mercoledì 12 maggio 2010

Galleggiare



Lo ammetto, sono un detrattore di Pasquale Ruju. Non mi piace la sua sensibilità, non mi piace il suo approccio alle storie. Non ho mai letto una sua storia convincente e mi ha sempre colpito la sua centralità nella redazione Bonelli. Credo dipenda dalla sua “normalità” di professionista serio e modesto, da galleggiamento. È di questo galleggiamento, dopotutto, che vive Dylan Dog. Di questo, muore mese dopo mese.
Demian, la prima miniserie ideata da Ruju, era interessante nelle premesse (o quanto meno nell’immaginario di riferimento, quello dell’indimenticato Jean-Claude Izzo) ma fallimentare nella realizzazione, per quanto, da quel che so, abbia goduto di un buon successo di pubblico, se è vero che a breve uscirà il primo speciale e se a Ruju è stata subito data fiducia per una seconda miniserie.
Non voglio giudicare i gusti dei lettori, non voglie dissentire o discutere delle scelte di redazione o della serietà di un professionista. Certo è che di professionisti come Ruju il fumetto seriale italiano e non è pieno, ma se il fumetto seriale avesse vissuto solo di galleggiamenti, saremmo ancorati a modi di concepire il fumetto molto diversi da quelli di oggi (so che più di un lettore di questo blog sta pensando che, sì, in effetti il fumetto Bonelli è piuttosto fermo).

Fatta questa premessa, e tenuto conto della promessa che ho fatto a me stesso qualche tempo fa, è un mistero il motivo per cui ho acquistato e letto il primo numero di Cassidy, la nuova miniserie in 18 numeri di Ruju. È un mistero che si risolve in quattro mosse: il mio antico amore per l’hard-boiled; la rarità di questo genere nelle proposte Bonelli; la generale curiosità per le scelte dell’editore milanese e per capire come si muovono le acque del principale attore del fumetto seriale realista; il prezzo di copertina.
Ammetto che il primo numero di Cassidy è meglio di quello che mi aspettavo, perché quanto meno non vi trovo le ricorrenti cadute di tensione e la superficialità nello sviluppo dell’intreccio che caratterizzano spesso le sceneggiature di Ruju e perché la storia, ben disegnata da Maurizio Di Vincenzo, ha un buon ritmo e una chiarezza di intenti ammirevole (caratteristiche che mancavano a Demian). Ciò detto, non c’è il minimo sospetto di originalità in questa storia, né nella conduzione né nelle tematiche. E non c’è autenticità nelle emozioni. È l’ennesima prova professionale e senza cuore di casa Bonelli. E questo è troppo e molto meno di quanto si può volere.
Ma non disperiamo, siamo solo al numero uno.

Harry

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