venerdì 25 dicembre 2009

Mater Morbi


Bello questo nuovo numero di John Dog.
Belli, espressivi, feroci, sexy i disegni di Carnevale.

La genesi di Mater Morbi è raccontata da Recchioni nel suo blog.
La storia è costruita su un equivoco: di malattia si è parlato dall'alba dei tempi, e alla madre di tutte le malattie sono state tirate, più che dedicate, numerose poesie e numerosi scritti. Esistono moltissimi libri esoterici che affrontano il rapporto dell'uomo con la malattia. Ci sono infinite espressioni poetiche. Ma ci torno sotto.

La storia funziona su alcuni livelli, soprattutto quello “autoriale”. La fatica autobiografica che tanto viene messa in evidenza, in primis dall’editor di Dylan Dog (ancora Marcheselli?), che tanto pizzica di questa storia, come un graffio sul viso, segna un passaggio per Recchioni. Perché lo sceneggiatore romano, alla sua seconda prova lunga con John Dog, si cimenta per la prima volta nella (non)fiction, con inquietanti parallelismi con la propria vita personale. In epoca di onnipresenza visiva, il tutto si colora di reality, e lo specchio tele-mediatico via blog della (non)fiction amplifica in un cortocircuito quello che in Mater Morbi appare appena. E la storia tocca più di quel che potrebbe, isolata, a sé. È intelligenza fine, questa. A partire dall’intuizione di Carnevale e Marcheselli che hanno proposto a Recchioni l’idea in prima battuta.
Ma ci siamo. Scatta un meccanismo nuovo. Recchioni mette un po' di realtà in quello che racconta. Un po' della realtà che conosce e tocca con le sue mani. Non solo fiction della fiction, non solo videogiochi, sesso o fumetti di fumetti. Insomma, un passo avanti per rendere i suoi racconti a fumetti più tangibili, meno inconsistenti, meno divertiti e facili.

Ciò non confonda, ché sul piano strettamente narrativo, Mater Morbi risente di troppe parole in didascalia, di meccaniche prevedibilità da John Dog audience, a compiacere (meglio, a rassicurare) i tanti lettori di Dylan Dog, da un lato, e di John Doe dall’altro.
Insomma, qui si legge una (discreta) storia di John Doe che rassicura i fan di Dylan Dog, per quanto Recchioni vorrebbe convincerci del contrario. Certo, è vero, Dylan Dog parla come Dylan Dog, reagisce come Dylan Dog, pensa come Dylan Dog, ha i riferimenti di Dylan Dog. Ma è John Doe.
E a meno che Recchioni non voglia fare come Gaiman, dovrà decidere di cambiare tematiche e trucchi, prima o poi, altrimenti sarà già vecchio prima ancora di crescere.


Torniamo al tema della malattia. Recchioni lo reifica, lo incarna (banalmente nella solita, bellissima donna), gli dà voce per … terrorizzare il lettore o per normalizzarne l’inquietudine? John Dog dice che Malattia è sola, disprezzata e mai cantata. Eppure il tema della malattia accompagna il percorso dell’uomo da sempre, come dicevo. Aggiungo che malattia e morte sono sempre state strettamente correlate, al punto da confondersi l’una con l’altra.
C’è un fumetto, un piccolo gioiello, che della malattia più terrificante del vecchio secolo, il tumore, racconta senza mediazione e con ironia. Si tratta de Il cancro mi ha reso più frivola di Miriam Engelberg . Per il lettore, l’incontro con una persona malata e il suo percorso (ahimé) definitivo è ben più terrificante dell’incarnazione in un’entità astratta.

Uno dei maggior poeti italiani del Novecento, Guido Gozzano, scrive la poesia Alle soglie, quando si scopre malato di tisi. Ascolta come risuonano la splendida ironia a proposito del rapporto con i dottori e i versi finali, con quella strana devozione da novizio per la nuova sposa.

Alle soglie

I.
Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d'esistere al mondo,
pur chiuso nella tua nicchia, ti pare sentire di fuori
sovente qualcuno che picchia, che picchia... Sono i dottori.
Mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali segni,
m'auscultano con gli ordegni il petto davanti e di dietro.
E sentono chi sa quali tarli i vecchi saputi... A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non bisognasse pagarli.
"Appena un lieve sussulto all'apice... qui... la clavicola..."
E con la matita ridicola disegnano un circolo azzurro.
"Nutrirsi... non fare più versi... nessuna notte più insonne...
non più sigarette... non donne... tentare bei cieli più tersi:
Nervi... Rapallo... San Remo... cacciare la malinconia;
e se permette faremo qualche radioscopia..."

II.
O cuore non forse che avvisi solcarti, con grande paura,
la casa ben chiusa ed oscura, di gelidi raggi improvvisi?
Un fluido investe il torace, frugando il men peggio e il peggiore,
trascorre, e senza dolore disegna su sfondo di brace
e l'ossa e gli organi grami, al modo che un lampo nel fosco
disegna il profilo d'un bosco, coi minimi intrichi dei rami.
E vedon chi sa quali tarli i vecchi saputi... A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non fosse mestiere pagarli.

III.
Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d'esistere al mondo,
mio cuore dubito forte - ma per te solo m'accora -
che venga quella Signora dall'uomo detta la Morte.
(Dall'uomo: ché l'acqua la pietra l'erba l'insetto l'aedo
le danno un nome, che, credo, esprima un cosa non tetra.)
È una Signora vestita di nulla e che non ha forma.
Protende su tutto le dita, e tutto che tocca trasforma.
Tu senti un benessere come un incubo senza dolori;
ti svegli mutato di fuori, nel volto nel pelo nel nome.
Ti svegli dagl'incubi innocui, diverso ti senti, lontano;
né più ti ricordi i colloqui tenuti con guidogozzano.
Or taci nel petto corroso, mio cuore! Io resto al supplizio,
sereno come uno sposo e placido come un novizio.


Leggi poi questa breve intervista ad Alda Merini, recentemente scomparsa, lungamente in lotta con la malattia psichica.

La malattia è come un periodo di transito, ma anche di blocco, a volte quasi di paralisi [...] Ricordo di una violenta cefalea, insopportabile, incoercibile. Pregavo, ma intanto allattavo e contemporaneamente deperivo. Ho avuto un dimagramento importante. Di sicuro uno stato del genere non ti porta alla poesia, se non in una rielaborazione molto successiva.[…] La malattia può porre in una situazione di «grazia» cosmica, quasi di comunione cosmica, di sintonia con l'universo: però nessuno la va a cercare per fare opere d'arte. Meglio essere felici. […] E qualche volta la malattia diventa un canto catartico e liberatorio di disperazione. Per fortuna ci sono i meccanismi compensativi: la natura risponde così ad apparenti deficit: c'è una restituzione in altri ambiti.


E non dimenticarti di Emily Dickinson, che alla malattia è sempre stata vicina.
La malattia modifica la propria consapevolezza, il rapporto con il proprio corpo, il rapporto di sé con il mondo.

The first Day's Night had come -
And grateful that a thing
So terrible - had been endured -
I told my Soul to sing -
She said her strings were snapt -
Her Bow - to atoms blown -
And so to mend her - gave me work
Until another Morn -
And then - a Day as huge
As Yesterdays in pairs,
Unrolled it's horror in my face -
Until it blocked my eyes -
My Brain - begun to laugh -
I mumbled - like a fool -
And tho' 'tis Years ago - that Day -
My Brain keeps giggling - still.
And Something's odd - within -
That person that I was -
And this One - do not feel the same -
Could it be Madness - this?

(trad.)
La Notte del primo Giorno era arrivata -
E grata che una cosa
Così terribile - fosse stata sopportata -
Chiesi alla mia Anima di cantare -
Rispose che le sue corde si erano spezzate -
L'Archetto - in atomi dissolto -
E così aggiustarla - mi diede da fare
Fino ad un nuovo Mattino -
E poi - un Giorno tanto immenso
Quanto una coppia di Ieri,
Mi srotolò in faccia il suo orrore -
Fino a bloccarmi gli occhi -
Il mio Cervello - cominciò a ridere -
Balbettavo - come un idiota -
E nonostante sia Anni fa - quel Giorno -
Il mio Cervello ha quel riso ebete - ancora.
E Qualcosa di strano - dentro -
La persona che ero -
E questa - non sembrano la stessa -
Potrebbe essere Follia - questa?

Infine, una poesia di Giacomo Bergamini.

Dei luoghi del sole

scrivo del sole
come scrivo del vento o del
vuoto
e del nido
umido
parlo del sangue che gratta
i ricordi
del morbo che morde
e non imita mai
il sonno dei cerchi
perché il sole più non incanta
anche se sale le salme
nidificando

per la regia dei re magi
cauta e memore
al telefono
doppi viaggi e comete
e non ricordi le cadute
e i rovinosi inciampi
infernali
non rievochi nemmeno
la nausea
mentre raccogli
l’utero dal fango
si confermano così
malintesi
e si ritagliano
ritagli

è passato
un mattino
sui legami
della lingua
e le parole
già raccontano
un libro
imitando
il calpestio
costante
di noi annoiati
testimoni

la peste ramifica
la penna
e viene a cancellare
i nostri fastosi
luoghi
con verbo
lascivo

scrivo del sole
e del suo gusto a sconfinare
dalle distanze e del suo
quieto miniare
dei suoi versi infantili
e del suo riso
delle sue moine e dei suoi
mille natali
parlo del suo saluto augurale
della menzogna
di questi versi
e di questa recita
abituale



Harry.

8 commenti:

  1. Certo, è vero, Dylan Dog parla come Dylan Dog, reagisce come Dylan Dog, pensa come Dylan Dog, ha i riferimenti di Dylan Dog. Ma è John Doe.

    Per favore, rileggi quello che hai scritto. Io lo trovo esilarante. Purtroppo temo, involontariamente esilarante.

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  2. Speravo in qualcosa più a fuoco.
    Che di fianco ne mostro in cui affondare la lama.
    Va vabbè. Ci sono le feste, sarai stato di fretta.

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  3. @ spari: la lingua mi ha preso la mano. :)
    lo spiego meglio: meccanismi di john doe adattati all'immaginario dylaniato. come spiego sotto a proposito di gaiman. hai presente? gli eterni marvel come gli endless vertigo...

    @ rrobe: di fretta no. la cosa che più interessava era lo spunto a proposito della malattia. la poesia di gozzano trovo abbia risonanze interessanti con alcuni spunti di mater morbi.

    harry

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  4. Parzialmente d'accordo su quanto scrivi, specie sul discorso parole in didascalia e quello sul personaggio in sé.
    Sullo spunto inerente la malattia ho trovato molto interessanti i pezzi da te citati, anche per amor di cultura personale e approfondimento sul tema.
    Ma sul discorso della storia in sé, alla fine la Mater Morbi solitaria e scarsamente decantata da poeti e scrittori si collega benissimo al finale, e al concetto di accettazione che diventa viscerale e passionale.
    Il finale infatti è una delle parti che mi sono piaciute di più nella storia.

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  5. Copito da questo lungo post.. e davvero complimenti al RRrobe!

    Troverò anche spazio per lui nel mio blog se lo vorrà con una breve intervista.. come già fatto alla Barbato e a Stano!

    P.s" buone feste a tutti!"

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  6. @ marco: che dire. il finale è coerente con quanto sostiene recchioni da tempo, a proposito del proprio stato. ed è, credo, il punto di vista più saggio. la malattia, quando cronica, non può che essere accettata. quali conseguenze questo produca, è tutto un altro discorso.
    per cui, l'ho detto, grande intelligenza nella scelta del tema e nella coerenza.
    peccato solo che non trovo che la malattia sia in nessun modo sexy.
    e che la dinamica complessiva della storia sia pressoché similare ad alcune storie di john doe. stessi balletti. ri-contestualizzati.
    e basati sulla contraddizione di cui ho detto all'inizio e di cui ho fatto gli esempi.

    ecco, diciamo che in questo caso ero poco interessato a un'analisi tecnica della storia, ma più a quello che le si muove intorno.

    harry

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  7. c'è anche il Mom's cancer targato Double Shot.
    Veramente bello tra l'altro.

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  8. John Doe è un bastardo. Dylan Dog è un bravo ragazzo. E Rrobe è un fuoriclasse nello scrivere personaggi bastardi, vedasi anche alcuni suoi "liberi" su Lanciostory/Skorpio.
    Purtroppo però Rrobe ha come altissima ambizione quella di scrivere dei bravi ragazzi, da David Murphy a Dylan Dog, per arrivare al suo sogno Tex. Cazzuti, nerd, eroipercaso, ma di indole sempre bravi ragazzi.
    E' un peccato per me, suo lettore/fruitore/fan, che non se ne renda conto. O magari che se ne sbatta altamente.

    Sempre viva John Doe, nel mio cuore.

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