sabato 20 giugno 2009

Micrographica

Renee French è conosciuta negli Stati Uniti per alcuni lavori sorprendenti e difficilmente incasellabili. Il più riuscito finora per qualità di storia e disegni è probabilmente The Ticking.
Ma l’esperimento più sorprendente è senza dubbio Micrographica (Top Shelf Productions).
Prendete un foglio di carta, delimitate piccoli riquadri della dimensione di un francobollo e raccontate una storia in quei piccoli spazi angusti. Un francobollo per ogni vignetta. Questa è la regola.
Quello che ha spinto Renee a seguire questa strana speculazione artistica è la volontà di ridurre al minimo l’attenzione al realismo, alla ricerca del segno, ai particolari; abbandonare il perfezionismo che tanto la assilla per dedicarsi a linee semplici, minime, necessariamente essenziali e funzionali. Dedicarsi al simbolo. In un francobollo si ha davvero poco spazio per disegnare. Vi invito a provare.
La storia parla di topi e palline di feci. Il piano visivo è ad altezza topi, anche quando se la spassano all’interno di un cadavere. Ma non è del soggetto del fumetto che volevo parlare.
Lavoriamo un po’ sulla percezione e la lettura della vignetta.

Ecco, iniziamo dalla percezione dell’autrice. Riduciamo una vignetta di micrographica alla grandezza di un francobollo e osserviamola insieme.

A patto di avere una buona vista, quanto posso ragionevolmente definire con la mia linea?
In questa vignetta Renee posiziona nell’angolo in basso a sinistra una pallina di cacca. Tratteggia velocemente la parte anteriore del corpo del topo, con una particolare attenzione all’occhio sinistro e una sorprendente cura della parte anteriore del muso, con quei piccoli puntini scuri. Sono colpi sottili di inchiostro, con la punta del pennino. Per dare un minimo di contesto in uno spazio così angusto, alcuni brevi tratteggi al di sopra del topo, nella parte alta del quadrato, danno un’idea di prato, con qualche cerchietto a definire dei sassolini.

In una seconda vignetta due amici topi, i protagonisti della vicenda, condividono la scena, camminando uno accanto all’altro. Sullo sfondo, appoggiato alla linea dell'orizzonte, Renee trova lo spazio per un lontano alberello. Ovviamente l’autrice statunitense non lavora per sottrazione, ma per sintesi. Ovvero, non pensa a “cosa posso omettere” ma “quanto è necessario che aggiunga per realizzare la storia”. E questo è di per sè l'esercizio e la lezione più importante.
La linea, osservata da vicino, è sottile e leggermente tremolante, sufficientemente sicura nella sua genesi, a seguire con il polso la curvatura e le pieghe.

E veniamo ai simboli. Ingrandiamo la prima vignetta che abbiamo visto.


Il topino che annusa la pallina di feci è una specie di trapezio con gli angoli arrotondati e due protuberanze al di sotto, le zampine, con tre linguette allungate, le dita, ben poco curate. Altra cura, per quanto immediata nella realizzazione, è nel cerchio nero che dà forma all’occhio sinistro, con un piccolo spazio bianco a dare idea della luce che attraversa l’iride. Le macchie sul corpo, il prato e i sassolini sono accenni di inchiostro. Quando li osservo, mi colpisce la facilità con la quale la mia mente li trasforma immediatamente in un significato visivo preciso. Tanto che mi diventa difficile realizzare il processo inverso, ovvero liberarmi dal simbolo per andare all’origine del segno sulla carta.
Sul piano psicologico, infatti, attraverso un processo di inferenze e di associazioni, la nostra mente non può non cercare di dare senso a quello che vede, riconducendolo a qualcosa di cui abbiamo accumulato anni e anni di esperienza. Se Renee fosse stata più ermetica, nel segno, se avesse utilizzato prospettive complesse o avesse saturato le piccole vignette di tratteggi, di accumuli, la nostra mente sarebbe stata costretta a una ricerca differente. Avrebbe dovuto provare a interpretare e connettere, ricostruire attraverso le diverse informazioni offerte dalla storia che evolve.
Nel guardare una vignetta, il lettore si accorgerà che la decodifica del segno è immediatamente seguita da un contenuto emotivo. Più delle parole, che sono anch’esse segni da codificare, ma che mettono in moto meccanismi verbali e logici, il disegno sollecita la nostra parte irrazionale ed emotiva e la lettura è per molti versi im-mediata, ovvero non mediata dal ragionamento.
In vignette estremamente piccole, solo lo sforzo e la concentrazione volontaria portano l’occhio a soffermarsi sui particolari del disegno, mentre nella normalità è l’insieme gestaltico della vignetta che viene raccolto dalla nostra mente. La storia trae cioè vantaggio dalla compattezza visiva, che diviene compattezza narrativa, se usata con intelligenza come da Renee. Leggendo Micrographica nel suo insieme, si nota che per tutto il racconto predominano i primi piani, con uno sguardo che per certi versi richiama le fotografie con inquadratura micro (appunto). I topini sembrano insetti. L’osservazione è estremamente ravvicinata.

Ma Renee, dove vuole condurre il lettore? In primo luogo ad abbandonare il punto di vista dell’uomo, a ridurre il proprio sguardo a quello di un piccolo roditore. In quella dimensione, i punti cardinali, le dimensioni, la profondità e il senso del movimento cambiano. Tutto avviene in modo ristretto. E così la storia, che racconta di come prendersi cura di una pallina di cacca, delle invidie di esseri che non hanno la possibilità di alzare lo sguardo al di sopra della loro sopravvivenza.

Questo micro-esistenzialismo non assume mai toni tragici. Il disegno essenziale, privo di distorsioni espressioniste, minimo nel tratto quanto nella rappresentazione, apparentemente banale, prosaico, non trasmette al lettore sensazioni intense, drammatiche o strazianti. C’è una sostanziale leggerezza, che fa sorridere nel momento stesso in cui fa riflette. Perché naturalmente, l’uomo ridotto alla percezione di piccoli topi gelosi, che si confrontano sul possesso di cose insignificanti se non repulsive, si riscopre specchio di se stesso, nel momento in cui la storia diviene metafora della nostra fragile esistenza.
Il lettore si ritrova, umano e uomo, intrappolato in vite francobolli asfittiche, ad addolorarsi e sprecare energie per motivi futili, per affermare se stesso senza alcuna reale ragione.
L’interpretazione esistenziale della sotria prende naturalmente vita in relazione alle vicende che Renee racconta, ma non avrebbe la stessa forza simbolica se non fosse supportata da un disegno di questo tipo.
Un pallino, una linea curva a chiudere un trapezio, qualche “puntura” di pennino, messe da parte prospettiva, realismo, architetture, espressioni del viso, posture, …




La ricerca artistica di Renee French è una continua riflessione esistenziale in bianco e nero.
Basta un viaggio all’interno del suo blog per rendersene conto. Le singole illustrazioni, che naturalmente non compongono un fumetto, ma se osservate di seguito danno forma a un punto di vista sulla vita, sono minimi concentrati di dolore, di isolamento, di non appartenenza. Si può notare la cura del tratto, assai diverso da quello di Micrographica, e alcune illustrazioni in particolare ci offrono uno sguardo sulla mente di Renee, impegnata nella sua ricerca artistica.
Alcune immagini utilizzano infatti sfondi fotografici per i suoi personaggi disegnati. Alcune fotografie senza disegni interessano l’autrice perché naturalmente vicine alla sua rappresentazione artistica. Sembra ricercare nel reale la sua idea metaforica di vissuto, sembra voler trovare il suo stile visivo nelle cose di tutti i giorni. È la vita che imita l’arte, in piena esasperazione.




Al di sotto di tutto questo, c’è il talento proprio di ogni fumettista di creare la terza dimensione nelle due dimensioni del foglio, di dare l’idea del movimento, di sviluppare una storia che è fatta di parole e disegni.

Harry






Tutte le illustrazioni sono (c) di Renee French

1 commento:



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