copertina di dylan dog 298, di angelo stano
Uno degli aspetti più riusciti dell’ultimo Dylan Dog Color Fest, quello tutto al femminile, è stata l’assenza alle sceneggiature di Giovanni Gualdoni, attuale curatore della testata di Dylan.
Finora, le sue prove, tutte limitate a storie brevi, sono state incolori e intrise di una retorica vetero-sclaviana irritante. Sbagliati i tempi, sbagliati i modi, sbagliata la visione complessiva sul personaggio e le sue dinamiche narrative. Sorprende quindi il suo ruolo in redazione, ma è pur vero che un bravo supervisore (o editor) non deve per forza essere anche un bravo sceneggiatore di quella stessa serie (non tutti si chiamano Renato Queirolo).
Gualdoni ha una storia editoriale più lunga, che non si riduce solo alla Bonelli, e con alcune prove riuscite. Ma in seno all’editore milanese, ha trovato una sua collocazione e una professione indubbiamente invidiabile. Ero certo che non avremmo tardato a leggere una sua storia lunga sul mensile. E ne aspettavo l’uscita con curiosità. Non tutti gli sceneggiatori sono abili nello scrivere storie brevi. I Trillo, i Pazienza, i Tezuka, i Berardi… veri assi della narrazione breve, sono pochi. La forma breve, nel fumetto, si riduce spesso a semplice divertissement, soprattutto in casa Bonelli. Ma con 96 pagine davanti a sé, quel numero magico e maledetto del formato quaderno, non si può ingannare nessuno, ed emerge più chiaramente la presa sul personaggio da parte dello sceneggiatore.
Ebbene, Gualdoni la realizza, la sua prima storia lunga su Dylan Dog, e il risultato è lì da vedersi, appoggiato al bancone del bar della stazione dove ho abbandonato il fumetto. Se capiti in zona, potresti ancora trovarlo, con un mio saluto in seconda di copertina.
Nella testa del killer, 298° uscita, è una storia piatta, senza mordente, un horror esistenziale che non spaventa, condotto in modo scolastico, attraverso una sceneggiatura senza alcun guizzo. Tutto, in questa storia, è vecchio, dalla caratterizzazione del protagonista, alla messa in scena del ribaltamento narrativo, all’esigenza di esplicitare tutto, tutto quello che accade. Gualdoni non lascia nemmeno per un attimo il lettore nello smarrimento di capire chi è chi, in questo sciocco gioco delle parti a cui il povero Dylan deve sottomettersi.
E poi, il protagonista della testata è assente. Cioè, è lì a occupare spazio nelle vignette tavola dopo tavola, ma non se ne capisce il motivo, non ha una collocazione, non ha un movimento, una funzione.
Ecco, per capire cosa intendo esattamente per il genere Dylan Dog, devi leggere questa storia di Gualdoni, perché è lì, appoggiata al bancone di un bar della stazione, che si sviluppa il bigino della narrazione derivativa, meccanica, prodotta per rimasticazione di cliché. Il genere, nelle sue pieghe più negative, è vuota forma riproposta all’infinito. Di questo, di questa semplificazione e banalizzazione è vittima il povero Dylan.
Tutto molto horror, e molto sovrannaturale.
Harry
Volevo scriverlo anch'io! Non mi resta che sottoscriverlo :)
RispondiEliminahttp://byroneloisa.blogspot.com
ma c'è qualcuno ancora che legge DD? :)))
RispondiEliminaDi Gualdoni poi?
Insomma, uno un po' se la cerca, no?
provocario-smok!
@ smoky: risposta scema... hai ragione. cos'è dylan dog?! non ricordo!
RispondiEliminarisposta seria: capita che parlando di genere nel genere, e di horror e compagnia, mi imbatta nella storia di gualdoni, che diventa esemplificativa per un ragionamento. ecco!
h.
Una lettura stancante e senza sorprese: di quelle che vai avanti solo per inerzia. Concordo in modo particolare quando dici che Dyd non sembra avere un ruolo in questa storia. Poi è tutto così didascalico che il cervello sembra essere inutilizzato...
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