lunedì 18 ottobre 2010

Barbatrucco





Ho conosciuto Yeti a circa sei, sette anni. Si chiamava Barbapapà e nasceva dalla terra. Era un gioco creativo divertente e dolce, che mostrava una perizia grafica del racconto immaginario davvero particolare.
L'ho ritrovato da adulto, nei disegni di Alessandro Tota, in un libro che non funziona come si vorrebbe. Perché se della dolcezza e ingenuità di barbapapà Tota utilizza solo alcuni temi grafici e ornamentali, è nella capacità evocativa che si esaurisce l'efficacia del racconto.

Uscendo dal riferimento grafico più evidente e lasciando i barbapapà a mio figlio, ammetto che Yeti (Coconino Press), a fronte di molti apprezzamenti della critica, è stato per me una vera delusione.

Il protagonista muto, pagina dopo pagina, non supera l'effetto zuccherino del Tenerone di Gianfranco D'Angelo, per colpa di una storia condotta in modo banale, senza vette e senza aggiungere nulla a un quotidiano e sterile qualunquismo nazional-popolare.

Strano, ma comprensibile, vista l'esperienza di emigrato in Francia dell'autore, che non si riesca a recuperare il senso di una globalità culturale che sempre più ci appartiene, pur con poca consapevolezza.
Riconosco in Tota talento e intelligenza. Ma Yeti non mostra il cuore, non mostra profondità, solo un senso di isolamento intellettuale che neppure i quadretti più ornamentali riescono a edificare, perché derivativi e obbligati.
Si avanza verso un prevedibile finale con un ritmo costante, ripiegato su protagonisti poco interessanti e meccanici.

Ma Yeti è qualcosa di più, perché pur non avendolo assolutamente apprezzato, ne colgo il fascino per molte persone. In questo, trovo un'ambivalenza che prima ancora che narrativa è probabilmente culturale e sociale. Se dovessi usare una definizione, lo direi conformista dell'anticonformismo.
Ma non confondere la mia durezza per disprezzo. Tota ha davanti a sé un buon futuro da autore di fumetti, se saprà approfondire di più il suo linguaggio e la sua voce.

Harry

1 commento:

  1. Combinazione, ho appena letto anche questo.
    In effetti, forse anche a causa della 'sigla' iniziale, mi veniva spesso in mente un qualche film italiano, anche se non sono riuscito a mettere a fuoco quale, e provavo, per ogni scena, una sensazione di 'già visto', che alla fine non è passata. Anche perchè il libro si conclude col 'solito' messaggio: 'accetta quello che sei'. In realtà a Yeti mi ci sono affezionato, è un personaggio dolce, come pure mi sono piaciute le ambientazioni che mi hanno ricordato Parigi, ma in modo moderno, non con le solite visioni romantiche a cui siamo abituati. Gli altri protagonisti sono interessanti, anche se rimangono superficiali. Concordo che Tota sia molto bravo, forse deve solo maturare.

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