mercoledì 12 agosto 2009

Non volevamo far ridere!

copertina del secondo volume che ristampa JLI, di Kevin Maguire


La recente rilettura della Justice League Internetional (JLI) di Giffen, De Matteis e Maguire mi porta a riflettere nuovamente sui comics statunitensi.
A proposito della pausa di Steve Rude, ho accennato al problema del rinnovamento concettuale di un genere, quello supereroistico, che ha vissuto da sempre di tanti alti e bassi e che, per diverse ragioni, ha occupato e continua a occupare la fascia più esposta del mercato USA.
L’esempio della JLI è emblematico, a mio avviso, per comprendere come i meccanismi produttivi, quando si incrociano con sensibilità creative vive e adeguatamente stimolate, possono far nascere nuovi semi che durano nel tempo al di là delle aspettative e delle attese degli stessi autori ed editori.
Perché se è vero che il fumetto italiano manca spesso di progettualità, quello statunitense ne ha fin troppa. Le major soprattutto, sono macchine organizzative strutturate che, generalmente, sanno dar vita a “eventi”, a “rivoluzioni controllate”, a bolle di “marketing narrativo” ben pianificate, anche se raramente di reale interesse per i lettori.
La DC Comics sta ristampando in paperback da circa 200 pagine l’intero ciclo della storica JLI degli anni ’80-'90. Al momento sono usciti due volumi e il terzo è presentato sull’ultimo previews. Ricordo che la serie divenne celebre oltre che per l’intelligenza nella costruzione di trame e intrecci, anche per il tono ironico e dissacrante (per quanto non revisionista) della sceneggiatura, complice il perfetto equilibrio del team Giffen-De Matteis. Nell’introduzione al primo volume, è proprio Giffen a raccontarci, dal suo punto di vista, come sono andate le cose. Il concetto principale che esprime è che non avevano intenzione di far ridere, di essere divertenti. Vale a dire, la forza della serie, quella verve così celebrata, è nata dall’alchimia creativa che si è sviluppata nei mesi, grazie soprattutto all’abilità dell’allora editor Andy Helfer.
Non è banale, alla luce anche di fatti italiani recenti, tornare a sottolineare la fondamentale funzione di un editor. Visto molto spesso come il male incarnato, perché portatore delle istanze aziendali e di marketing, un editor capace vale tanto oro quanto pesa. Ce lo ricorda anche Tito Faraci sul suo blog. Soprattutto quando si lavora in team per un prodotto seriale, l’editor è colui che può creare l’alchimia e far scattare la scintilla.

Tornando a JLI, la rilettura mette in chiara luce proprio la considerazione di Giffen: gli autori hanno una chiara idea dell’approccio da sviluppare ma il risultato è un processo in continuo divenire, rinfrancato dal sorprendente riscontro di pubblico e dalla sintonia del gruppo degli autori che gioca, sperimenta e, soprattutto, continua a mescolare le carte e a cambiare registro quando serve (perché in JLI si leggono anche alcune storie dal respiro davvero cupo). Gli autori lavorano per contrasto e sono i primi a divertirsi e a sorprendersi. Ironizzano sui personaggi (si leggono alcune delle battute su Batman più riuscite di sempre, ed è ancora Faraci a ricordarci del pericolo di ironizzare sulle icone), creano tensioni relazionali (dando umanità e dinamismo), spostano l’attenzione dalla trama agli equilibri tra i personaggi per poi sorprendere il lettore con repentini cambi di tono e colpi di scena, strettamente plot-oriented.
Il punto è che la serie rimane divertente fino a quando gli autori non diventano troppo consapevoli degli elementi che la rendono vincente. A un certo punto tale consapevolezza, unita all’auto-compiacenza, inizia a farsi troppo presente e parte dell’interesse di JLI inizia a scemare.
Ne abbiamo una conferma nei numerosi e raramente interessanti ritorni del team creativo, sia in casa DC Comics (di nuovo con Justice League) che per altri editori (Boom! Studios), dove resta solo il giochino dell’ironia e dei dialoghi, ma senza una vera storia da raccontare. Resta la forma, sparisce la sostanza; parte del divertimento rimane grazie all’abilità, al mestiere, di Giffen e DeMatteis ma non c’è altro. L’elemento di novità e di profondo divertimento per i lettori (ma non dimentichiamolo, anche per tutti i creativi coinvolti!) diventa clichè, riproduzione sterile. E quando questo accade, il meccanismo si inceppa.
Insomma, è importante che gli autori di fumetti non perdano il gusto di creare divertendosi, che sperimentino, che trovino nuovi equilibri. Impossibile, controproducente darsi per scontati, dall’alto della propria esperienza e professionalità. Ne escono solo danni.

Batman stende Guy Gardner con un pugno e Black Canary si dispera per non aver assistito

Dai tempi di JLI i comics sono cambiati molto. Difficile comprendere, senza un po’ di memoria storica, la forza innovativa di quella serie. Non facile ritrovare quei semi nelle serie di oggi, anche se una certa rinnovata attenzione per i dialoghi brillanti sembra derivare anche da lì (Brian M. Bendis?), ma è certo che quelle storie sono ancora divertenti e fresche e non hanno perso buona parte del loro interesse. Rileggetele!

Harry.

2 commenti:

  1. bellissima recensione! ho la JLI, gran parte della JLE! speriamo che la planeta le faccia anche in italia: sono tra le storie supereroistiche che più meritano degli ultimi 20 anni!

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  2. E dai tempi di American Heroes Play Press (mamma mia si parla di quasi 20 anni fa!!!) che aspetto la conclusione in italiano di questi archi narrativi della JLI e JLE, speriamo che la Planeta colmi presto questi storici gap.

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