martedì 22 giugno 2010

Non perdiamo spazio (e tempo)



Tornando a parlare di Dago Ristampa, c’è un aspetto sul quale vorrei soffermarmi.
La cosa riguarda lo spazio e, necessariamente, il tempo.
Se il volumetto da edicola si presenta in formato Bonelli (quaderno, b/n, 96 pagine) la sua realizzazione nasce altrove, nasce nei brevi capitoli di 12 pagine per il settimanale.
L’albo della Ristampa subisce quindi una trasformazione importante, perché si caratterizza come una raccolta di racconti. In questa distinzione si profila una diversa gestione dello spazio da parte dello sceneggiatore rispetto a un qualunque altro albo in formato Bonelli. E questa differenza pesa.

Robin Wood ha operato una scelta chiara: ogni capitolo di 12 pagine deve essere un racconto autonomo, con un inizio, uno svolgimento e un finale adeguato. Ma ogni singola storia deve essere il tassello di una narrazione più ampia, che fluisce naturalmente capitolo dopo capitolo. Il meccanismo è tipico del fumetto seriale, ma si caratterizza come unico nell’ambito del fumetto popolare da edicola. Per la verità, quasi tutte le serie prodotte specificamente per il settimanale dell’editore romano utilizzano questa formula (per vederne le molteplici varianti, è possibile recuperare la bellissima serie de I Giganti dell’Avventura), ma Dago Ristampa è l’unico che ha goduto regolarmente negli anni di una serializzazione mensile in quel formato.

Sul piano narrativo, l’obbligo dei racconti brevi costringe Wood a utilizzare almeno tre espedienti importanti: la ricerca di un’idea forte per ogni racconto, con lo sviluppo di una dinamica drammatica, obbligata dallo sviluppo rapido della risoluzione; un’estrema sintesi nelle scelte dei contenuti propri del fumetto, dai testi asciutti e taglienti, ai disegni evocativi e simbolici, per quanto realistici; infine, una gestione dei tempi degli avvenimenti varia e disomogenea, che alterna passaggi di azione molto bruschi con cambi di scena repentini, a momenti nei quali lo sviluppo sembra sospendersi, per accrescere la forza evocativa delle scene (il contrasto è spesso marcato).

Non si discutono l’abilità e l’intelligenza con le quali Wood utilizza i diversi meccanismi a sua disposizione. La sua prosa lirica ma non retorica è perfetta nell’evocare suggerendo, accanto alla forza del disegno di Gomez che appare chiaro, deciso nelle scelte espressive e nelle intenzioni. Dago è un fumetto adulto, che utilizza un linguaggio adulto, che richiede una discreta alfabetizzazione fumettistica. D’altra parte, tali scelte trovano un efficace equilibrio con la leggibilità e la linearità vitali per un fumetto a larga diffusione, dalla vocazione popolare.

Pensare in termini di 12 tavole alla volta costringe Wood a essere sintetico, a lasciare da parte dialoghi, didascalie, eventi, disegni e rappresentazioni inutili. Da questo punto di vista, la sintesi diviene vero e proprio esercizio di stile, che obbliga al pensiero creativo e laterale, cercando sempre nuovi spunti e possibilità per non annoiare il lettore. Di questo esercizio avrebbero bisogno molti degli sceneggiatori Bonelli, che si abituano a ragionare in termini di quasi cento tavole alla volta per raccontare una storia. Lo spazio condiziona il tempo narrativo, e laddove Wood si trova costretto a escludere necessariamente azioni inutili (tempo inutile), gli sceneggiatori che hanno di fronte cento tavole bianche da creare ogni mese sono spinti spesso dalle necessità opposte, allungare, riempire, “occupare spazio”, “perder tempo”. Fino a debordare! Tanto che alcuni sceneggiatori sentono l’esigenza di avere albi di più di cento pagine, oppure di sviluppare le proprie storie in più numeri della serie. Un processo che, superficialmente, appare ingiustificato e inaccettabile. Più analiticamente, è certo che le storie lunghe hanno al loro interno esse stesse dei sottocapitoli drammatici, che permettono uno svolgimento interessante per il lettore, che gli autori possono gestire liberamente, controllando tempi e momenti. Tuttavia, essere “costretti” a raccontare in capitoli obbligati di 12 pagine è certamente “antieconomico”, perché richiede uno sforzo creativo e una fantasia sempre rinnovata, a differenza di una narrazione decompressa di cento pagine. Come più di uno sceneggiatore seriale ha ammesso, infatti, uno degli aspetti più complessi di questo lavoro è trovare qualcosa che valga la pena raccontare, idee che diventino storie, mese dopo mese dopo mese. 

Nell’esercizio di stile di Dago Ristampo Wood utilizza un altro espediente che è complementare alla sintesi di cui sopra, ovvero la reiterazione che procede per accumulazione. Capitolo dopo capitolo tornano alcuni temi e alcune dinamiche narrative, spesso sottotraccia, cioè non esplicitate al lettore attraverso strumenti tradizionali quali riassunti o richiami diretti a fatti già avvenuti. Wood procede per analogie (situazioni, emozioni, passaggi nella prosa che assomigliano ad altri già usati in racconti precedenti) e per accumulazione, favorendo l’orientamento del lettore che legge i capitoli settimanalmente e creando un efficace effetto drammatico per il lettore che legge i capitoli in fila nel mensile.

Queste caratteristiche svelano l’intelligenza con la quale lo sceneggiatore gestisce e supera i vincoli imposti dal formato, trasformandoli in opportunità narrative. E rivelano nuovamente quanto sia importante il formato nel determinare modi, spazi e tempi di una narrazione a fumetti. Una scuola che manca terribilmente nella scena italiana del fumetto popolare è quella del racconto breve. L’intenzione e l’efficacia narrativa ne gioverebbero moltissimo. E questa debolezza si rivela in modo palese nelle rare occasioni nelle quali gli autori sono chiamati a scrivere storie brevi, come avviene, per esempio, nel Dylan Dog Color Fest, una delle collane più interessanti nelle premesse, e più avvilenti nei risultati, del panorama italiano.

Harry.

4 commenti:

  1. Bello. Bella analisi di una serie che, con tutta la mia spocchia intellettuale, leggo sempre per prima, appena esce e riesco a procurarmela.
    Wood e Gomez sono bravissimi, ma per me resta ancora un mistero come una serie che ripresenta sempre le stesse situazioni, e di cui so sempre come si svilupperà e andrà a finire ogni singolo episodio, riesca ugualmente a prendermi così tanto!
    Tu me lo sai spiegare?
    Ciao
    db

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  2. io invece vado per pieni e vuoti. lo leggo per un periodo in full-immersion e poi me ne stacco pr qualche mese.

    il segreto? secondo me sta proprio nell'esercizio della variazione sul tema. da un lato la curiosità di capire quale variazione inventa. dall'altro l'intelligenza di uno scenario che si muove costantemente, in un pre-testo conosciuto e familiare. servirebbe un'analisi più approfondita.
    e poi, beh, la sintesi di cui parlo, che arriva dritta al punto, e l'intelligenza nella scelta dei tempi drammatici. tutto merce rara. secondo me.

    harry.

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  3. Gran bel post, mi spinge a rileggere Dago con occhi diversi.

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  4. mi fai venire voglia di leggerlo, l'analisi mi ricorda molto lone wolf and cub.
    Solo che ad un certo punto Lone wolf finisce, ed è probabilmente comunque troppo lungo. La storia di Dago non prevede di smetterla ad un certo punto, vero?

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