Ausonia da tempo afferma con ideologia militante la necessità che le forme artistiche tornino a un’autenticità espressiva indipendente dai criteri commerciali e dal mercato.
Nell’ambito fumettistico, più volte ha posto la questione riaffermando la conflittualità tra prodotto commerciale e autoriale, con argomentazioni non banali e non semplicistiche quanto questo periodo potrebbe far supporre.
Interni, il suo ultimo lavoro, sembra accomodarsi in questo solco, a dispetto di quello che l'autore dichiara, laddove il protagonista è un autore affermato di romanzi di genere in crisi di identità.
Detto che l’approccio, come sempre, è originale sia sul piano della scrittura che del disegno, verrebbe da chiedersi perché tutta questa perdita di tempo. Un ordito talmente complesso a sostegno di un inganno futile, facilmente superabile con, per esempio, il “trucco” dello pseudonimo, non è giustificato se non dalla necessità dell’autore di voler a tutti i costi affermare l’Idea che il prodotto commerciale rende schiavi non solo i lettori ma, per primi, gli autori stessi.
Al che mi verrebbe da chiedere, siamo sicuri che affermati autori “popolari” non avrebbero la possibilità editoriale per realizzare opere più libere, autonome, autoriali, con conseguente successo di pubblico? È possibile che semplicemente questi autori non ne abbiano la voglia, non ne sentano la necessità?
È, questa possibilità, conseguenza dell’intorpidimento derivante dal pensiero commerciale e commercializzato che sottostà alle regole del prodotto di massa?
A giudicare dal risultato espressivo rappresentato da Interni, vien quasi da dire che, in questo caso, le riflessioni sul fumetto popolare abbiano contaminato negativamente il fumetto autoriale, dando origine a un prodotto sterile. E autoreferenziale. E inconsistente nelle sue motivazioni psicologiche ed euristiche. Peccato.
Harry.
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