mercoledì 27 luglio 2011

A livello superiore - Videogiochi, intrattenimento e senso di colpa (1)


Ho già parlato di intrattenimento. E del rapporto tra intrattenimento e (mancanza, consumo di) tempo.

Se tale riflessione interessa senz’altro il fumetto, al giorno d’oggi credo che riguardi ancor più il mondo dei videogiochi. Questi sono senza dubbio il modo per occupare il tempo più comune all’interno di una specifica fascia di età, per quanto sospetto che tale fascia si stia progressivamente allargando, sia verso l’alto che verso il basso. Ma qui un’avvertenza. Tutto quello che so dei videogiochi risale alla mia esperienza di adolescente e a quel che mi permetto di osservare in giro. Non utilizzo videogiochi da anni, non sono aggiornato sulle sue uscite, sul suo sviluppo tecnologico, sulle sue narrazioni.
Credo che esista tuttavia ancora oggi il paradigma per il quale l’intrattenimento videoludico sia il massimo della perdita di tempo, qualcosa di strutturalmente ideato e realizzato per catturare la mente e l’attenzione umana per ore, dimenticando quel che ruota attorno, e lasciando le persone in qualche modo svuotate, intontite. Prima che esperti attori dell’attuale scena videoludica mi saltino al collo, specifico che questo paradigma rappresenta solo una parte, non so dire quanto grande, di tale fenomeno. Eppure, nella mia osservazione quotidiana, ne vedo esempi continui, in metropolitana, nei grandi magazzini, attraverso le conversazioni con le persone. C’è una continua, ossessiva ricerca di distrazione, che il videogioco sembra assecondare pienamente. E si collega una domanda insidiosa, di tipo psicodinamico: cosa succede al nostro equilibrio psico-fisico nel tempo che passiamo a (video)giocare? Ma andiamo oltre.

So che una delle direzioni in qui i videogiochi si stanno evolvendo (con grande successo, a giudicare dal fenomeno wii e successivi) è quello dell’immersione totale nell’esperienza digitale (coinvolgendo il più possibile tutto il corpo, attraverso il movimento e un consumo sinestetico), nell’irrealtà della matrice. Insomma, cose vecchie come il mondo (concettualmente), ma che trovano costantemente nuove forme grazie all’enorme sviluppo tecnologico e all’innovazione dei controller. Immagino quante persone si stanno godendo in questo momento una bella partita a tennis, con tanto di movimenti e sudore, all’interno del proprio appartamento, faccia immersa nel monitor, ecc.
Se non è intrattenimento questo?!

Ebbene, come per ogni segmento dell’esperienza umana, anche in questo caso il puro divertimento può trasformarsi in carriera. Il sogno di molti appassionati di fumetti è di entrare professionalmente nel campo (da autori, editor, promotori, editori, ecc.). Da ragazzino, questo desiderio per me si declinava nell’aspirazione a possedere un’edicola. Quando si dice l’ingenuità. Oggi, che di fumetto mi occupo solo e volutamente a tempo perso, ho abbandonato ogni insana aspirazione in quel senso; perché rovinarsi un piacere?!
Per i videogiochi, la professione può configurarsi come programmazione, ideazione, designer, ma anche tester (che è un compito non certo banale) e agonista. Questi due ultimi casi, per il vero amatore, rappresentano forse il vero sogno: guadagnare soldi non facendo altro che giocare ininterrottamente per ore (e so di banalizzare). È il sogno della pura immersione in una realtà polisegnica e multi-dimensionale, dove reale e virtuale si fondono costantemente. Si vive per il gioco, si gioca per vivere. Che è poi il paradigma classico di qualunque disciplina sportiva agonistica, con l’unica differenza che in questo caso l’esperienza è costantemente mediata da una matrice, è intangibile, è indiretta.
Difficile non perdersi.
Soprattutto perché passando dal solo divertimento alla professione cambia il paradigma. E la passione può crollare sotto il peso delle necessità.
E ancora, perché a dialogare con i nostri desideri e sogni non siamo soli, ma sempre in compagnia dei nostri antenati, come ho già raccontato a proposito di Trama.

È a questo punto che diventa utile parlare di Level Up, di Gene Luen Yang e Thien Phan.

Harry
(continua)

4 commenti:

  1. "Credo che esista tuttavia ancora oggi il paradigma per il quale l’intrattenimento videoludico sia il massimo della perdita di tempo, qualcosa di strutturalmente ideato e realizzato per catturare la mente e l’attenzione umana per ore, dimenticando quel che ruota attorno, e lasciando le persone in qualche modo svuotate, intontite"

    Sicuramente non c'entra niente, ma questo è il (sano, spesso addirittura ricercato) effetto che mi danno molte letture, sia fumettistiche che non.

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  2. ciao. in effetti è interessante ribaltare questo concetto da negativo a positivo. no? l'accusa è: perdi tempo. ti ci perdi. il reciproco è: mi rilasso, mi distraggo, non penso.

    detto questo, mi spaventa. da cosa dobbiamo scappare sempre?

    h.

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  3. Lavoro, famiglia, problemi economici, paura per il futuro... ne volessi.

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