da chiedersi se sia così semplice definire una teoria su se stessi, sulle scelte che portano, per tutti, alla solitudine della morte. Nel tempo è possibile che una vita si sintetizzi in singoli nodi cruciali, caratteristici, emblematici?
Lemire usa un tratto spesso, estremamente poetico e sintetico. Spazi ampi, pennellate scure su scenari dominati dal bianco. I movimenti interiori sono evocati chiaramente dagli atteggiamenti delle persone e dalla scelta di quali episodi di vita raccontare, dalle inquadrature, dal tratto stesso, molte volte tremolante e idiosincratico.
C’è una malinconia struggente, mai sopra le righe, perfettamente controllata. Che sa aprirsi alla gentilezza della vita nei piccoli gesti e nelle piccole gocce di speranza e di sensibilità che arrivano a volte inaspettate.
Lemire ha talento, ha una sua spiccata visione del mondo e della poetica a fumetti. Mostra ancora ampi spazi di crescita e lo attendo di fronte a racconti che toccano altre corde, altre tematiche.
Ma l’intera trilogia di Essex County, pubblicata negli Stati Uniti da Top Shelf e facilmente reperibile, è una lettura importante e che ti consiglio di cuore.

Harry.

lunedì 17 novembre 2008

Lucille


Di anoressia si muore.
Sono piene le fosse e prima gli ospedali. E prima ancora e più spesso le case/galere autoinflitte da chi di anoressia soffre.
Raccontare di questa malattia è difficile. C’è un’intimità e una profondità che è quasi impossibile esplicitare. Si rischia la superficialità oppure la pedanteria.
Ecco quindi che il primo volume di Lucille, dell’autore francese Ludovic Debeurme, spicca come un’opera a fumetti straordinaria perchè perfettamente equilibrata.
Debeurme sceglie di affrontare il tema dell’anoressia in modo diretto e forte nei primi capitoli del racconto, dove la malattia e l’ossessione sono al centro della chiusura esistenziale della protagonista e del rapporto interrotto con sua madre. Quando all’introspezione e alla chiusura succede l’apertura alla possibilità di una nuova vita e di un amore profano; quando l’azione e gli eventi prendono il sopravvento guidati da un fato beffardo e da coscienze immature e schiave del carattere non domato, la malattia passa in secondo piano. Nessuna guarigione miracolosa, nessun appesantimento narrativo. L’anoressia si muove in sottofondo, come un filo rosso che percorre ogni gesto e ogni evento che coinvolge Lucille. Ed è qui che la sensibilità di Debeurme emerge con straordinaria lucidità. Perché anche di fronte a possibili percorsi di cura e di cambiamento, l’approccio “anoressico” all’esistenza permane, condiziona e non smette di manifestarsi.
Il cibo è il rapporto con la vita, con il desiderio di crescere, di svilupparsi. Ogni interruzione, ogni perversione trova molto raramente una risoluzione positiva e definitiva. Se non dopo un lungo e faticoso lavoro su di sé.
Per queste ragioni Lucille è un’opera sentita e capace di incantare. Ma non solo.
La sensibilità dell’autore va di pari passo con la sua capacità di sintesi e rappresentativa, con un’impostazione della tavola originale e fluida, con un disegno sottile, misurato ma fortemente emotivo.
Lucille è una storia a fumetti imperdibile.

Harry

giovedì 13 novembre 2008

Volto Nascosto


Gianfranco Manfredi scrive e ha scritto di tutto, romanzi, fumetti, canzoni, sceneggiature televisive e cinematografiche. Manfredi ama la storia, la verosimiglianza, l’avventura, gli intrighi, la cura degli sviluppi psicologici delle vicende, la recitazione dei personaggi. Sono solo alcuni dei marchi di fabbrica che hanno reso necessaria la lettura della sua serie Magico Vento (Sergio Bonelli Editore), ormai più che decennale.
Con il numero quattordici attualmente in edicola si chiude invece la miniserie Volto Nascosto che ha almeno due motivi di sicuro interesse: la vicenda si conclude sul serio dopo quattordici mesi; il contesto in cui si sviluppa la storia è l’Italia coloniale a cavallo tra le due guerre.
Quell’Italietta ridicola e triste è al centro di una trama apparentemente complessa, ma che in estrema sintesi si traduce in pochi elementi: un trio amoroso conflittuale, ossessioni di affermazione di sé attraverso la guerra, il segreto dietro al volto nascosto del titolo, una cattura e una liberazione. Poco altro. Il tutto tratteggiato attraverso una sceneggiatura macchinosa, verbosa, spesso noiosa e prevedibile, con pochi guizzi.
L’ultimo numero è purtroppo rappresentativo: il segreto prima celato con molti sforzi, viene svelato da uno dei protagonisti senza alcuna apparente ragione psicologica accettabile e il tutto si chiude in una catarsi di violenza che sembra rincorrere la semplicità ma che nasconde, forse, troppa ingenuità e superficialità.
La macchina narrativa di Volto Nascosto, pur con le ottime intenzioni dell’autore, non sembra mai decollare, ancorata com’è da un lato alla volontà di Manfredi di rifarsi a certe regole del romanzo d’appendice e, dall’altro, alla scelta comprensibile di voler dare spazio e forma al contesto socio-politico di quegli anni.
La miniserie ha avuto successo, e mi auguro sinceramente che un esperimento simile possa riproporsi, ma con qualche emozione in più e una sintesi maggiore, sia sul piano della sceneggiatura che sul piano della rappresentazione di umori, vicende storiche, dinamiche tra i personaggi e via dicendo.
Harry.

Interni



Ausonia da tempo afferma con ideologia militante la necessità che le forme artistiche tornino a un’autenticità espressiva indipendente dai criteri commerciali e dal mercato.
Nell’ambito fumettistico, più volte ha posto la questione riaffermando la conflittualità tra prodotto commerciale e autoriale, con argomentazioni non banali e non semplicistiche quanto questo periodo potrebbe far supporre.
Interni, il suo ultimo lavoro, sembra accomodarsi in questo solco, a dispetto di quello che l'autore dichiara, laddove il protagonista è un autore affermato di romanzi di genere in crisi di identità.
Detto che l’approccio, come sempre, è originale sia sul piano della scrittura che del disegno, verrebbe da chiedersi perché tutta questa perdita di tempo. Un ordito talmente complesso a sostegno di un inganno futile, facilmente superabile con, per esempio, il “trucco” dello pseudonimo, non è giustificato se non dalla necessità dell’autore di voler a tutti i costi affermare l’Idea che il prodotto commerciale rende schiavi non solo i lettori ma, per primi, gli autori stessi.
Al che mi verrebbe da chiedere, siamo sicuri che affermati autori “popolari” non avrebbero la possibilità editoriale per realizzare opere più libere, autonome, autoriali, con conseguente successo di pubblico? È possibile che semplicemente questi autori non ne abbiano la voglia, non ne sentano la necessità?
È, questa possibilità, conseguenza dell’intorpidimento derivante dal pensiero commerciale e commercializzato che sottostà alle regole del prodotto di massa?
A giudicare dal risultato espressivo rappresentato da Interni, vien quasi da dire che, in questo caso, le riflessioni sul fumetto popolare abbiano contaminato negativamente il fumetto autoriale, dando origine a un prodotto sterile. E autoreferenziale. E inconsistente nelle sue motivazioni psicologiche ed euristiche. Peccato.

Harry.

domenica 2 novembre 2008

Blu


C'è un bel talento qui.
E una sensibilità efficace nel rappresentare la paura.
Si parla di attacchi di panico, psicofarmaci e di profondità.
Le nostre profondità fanno paura.
Non credo che la psicoterapia da sola sia sufficiente.
Men che meno gli psicofarmaci che innestano sulla paura altre paure.
Nella mia esperienza quello che funziona è il ritorno all'ascolto,
che riporta all'unione di mente e corpo.
Solo l'armonia tra mente e corpo, sostenuta dall'ascolto profondo
genera consapevolezza e cambiamento.

Il cambiamento che porta alla cura.
Come dice Lowen, la felicità è sentirsi in un percorso di crescita.
Alessandro Baronciani con Quando tutto diventò blu (Black Velvet)
lo racconta molto bene.
Lo consiglio soprattutto a chi come me non ha apprezzato il suo precedente
Una storia a fumetti.

Harry

sabato 18 ottobre 2008

La maledizione dell'ombrello

Questa volta sarò breve.
C'è un autore francese che ha rivoluzionato il modo di concepire il fumetto. Questo signore si chiama Lewis Trondheim. Protagonista di lavori molteplici e multiformi, ultimamente sono rimasto colpito e affascinato da "Little Nothings", ovvero le sue pagine di diario autobiografico a fumetti. Una pratica ben conosciuta e, si potrebbe dire, piuttosto di moda negli ultimi anni. Penso a Nanni con il suo Cronachette in Italia, all'osannato (eccessivamente) Kochalka e all' ugly Jeffrey Brown negli Stati Uniti. Ma ne tralascio sicuramente molti altri.
Lewis ha qualcosa in più. Nella sua esplorazione di vita, infatti, esplora con semplicità e senza forzare anche le potenzialità del fumetto.
Troppo spesso quando pensiamo al fumetto abbiamo in mente precise caratteristiche ricorrenti. Ma il fumetto non è un genere, bensì un mezzo di comunicazione con potenzialità solo in parte esplorate. Lewis si racconta e ci racconta il fumetto. Senza razionalizzare, senza meta-comunicazione, semplicemente dando vita alle sue semplici, meravigliose tavole.
Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di autori così. Ma sono rari, perché il contesto editoriale non favorisce queste forme, e perchè la genialità è merce unica.
Ti mando un paio di tavole di esempio, stranamente entrambe incentrate sui gatti di Lewis. Che Nanni abbia visto giusto con il suo ottimo Cronachette? I gatti sono spiriti della creatività?!
A proposito, prima di salutarti, poiché non ho avuto il tempo di scansire quella tavola, ti racconto una battuta che mi ha colpito profondamente.
Lewis e la moglie decidono di prendere due micetti per i loro due figli da un amico. Li chiamano con i nomi di due aeroporti parigini perché questo è quello che avevano stabilito anni addietro nell'eventualità di avere dei mici. A fine tavola, Lewis pensa, due micetti. Bene, così se uno dovesse morire ci sarebbe comunque l'altro.
Come per i miei due figli.

Per altre tavole in inglese puoi guardare qui:
http://www.nbmpub.com/news/littlenothingblog.html

Harry.
(c) Lewis Trondheim

domenica 7 settembre 2008

Intellettuali?


In un mondo migliore esisterebbero ancora gli intellettuali.
Non quei noiosi chiacchieroni da salotti televisivi. Quelli che riempiono le tv di tutto il mondo occidentale con occhiali improbabili, pose da star e voci altisonanti da cocainomani.
Ci sarebbe bisogno di intellettuali che hanno ancora qualcosa da dire, che sono ancora in grado di interpretare la nostra attualità, di offrirne una visione provocatoria, sentita, di parte.
Intellettuali che sappiano prendere parte, appunto. È, questa, una delle più gravi mancanze del nuovo millennio.
In Italia la situazione è anche peggiore.

I nuovi intellettuali, che attendo come il sole all’alba, dovrebbero conoscere e rappresentare le arti povere. Fanculo gli intellettualismi borghesi. Spero nel ritorno all’artigianato. Manuale o virtuale, materico o informatico poco importa.
E quale, tra le arti giovani, è la più artigianale di tutte?
Senza alcun dubbio il fumetto. Sono convinto che l’unico modo che ha il fumetto per diventare adulto, per essere preso sul serio, è che venga rappresentato da autori capaci di esprimere una propria visione del mondo, che la sappiano affermare a tutti, che diano forza alla loro voce, che sappiano prendere parte. Per i nuovi intellettuali il fumetto dovrebbe essere la poesia di un tempo.
Penso che il fumetto sia una delle forme di comunicazione più efficaci per sbattere in faccia alle persone questa realtà compromessa. Per sollevare qualche velo illusorio.
E invece è così triste vedere il nostro fumetto “popolare” che si occupa di tutto tranne che di attualità, che racconta di vivisezione attraverso una favoletta preconfezionata, che punta gli occhi sul dolore senza capirlo, muovendo solo facile compassione, che si rifugia nella rassicurazione della narrazione di genere, senza guizzi né originalità. Il fumetto di genere dovrebbe essere una risorsa, una possibile metafora, non un canone da ripercorrere all’infinito, già scritto.

Il fumetto ha bisogno di intellettuali che siano nella società e dalla società alzino la loro voce.
La nostra cultura ossidata e addormentata ha bisogno del fumetto.
Harry

domenica 31 agosto 2008

Il fumetto popolare italiano

Il fumetto popolare italiano vive su di una contraddizione.
Pensaci, è proprio così.
La casa editrice Bonelli, per molti versi IL fumetto popolare in Italia, ha diversi personaggi memorabili. Ne cito alcuni, ma è pleonastico: Tex, Mister No, Dylan Dog, Martin Mystere…
Ognuno di essi è nato, cresciuto e ha raggiunto la fama grazie alle idee dei loro creatori. G.L. Bonelli, Sergio Bonelli, Tiziano Sclavi, Alfredo Castelli e gli altri hanno dato voce ai loro personaggi attraverso le passioni, le emozioni, le idiosincrasie che li contraddistinguono. Non ci sono ragioni per dubitare che Martin Mystere è Alfredo Castelli o che Mister No è Sergio Bonelli.
Questa constatazione è tanto scontata quanto importante. Seguimi.
La contraddizione sta in questo: la logica della serie infinita vuole che il personaggio sopravviva al suo creatore. Da anni Sclavi si è de-identificato con Dylan Dog. Da anni non gli appartiene più, se non in termini di diritti e riconoscimenti. E i suoi pochi ritorni al personaggio lo confermano numero dopo numero. Alfredo Castelli resta legato a Martin Mystere più per un attitudine tutta operaia che per vocazione. Mister No è stato soffocato dall’assenza di Sergio Bonelli per anni, prima di chiudere con il ritorno malinconico del suo creatore. Una morte sana e necessaria.
Ma il problema non sono le serie che, come Mister No, chiudono. Il problema sono le serie che proseguono.
Non c’è una serie che sia una, di quelle citate, che abbia mantenuto, nel tempo, la forza, la freschezza, l’identità di quando era condotta dai suoi creatori.
Il problema non è tutto italiano. Negli Usa, i fumetti di supereroi soffrono della stessa sindrome. Con una grossa differenza: l’immobilismo italiano non permette alcun tipo di innovazione o revisionismo tipico invece del fumetto d’oltreoceano.
Nati negli anni giusti, con gli autori giusti, i personaggi Bonelli si sono immobilizzati. Sopravvivono a loro stessi, grazie all’impegno, spesso disincantato, dei nuovi autori, che raramente osano offrire il meglio delle loro idee o il meglio della loro capacità creativa. Sarebbe fatica sprecata, perché inadeguata se non rifiutata dalla redazione.

Immagina uno scenario: le serie storiche della Bonelli si interrompono tutte. Basta Tex nelle sue molte edizioni. Basta Dylan Dog, in bianco o nero o in quei pleonastici colori annuali. Stop.
Andiamo in edicola, respiriamo sereni, e vediamo decine di personaggi nuovi, di autori nuovi. Immagina la gioia di sfogliare un nuovo “fenomeno” editoriale. Non quella versione pseudo-fantascientifica di Tex che è Brad Barron. No. Qualcosa di nuovo. Originale, unico.
Ecco, immagina la rinascita del fumetto popolare. E il canto del cigno della casa editrice.
Fallimento.
Il fumetto popolare vive del passato. Nel passato.

Harry

L'immagine di Groucho in volo sul suo sigaro, un volo emblematico, è di Di Bernardo (tutti i (c) dell'autore).


Tutti i testi di questo blog sono (c) di Harry Naybors, salvo dove diversamente indicato.
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La versione a fumetti di Harry è (c) di Daniel Clowes.