mercoledì 23 settembre 2009

Autoreferenziale - parte 1 di 2



Il mondo dei comics statunitensi è pieno di celebrità e miti. Sono immagini mentali costruite a partire dalla necessità di caratterizzare un mondo e un mercato di nicchia, dove il soggettivismo nevrotico derivante da quello che si ritiene un potenziale incompreso si sposa con la seduzione di sentirsi parte di una elite. Non importa se tale presunta elite sia manifesta o meno, perché questi ragionamenti sono essenzialmente autoreferenziali. In un territorio ricco di finzioni e credenze, raramente supportate da elementi critici di peso e da considerazioni provate dai fatti, hanno pieno potere le fantasie e le semplificazioni.
Si sostiene spesso che l’autoreferenzialità sia IL male principale del fumetto, negli Stati Uniti e in Italia. Per comprendere il concetto di autoreferenzialità faccio riferimento a un altro mezzo di comunicazione di massa, ovvero la televisione. Credo che non esista, al giorno d’oggi, uno strumento più impermeabile ma paradossalmente inclusivo della tv. Essa si occupa ormai quasi esclusivamente di fatti, persone e concetti nati e sviluppati all’interno della tv stessa. I programmi sono realizzati per creare personaggi e icone, e di quello e poco altro si occupano. È l’ideologia neo-autocratica dei vip, dove al concetto di “very important person” si sostituisce il concetto di “specchietto per le allodole”. Chi frequenta assiduamente la tv, con poca capacità critica, si identifica completamente con i personaggi, i messaggi e gli eventi che essa contiene, provocando un cortocircuito che non permette più di distinguere tra la realtà e la messa in scena televisiva. Il mezzo di comunicazione ha inglobato lo spettatore.
Naturalmente l’autoreferenzialità televisiva è per buona parte costruita a tavolino, ma in altre parti, non meno attive, non meno significative, è definita da meccanismi automatici che si auto-alimentano. I cosiddetti vip, infatti, sono essi stessi totalmente identificati nella loro parte e hanno tutte le ragioni per cercare di sopravvivere e non scomparire, perpetuando cioè un microcosmo che li sostiene e che permette loro di vivere. È ovvio che in un tale contesto, la finzione è necessaria al mantenimento dell’omeostasi sistemica e più importante della verità (da qui, la crisi dell’informazione giornalistica televisiva).

Nel mondo del fumetto, alcuni meccanismi sono molto simili, ma con una differenza sostanziale: l’autoreferenzialità della tv è conseguenza dell’enorme potere di condizionamento individuale e sociale che esercita, ed è quindi sostenuta da forti strutture oligarchiche, economiche e politiche. L’autoreferenzialità del fumetto ha obiettivi limitati, dalle implicazioni socio-politiche decisamente ridotte. Se per la tv, quindi, la chiusura su sé stessa è un mezzo di inglobare l’astante, ed è quindi funzionale alla diffusione e al condizionamento di massa, per il fumetto tale chiusura produce isolamento e allontana una grande parte di potenziali nuovi lettori.
Ma alcune caratteristiche sono comuni: i vip (autori, editori, personaggi di finzione) nascono e muoiono ripetutamente e costruiscono, con la fertile collaborazione dei lettori che di quel mondo (da nerd, o da specialista-collezionista) vogliono fare parte, un microcosmo che si auto-alimenta. È una questione di sopravvivenza di un sistema che si deve sostenere da sé, pena la sua scomparsa, la scomparsa di quel mondo come è attualmente concepito da chi è parte di quello stesso mondo. Perché non ho dubbi nel sostenere che potremmo immaginare un “microcosmo fumetto” molto diverso e variegato dall’attuale.

Nel gruppo di persone che da esterni (lettori, appassionati) vorrebbero al contrario essere integrati nel microcosmo, ci sono anche molti presunti “critici di fumetti”. Sono le persone che del fumetto parlano e scrivono per il bisogno sfrenato di assecondare la loro frustrazione: non avere un ruolo attivo nel mondo che amano. Quando ciò avviene, il “critico” è egli stesso parte del meccanismo, è seduttivo, è ossequioso o inutilmente provocatorio e, quel che è peggio, è fuori dal mondo reale. Proprio come lo spettatore televisivo acritico di cui sopra. Di questi “critici” il fumetto non può fare a meno, ma raramente sono apprezzati, perché, per certi versi, mettono in evidenza le debolezze del sistema. Purtroppo, in assenza di consapevolezza, sono attaccati e messi in discussione sempre per le ragioni sbagliate, invischiati in contrasti egoici e interessi personali senza fine. Sono esseri senza dimora, senza il riconoscimento che agognano. Ma le parti realmente attive del microcosmo (autori, editori, distributori, ecc.) dovrebbero ricordare che questi “critici” sono il frutto di un sistema che essi stessi riproducono e perpetuano.

(fine prima parte)


Harry

3 commenti:

  1. Bello! Sbrigati a scrivere la seconda parte :-)

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  2. Harry, non stiamo confondendo i critici con i semplici recensori? C'è chi dice che l'attività principe del critico sia la recensione, a mio avviso invece è l'analisi, dove, quasi paradossale, il giudizio personale viene sospeso il più possibile nel tentativo di studiare l'opera prima di giudicarla in poche righe conclusive di una trattazione. Non è raro il caso di figure interne al fumetto con in bibliografia un saggio (magari importante), o di professori "critici" per nulla frustrati e studiosi dei media (Groensteen, Gaudreault, Barbieri...). Il problema della critica in Italia, da come viene posto, sembra fermarsi alle poche righe postate su un sito e dedicate all'ultima novità. Ma questa è attività informativa, da giornalista e, appunto, recensore.

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  3. @ luigi: grazie. tra poco la seconda parte

    @ valentino: no, non sto confondendo. la mia analisi è ben circostanziata e non sto generalizzando. attenzione, perché affatto detto che tutta la critica sia fatta in quel modo. e non è un problema di lunghezza, ma di contenuti. e di esempi se ne potrebbero fare numerosi. per esempio, ahimè, spulciando l'ultimo nato dei siti "di critica" del fumetto, che si dichiara voler essere da esempio... alla faccia dell'autoreferenzialità!

    harry.

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