domenica 19 settembre 2010

Della loro tragica fine, e di un seno enorme



The Troublemakers. Un film di azione.
Benvenuti. Popcorn, bibita ghiacciata. Vecchio cinema squinternato, con le poltroncine un po’ sporche e non tanto comode.
Fritz, la formosa sorella di Luba è spietata attrice protagonista, falena dorata pronta a tutto. Il tradimento è il principio su cui si regge ogni evoluzione della storia. Nessuno è libero, nessuno è prigioniero, se non del proprio tragico finale.



Questo il gioco di Gilbert Hernandez, che dopo l’incredibile, inarrivabile saga de La Zuppa dei Cuori Infranti, dove ha dato vita al micro-cosmo di frontiera di Palomar, gioca con le sue creature, in piena libertà e, importante dirlo, senza spiegare nulla al lettore. Qui non si parla di pellicole, se non in quarta di copertina. Qui si entra nella storia e basta, in un solo fiato fino alla fine.
Hernandez è diventato ancora più essenziale e pulito nel tratto, ancora più segnico e diretto. La bella Nala (Fritz) è curve ed erotismo pulp, e il romanticismo tra i protagonisti, lo sappiamo già, è una nuvola di fumo. Toccante e vero quanto obnubilante.
I protagonisti danzano mentre si parlano, e il ritmo è una delle componenti essenziali di The Troublemakers. Non solo ritmo interno alla tavola, ma anche nei “tagli di regia”, nei passaggi da una scena all’altra, nell’incrociarsi dei personaggi, nei dialoghi asciutti e senza giri di parole,  ognuno perfetto nella sua bidimensione banalmente espressiva, feroce e fortissima.


I volti dei personaggi sono poche linee composte, sono maschere, sono finzione che nulla tolgono alla forza del racconto, ma ne amplificano le caratteristiche dinamiche, le derivazioni da telenovela, la recitazione che potremmo dire amatoriale. In tutto questo, quello che vince, in una contraddizione che mi sorprende, è la storia. Perché quelle maschere, alla fine, sono ottime rappresentazioni dell’umanità in balia delle proprie emozioni e delle proprie violenze.


E di violenza, di conflitto esistenziale, di bisogni primari Gilbert Hernandez ci racconta da sempre come nessun altro sa fare.
È da questo punto di vista che mi godo la scena di violenza più drammatica e diretta che mi è capitato di leggere negli ultimi mesi (ma non farti sfuggire la leggerezza e l'ironia interna che emerge dal tratto, in ogni vignetta, qualcosa che riesce solo al fumetto, dove la violenza viene immediatamente trascesa e ridicolizzata).
La scena termina con Nala, procacemente distesa su una sdraio, lei che con la sua bellezza mette tutti ai suoi piedi e determina le sorti di ogni persona coinvolta. Ché il sesso fa girare il mondo, babydoll.

Harry



(c) gilbert hernandez

4 commenti:

  1. tra Russ Meyer e tarantino, cosi a occhio. Magari con un po' di John Waters

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  2. Grande Harry, mi fa piacere che sei ripartito con un bel post su uno dei miei autori preferiti: Beto Hernandez con i suoi personaggi forti, complessi e passionali. E le sue donne, che dominano la scena.
    In questo 'film' riprende i b-movie amati da Tarantino, nel racconto Hypnotwist mi fa venire in mente David Lynch: esattamente come con Mulholland Drive, non ci ho capito nulla: se lo hai letto mi dai la tua interpretazione?
    La scena di violenza di Beto Hernandez che mi ha colpito di più è in High Soft Lisp, quando Fritz sposa un vecchio, mi sembra il suo psicologo, che improvvisamente, la notte del matrimonio, forse 'corrotto' dai suoi racconti, la picchia per poi morire di infarto. Anche lì la violenza è ridicolizzata dal personaggio quasi caricaturale, ma allo stesso tempo è angosciante perchè esplode all'improvviso mostrando un malessere psicologico che prima non si poteva immaginare.
    Peccato che la pubblicazione in italiano è ancora indietro e per questi episodi dovremo aspettare ancora un pò.
    Una nota da fumettomane precisino: Nala è il personaggio interpretato da Fritz, che è la sorella, e non la figlia, di Luba.

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  3. rileggendo il post, mi scuso per i congiuntivi mancati... ciao

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  4. grazie per le indicazioni giovanni. ho corretto. vado di fretta e a memoria canno i riferimenti.
    beto è uno degli autori più crudi diretti ma sensibili che ci sia. una grande spanna sopra il fratello jaime.
    ogni volta che rileggo le sue storie mi sento "attanagliato". spaventoso!

    h.

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