giovedì 24 settembre 2009

Autoreferenziale - parte 2 di 2

disegno (c) di Robin Smith


(Qui la prima parte)


"It was a disappointment to me, how Watchmen was absorbed into the mainstream. It had originally been meant as an indication of what people could do that was new. I’d originally thought that with works like Watchmen and Marvelman, I’d be able to say, “Look, this is what you can do with these stale old concepts. You can turn them on their heads. You can really wake them up. Don’t be so limited in your thinking. Use your imagination.” And, I was naively hoping that there’d be a rush of fresh and original work by people coming up with their own. But, as I said, it was meant to be something that would liberate comics. Instead, it became this massive stumbling block that comics can’t even really seem to get around to this day. They’ve lost a lot of their original innocence, and they can’t get that back. And, they’re stuck, it seems, in this kind of depressive ghetto of grimness and psychosis. I’m not too proud of being the author of that regrettable trend.
[...]

I was noticing that DC seems to have based one of its latest crossovers [Blackest Night] in Green Lantern based on a couple of eight-page stories that I did 25 or 30 years ago. I would have thought that would seem kind of desperate and humiliating, When I have said in interviews that it doesn’t look like the American comic book industry has had an idea of its own in the past 20 or 30 years, I was just being mean. I didn’t expect the companies concerned to more or less say, ‘Yeah, he’s right. Let’s see if we can find another one of his stories from 30 years ago to turn into some spectacular saga.’ It’s tragic. The comics that I read as a kid that inspired me were full of ideas. They didn’t need some upstart from England to come over there and tell them how to do comics. They’d got plenty of ideas of their own. But these days, I increasingly get a sense of the comics industry going through my trashcan like raccoons in the dead of the night.”



"È stato demoralizzante per me, vedere come è stato assorbito Watchmen nel fumetto popolare. Era stato pensato come un’indicazione di quello che di nuovo si poteva fare. Inizialmente ho pensato che con lavori come Watchmen e Marvelman sarei stato capace di dire 'Guardate, questo è quello che potete fare con quei vecchi concetti. Potete completamente ribaltarli. […] Usate la vostra immaginazione.' […] Come dicevo, era qualcosa che aveva l’ambizione di liberare I fumetti. Invece, è diventato una stretta che i fumetti non riescono a smuovere ancora oggi. Hanno perso molta dell’innocenza originaria, e non possono riprenderla indietro. E sono bloccati in questa specie di ghetto depressivo di rabbia e psicosi. Non sono affatto fiero di essere l’autore di quel terribile trend.
[...]
Ho notato che la DC ha basato uno dei suoi ultimi crossover (Blackest Night) di Lanterna Verde su un’idea tratta da un paio di storie di otto pagine che realizzai 25 o 30 anni fa. Pensavo che sarebbe sembrato disperato e umiliante, ma quando ho dichiarato in alcune interviste che l’industria del fumetto americano non ha avuto una propria idea negli ultimi 25 o 30 anni, avevo semplicemente ragione. Non mi aspettavo che le case editrici citate dicessero più o meno, ‘Si, ha ragione. Vediamo se riusciamo a trovare un’altra delle sue storie di 30 anni fa e a trasformarla in una saga spettacolare’. È tragico. I fumetti che leggevo da ragazzo e che mi hanno inspirato erano pieni di idee. Non avevano bisogno che venisse qualcuno dall’Inghilterra per dire loro come si fanno i fumetti. Avevano moltissime idee. Ma in questi giorni, mi sembra che l’industria dei fumetti non faccia altro che cercare nella mia spazzatura come procioni nel pieno della notte.”


Nel microcosmo autoreferenziale, i miti (i vip, le star, le icone, …) sono più importanti di ogni altra cosa. Alan Moore è uno dei principali. Non mi interessa riflettere ora sulle ragioni fondanti di tale mito, ma è interessante notare che Moore sta cercando in ogni modo, da anni, di sottrarsi all’immagine di leggenda fumettistica vivente. All’interno del microcosmo, l’autore anglosassone è più di quello che è realmente, perché ha assunto dimensioni simboliche irrefrenabili. E così per buona parte delle sue opere. Ho il dubbio che il suo gioco a nascondino, particolarmente attivo negli ultimi anni, sia in parte pretestuoso e non completamente convinto. Tuttavia, è certo che, per molti versi, le sue battaglie (economiche, “politiche”, culturali) sono visibili, molto chiare e ben argomentate.

Quel che accade, come spiega lo stesso autore nello stralcio di intervista riportato in apertura, a proposito dell’ “evento narrativo” Blackest Night per la DC Comics, è il perpetuarsi di modelli narrativi ridondanti e ripetitivi, vecchi, capaci di parlare e coinvolgere solo chi è già parte del microcosmo. Esattamente come quanto accaduto con Final Crisis di Morrison, dove il gioco al rialzo stilistico/narrativo è futile e nasconde un abissale vuoto di idee. È chiaro, in un mondo che si auto-alimenta, ogni idea innovativa o pericolosa (perché capace di mettere in discussione il modello) genera paura e/o rifiuto. Da un lato, quindi, c’è il timore di introdurre nuove idee, per non destabilizzare il microcosmo e non rischiare l’insuccesso. Dall’altro, esiste il reale problema che molti degli autori attuali di comics erano i fan di allora, sono cresciuti cioè con quei vecchi concetti, e con l’ambizione di inserirsi nel microcosmo. Sono stati inglobati e lavorano al meglio per alimentare quel mondo.
Quando Moore parla dell’eredità di Watchmen, dei suoi perversi figli e figliocci che ancora oggi imperversano nel mondo dei comics statunitensi, rivela un fatto che è essenziale ricordare ma che molto spesso viene dimentichiamo: se Watchmen non fosse stato profondamente innovativo (nei contenuti e nella forma) non avrebbe mai potuto ottenere il successo che ha avuto. Secondo quanto racconta lo stesso Moore, la sua ambizione era quella di dimostrare dall’interno che è possibile rinnovare i contenuti e i paradigmi propri del medium in un contesto mainstream. L’effetto che ha ottenuto, a suo dire, è stato al contrario un processo di adesione sterile alle caratteristiche più superficiali dell’opera. Quello che genera l’adesione a modelli e idee precostituite e abusate è la paura e l’incapacità di pensarsi parte di nuovi paradigmi.

La crisi di vendite che alcuni anni fa ha colpito il mercato dei comics in USA, che ha visto la Marvel Comics sull’orlo del fallimento e che per un po’ di tempo ha generato il dubbio che lo stesso fumetto potesse sopravvivere (come se una forma espressiva fosse intrinseca al mercato di cui è parte!), ha portato ad alcuni cambiamenti interessanti, ma che si stanno progressivamente spegnendo mano a mano che i timori scompaiono e che ritorna la stabilità, lo status quo. Perché?
È semplice, e ci riguarda tutti da vicino, perché comune a quanto sta accadendo nell’attuale scenario economico-finanziario globale. Di fronte a una crisi di grandi proporzioni come questa, si è in costante attesa che il temporale passi e si torni al cielo sereno di un tempo. Ma il modello, il microcosmo, non viene messo in discussione. Quello che non si comprende è che per superare certe crisi e generare un vero, sano rinnovamento (che sia culturale, economico, ecc.), è necessario aprire la mente a nuovi, possibili scenari che possano dar vita a microcosmi inediti, governati da altre leggi e altre idee. Una possibilità che è tanto impegnativa quanto spaventosa.
E il primo passo, potrebbe essere liberarsi di miti e icone ormai slegate dalla realtà, perché sclerotizzate dalle identificazioni, proprio come avviene per le opere del “leggendario” Alan Moore.


Harry

3 commenti:

  1. Bell'intervento. L'editoria mainstream che ha scommesso su Alan Moore era quella in profondissima crisi degli anni ottanta. Significa che si è disposti a fare qualcosa di nuovo solo quando non si ha scelta. Purtroppo. Altrimenti è molto meno rischioso copiare quello che al momento vende di più. Fino alla prossima crisi.

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  2. Ciao Gianni.

    Certo, abbiamo diversi esempi di questo genere: le crisi spesso mettono in discussione i vecchi modelli.
    eppure, come sappiamo, dipende molto dalla percezione che si ha di una crisi.
    in italia si parla di crisi di vendite (e di idee, aggiungerei, per il fumetto "mainstream") da più di un decennio. come si affronta una "crisi" così lunga?

    e ancora, è banale ma lo evidenzio, non basta una crisi anche grave per modificare qualcosa. devono esserci molteplici fattori:
    - l'editore (e l'editor) giusto
    - l'autore/i giusto/i
    - un'apertura mentale a paradigmi diversi e alternativi
    - ecc.

    perché in alcuni casi una crisi può anche risolversi con l' "estinzione" (che poi è sempre un cambiamento). arroccarsi, cercare di mantenere le posizioni, nella paura, riproducendo e riproducendo le stesse cose perché qualsiasi cosa di diverso sarebbe troppo rischioso e non venderebbe in un mercato messo male... ecco, questo è più o meno quello che mi sembra stia accadendo in italia in quello che potremmo chiamare fumetto "mainstream", con qualche interessante eccezione da parte di bonelli.

    harry

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  3. Ciao Harry.
    Fondamentalmente è diverso l'atteggiamento. Gli americani in crisi cercano proposte nuove perchè se no non si guadagna. Business. Quindi danno Batman a un autore e gli danno carta bianca, Tanto, peggio di così. L'autore è Frank Miller e il suo DK fa storia e soldi a palate.

    Qua da noi i piccoli editori non vogliono rischiare e i grandi giocano di rimessa. Magnus fa Tex, ma è lo stesso Tex che è tutti i mesi in edicola. Questo è business? no. Questo è voler preservare un'icona, al di là di ogni considerazione commerciale.

    Poi la crisi che morde ha stanato anche il buon Bonelli, che è uscito con Gea, che ha dato spazio a Bacilieri, ma ancora il "qualcosa di completamente diverso" introdotto dal Dylan Dog di Sclavi è lontano.

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