lunedì 25 ottobre 2010

Carne e ossa



Da qualche tempo vivo in collina, vicino al bosco.

Esco di casa, con scarpe pesanti, mi inoltro nell’umidità delle piante. È utile al mio respiro e alla mia memoria fungo.
È un luogo pacifico, all’interno di un parco protetto. Protetto dall’uomo.

Dieci giorni fa, i miei vicini hanno subito una rapina in casa. Soldi e gioielli. Avevano antifurti elettronici. Non sono serviti a nulla.
Due giorni dopo, in una stradina che conduce nel bosco, c’è stata una sparatoria. Un abitante del paese ha sparato a due amici, uno alla gamba destra, uno nel petto. Prognosi riservate.
Non si direbbe. Il mio paese come luogo di scenari violenti. Il crimine ci spaventa. Il crimine ci affascina. Il crimine è ovunque.

Incolliamo il muso ai televisori, alimentando il disagio e la paura, mentre la nostra mente scimmia si eccita alle notizie dell’ultima adolescente uccisa dallo zio e dalla cugina, dall’ultimo colpo in volto a una ragazza in metropolitana. Nulla di nuovo. Ci alleniamo alla violenza attraverso lo schermo televisivo, attraverso i filtri del satellite terrestre, delle pagine web. Ne prendiamo distanza e ne siamo sempre più condizionati. Paura. Non uscire di casa. Coprifuochi, locali che vendono kebab che devono chiudere prima. Fomentare, rinchiudersi in casa.
La paura è uno strumento politico. Impedisce il ragionamento, rende più condizionabili.
La politica come il tifo calcistico distorce le percezioni, per cui quel che pensi è pro o contro la tua squadra. Atteggiamenti violenti, razzisti, fascisti sono meccanismi funzionali al tifo. Si chiudono lì. Le derive sono responsabilità di chi strumentalizza.

Lo spettacolo della violenza è un’onda che parte da lontano. Alleniamo i nostri bimbi al filtro tecnologico-visivo-ludico sin da piccoli. Si creano meccanismi automatici, subordinazioni di pensiero, emozioni escremento sofisticate.
Non c’è retorica in tutto ciò. Solo il senso della normalità che sfugge al controllo individuale per essere sotto-controllo audiovisivo. La realtà come reality e viceversa.

È in questo scenario che si colloca l’intuizione potente, lucida di Robert Venditti e dei suoi Surrogati. Il prequel al capitolo principale ha tratti di potenza ancora più efficaci, dovuti probabilmente alla maggior consapevolezza di mezzi dell’autore.
Ricorda, i Surrogati sono automi sofisticati che simulano in tutto e per tutto la vita umana, pilotati a distanza da persone comodamente chiuse al sicuro in casa. La vita sofisticata, portata alle estreme conseguenze. Il filtro con il reale diviene definitivo. La perdita del controllo è totale, nella totale illusione del controllo. Assenza del pericolo come manifestazione ultime della paura. Contraddizioni, ambivalenze.
L’apertura della storia Carne e ossa (in Italia per Rizzoli/Lizard), il prequel appunto, è agghiacciante. Un ragazzino alla guida del surrogato paterno commette un omicidio. Conseguenze a cascata.







Un poliziotto nel mezzo che cerca di far carriera, stando dalla parte del giusto, vivendo le sue contraddizioni affettive, entusiasta anch’egli del surrogato della sua compagna che, naturalmente, non comparirà mai di persona, in carne e ossa.





Di Venditti non apprezzo nell’insieme la conduzione delle trame, perché si concludono senza pathos, perché perdono il ritmo e la tensione. Ma ne ammiro la sensibilità, la forza evocativa e il potere della metafora.
E attendo nuove storie dei Surrogati. Penso ne valga la pena.



Harry


tutte le immagini sono (c) di robert venditti e brett weldele e sono tratte dall'edizione originale in lingua inglese, pubblicata da top shelf productions. l'edizione italiana è realizzata da rizzoli/lizard

6 commenti:

  1. condivido il tuo giudizio sulle sue buone intenzioni metaforiche mentre le trame sono un po' facili, come il suo disegnatore, malcelatamente scarno.
    mi rileggo... http://www.lospaziobianco.it/?p=4938
    e scopro di aver avuto un giudizio generoso sulle trame di Venditti. ma ripensandoci, in realtà forse è solo il finale che gli manca, lo scorrere precende lo ricordo ben cadenzato.

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  2. Grande Harry, come al solito. Non ho letto questo fumetto, ma l'analisi iniziale che hai esposto è sviluppata nella storia, o , come sospetto, è farina del tuo sacco?

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  3. @valerio: non è che venditti non sia bravo a raccontare. le sue sceneggiature sono buone, il suo stile poi in flesh and bone è ancora più efficace. ma è nella conduzione complessiva della trama che perde un po' di mordente qua e là. e il finale si spegne. ma la forza dei surrogati è nelle pieghe sociali e nella vicinanza con la nostra quotidianità.

    @ il.giack: c'è differenza?! :)

    h.

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  4. Per me si, perchè sono un lettore abbastanza superficiale, e spesso mi è successo di mettere a fuoco quello che ho solo 'percepito' in un fumetto, solo dopo averlo trovato analizzato sul tuo blog. E' successo per 'Perchè ho ucciso Pierre', 'Yeti', 'Love & rockets', 'Stitches' e altri nel passato. Ma in quei casi i 'messaggi' c'erano, dovevo solo capirli io. In questo caso invece non conosco il fumetto, ma chissà per quale motivo 'di pelle' non mi fido dell'autore, e da qui nasce la mia domanda. Ma se mi dici che mi sbaglio cercherò subito di recuperare...sono anch'io un pò in fase Biblioteca di Babele :) Ciao

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  5. dalle tavole postato dovrebbe emergere la lucidità di venditti nell'affrontare le implicazioni socio politiche. su questo piano, surrogates è ottimo.
    e una buona, sana lettura complessiva.

    ha sbavature. ma vien voglia di leggerne altre, di storie. cosa volere di più?!
    :)

    h.

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