Forse non ci credete, ma io amo il fumetto popolare. Ne amo la storia, l’evoluzione e le potenzialità. È per questa ragione che ne parlo così spesso male, perché ci tengo, lo coccolo, lo seguo e ne soffro. Ogni forma di comunicazione che ha vocazione “popolare” dovrebbe sentire delle responsabilità, che stanno innanzitutto nel non sentirsi autorizzati a banalizzare, a semplificare eccessivamente per quello strano assioma – che è un pregiudizio – che più una cosa è di facile “utilizzo” più si riesce a venderla.
Se la semplicità è una vocazione del prodotto popolare, dietro a essa si deve respirare il pensiero, l’intelligenza, la partecipazione e la naturalezza. Tutte caratteristiche che mancano alla maggior parte dei prodotti popolari, fumettistici e non. Perché per costituzione e per necessità, il prodotto popolare è contaminato, improprio, derivativo, meticcio … tutti aspetti che ne fanno un “oggetto non identificato”, che richiede una straordinaria capacità di sintesi e di comprendere il clima socio-culturale in cui si vive.
E a chi non piace sentire ancora oggi parlare di etichette quali “popolare” dico solo che il linguaggio dell’uomo funziona perché si definiscono, implicitamente o non, delle convenzioni. E mi sento ancora oggi in diritto di far mia tale convenzione: per cui, spero sia chiaro a tutti cosa intendo quando parlo di fumetto popolare. Non è una definizione di merito, né un giudizio implicito. Ha più a che fare con il pubblico di riferimento e i meccanismi produttivi che generano tali prodotti.
E di fumetto popolare torno a parlare oggi a proposito di Caravan, la nuova maxi-serie della Sergio Bonelli Editore, ideata e sceneggiata da Michele Medda, con l’apporto artistico di autori conosciuti come Roberto De Angelis (ai disegni nel primo numero) e in costante crescita come Emiliano Mammucari (copertinista della serie).
Non so cosa sia Caravan, narrativamente parlando. Non ho avuto voglia di leggere anteprime, interviste, comunicati stampa. Ho comprato il primo numero al buio. Perché di Medda mi fido. Perché a Medda attribuisco senza dubbio le qualità dell’intelligenza, della professionalità non sterile ma “germinale”, dell’autonomia di pensiero e della passione per il medium fumetto.
Per cui, l’unica cosa che vi so dire di Caravan, interpretando i presupposti del primo numero, è che si tratta di un’avventura on the road, con più o meno chiari riferimento catastrofistici, con una conduzione corale e non incentrata su un singolo protagonista. E ciò vi basti.
Caravan esordisce in modo impeccabile. Il movimento della sceneggiatura è naturale, coerente, senza increspature inutili e senza automatismi necessari alla risoluzione della trama. I personaggi hanno voce propria, le vicende hanno spazio e il lettore partecipa della storia con trasporto.
Merito della buona riuscita è da attribuire anche all’ottimo lavoro di De Angelis, che mette a frutto la sua esperienza e la grande intesa con lo sceneggiatore, consolidata in anni e anni di Nathan Never. Le inquadrature, le scelte di ritmo, tagli, “movimenti di camera” hanno una connotazione decisamente fumettistica, per quello che il fumetto, certo fumetto realistico, è diventato negli anni: di nuovo, un prodotto derivativo ma non spersonalizzato, che del cinema imita la forma sostituendola con la propria, così come imita il movimento dalla staticità di una tavola disegnata.
Ecco, direi che il punto di forza di Caravan è il senso del movimento. E per una serie on the road è un risultato importante.
La copertina di Mammucari pone già le premesse di un prodotto nuovo, pur nella continuità del fumetto di avventura realistico di casa Bonelli. Il tratto e la posa dei due personaggi, che ricordano Adam Kubert, nascono da una sintesi che rielabora senza forzature il linguaggio visivo dei comics statunitensi. La scuola Kubert, ricordiamolo, prima ancora che dal fumetto di supereroi, ha le proprie radici nel fumetto di guerra e dell’avventura esotica (le foreste di Tarzan, il passato remoto della preistoria di Tor). Non so dire con quale consapevolezza, Mammucari cita e rielabora, in una semplice tavola, tutto quel mondo che ai lettori italiani è conosciuto e lontano al tempo stesso. Una buona premessa, una buona metafora del contenuto di Caravan.
Aggiungo solo che Mammucari aveva già dato un’ottima prova di sé nel recente quinto numero di Dix, con uno stile ancora diverso per quanto perfettamente riconoscibile, che pescava a piene mani dal genere noir, con una sensibilità poetica efficacissima. Una dimostrazione di flessibilità stilistica che dice del suo grande talento, per quanto di una personalità artistica ancora in via di definizione.
In conclusione, il primo numero di Caravan rappresenta l’esordio più convincente degli ultimi anni per una (maxi)serie popolare.
Seguiamone le sorti.
Harry.
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