lunedì 12 aprile 2010

La vita dentro alle storie

 disegno di dave gibbons. mettere a fuoco



  Not words of routine this song of mine,
  But abruptly to question, to leap beyond yet nearer bring;
  This printed and bound book—but the printer and the
      printing-office boy?
  The well-taken photographs—but your wife or friend close and solid
      in your arms?
  The black ship mail'd with iron, her mighty guns in her turrets—but
      the pluck of the captain and engineers?
  In the houses the dishes and fare and furniture—but the host and
      hostess, and the look out of their eyes?
  The sky up there—yet here or next door, or across the way?
  The saints and sages in history—but you yourself?
  Sermons, creeds, theology—but the fathomless human brain,
  And what is reason? and what is love? and what is life?
Leaves Of Grass, Walt Whitman



Sono interessato ai particolari obliqui, agli elementi di una storia che ne reggono la verosimiglianza, la credibilità, la consistenza psicologica.
Non mi interessano le trame, di per sé, perché le trame, i soggetti sono inconsistenti e fragili.
Voglio che un autore, con le sue parole e i suoi tratti, mi racconti come un personaggio si muove e non solo che si muove; come vive quello che pensa; come gestisce una situazione, con quale sforzo personale, con quale incognita; cosa succede alle sue mani quando incontra la donna che ama; perché la sua auto non parte, al momento dell’inseguimento; in quale parte del suo viso si incrinano le sue sicurezze; come si muovono le nuvole nel cielo prima del temporale.

Il fumetto può essere fatto di queste cose. Deve essere fatto di queste cose. La trama, le trame, sono solo meccanismi più o meno efficaci, più o meno prevedibili. Non mi aspetto un soggetto originale, dopo decenni di letture. In Watchmen non è certo il ribaltamento finale quel che rende speciale la storia, ma la cura che Moore e Gibbons hanno messo nei particolari. Quella storia vive dei particolari. Del magazzino in cui sono nascosti i costumi dismessi; dei segni sui muri; della tensione negli occhi prima della morte; del ritmo dei passi sul terreno; del movimento circolare delle azioni; delle paure e dei desideri di uomini e donne; della tensione sociale che funesta i cittadini; dell’amore.

Ma non delle foglie disegnate una a una da Magnus nel suo Texone vuoto e fragile, sto parlando. Non di inutili sforzi senza senso, o di particolari fuori luogo, sproporzionati rispetto alle intenzioni della storia. Non di grovigli di ragnatele in cima a una palazzo, a nascondere i propri limiti tecnici, come fu per McFarlane.
Parlo della sottigliezza dei simboli, della perfetta inclusione nella narrazione di linee semplici, verbali o iconiche, che aprano alla comprensione, che soddisfino il desiderio di partecipazione umana del lettore. Che mettano a nudo quel che l’autore è e quel che l’autore sa. E che sveli quello che muove la trama, tanto da renderla necessaria, impossibile a pensarsi diversamente.
Parlo di tutto ciò che può mettere la vita dentro alle storie. E che troppi autori dimenticano nei cassetti della loro fredda professionalità.

Harry.

12 commenti:

  1. hehe
    ritornando al discorso, c'è un maledetto problema anche laddove covano nobili intenti. ci sono dei modi e dei tempi che sono "materiali" e lungo i quali si perdono parecchie robe e sfumature. mantenere il focus sui bisogni emotivi che ti spingono a mettere giù una storia non è semplice (se poi script e disegni vengono da mani diverse è ancora più difficile). la via migliore sarebbe un happening in cui la storia viene concepita e disegnata istantaneamente ma per farlo bisogna avere una grandissima padronanza del mezzo (non tecnica eh) e della comunicazione, oltre che una visione chiara e lucida del modo in cui viviamo la nostra vita e i nostri gesti ed anche questo spesso discorda dalle nostre convinzioni. anzi proprio disegnando spesso mi sono accorto di quanto diversi dalla realtà siano i comportamenti ed il significato che io gli do, per questo mi ritrovo a buttare via molte storie solo dopo averle finite.
    in italia poi c'è una decisa attitudine da parte degli sceneggiatori a mettere un marchio pesante ai propri lavori, tanto che il disegnatore diventa mero traduttore di parole in immagini. infatti siamo pieni di meri esecutori, e questi insegnano anche nelle scuole di fumetto aimè.

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  2. Non sono molto d’accordo con questo discorso, o meglio sono d’accordo sino a quando si dice che “il fumetto puo’ essere fatto di queste cose”,il passaggio successivo, quando si arriva al “deve “ mi fa storcere il naso.
    Esistono svariati modi per strutturare un fumetto e molteplici possibilita’ di scelta nel calibrare i pesi da assegnare ai diversi elementi che lo modelleranno, si possono immaginare infinite forme-fumetto.
    La psicologia nei personaggi , se facciamo riferimento alla letteratura ancor prima che al fumetto, è una dimensione che si apre con la modernita’,prima abbiamo una tradizione millenaria di storie ideate secondo presupposti diversi.

    Tornando a parlare di fumetti penso ad una storia come ” I gioielli della Castafiore” ( Tintin) che è un teatro di geometrie e traiettorie, un po’ come lo è il cinema di Buster Keaton ( in effetti è curioso quanto geometria ed umorismo si sposino bene), penso ad un fumetto come la “Trilogia inglese”di Floc’h e Riviere costruito quasi fosse un piano cartesiano entro il quale i personaggi sono semplici vettori.
    In questo tipo di fumetto,l’approfondimento psicologico, non ha un valore fondante, è la macchina narrativa ad averlo.

    Non è detto quindi che i personaggi debbano essere, come va di moda dire , “tridimensionali”, possiamo , se vogliamo, assegnare loro il ruolo di semplice “forza motrice” , possiamo intenderli come direzioni, come significati, come possibilita’ …l’importante è che tutto,alla fine,funzioni come si deve.

    Quando poi, andando avanti nel discorso, parli del superfluo torno a trovarmi d’accordo con te, anche qui pero’ bisogna fare attenzione…non esiste una strada unica.

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  3. @ sette in un colpo: sono totalmente con te.
    non è lo psicologismo che mi interessa.
    no, parlo della capacità di sostenere le trame con gli accidenti, con gli elementi che la rendono semplicemente "necessaria" per il lettore.
    quello che le caratterizza, nella loro particolarità, che fugge la sciatteria, gli automatismi di genere meccanici e freddi. d'altra parte gli esempi che fai sono perfetti per comprendere cosa intendo. non psicologismo, ma sensibilità narrativa. e quanto vita c'è in quelle "semplici" storie di avventura? c'è il mondo intero!

    harry

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  4. Ti seguo da un po'... ho apprezzato particolarmente questo post, che sintetizza molte delle cose che ho pensato in questi ultimi mesi. Mettere vita dentro le storie è una cosa non facile, ma necessaria. Ho sempre visto i personaggi come una sorta di mini-universo in cui entrare, tante piccole varianti e possibilità dello stesso modo di intendere una "strada maestra". Credo che sia la prima esigenza che muove il bisogno di raccontare. Creare e immaginare vite, scelte, possibilità. Modi di morire e di reinventarsi.

    Ti dispiace se uso una parte di questo post nella mia firma su Comicus? Ovviamente specificherei il tuo nick e quello del tuo blog alla fine, e ho pensato che potrei rinviare con un link al post intero... così chi vuole leggere il discorso nella sua completezza può farlo.

    Se preferisci di no, non ci sono problemi, mi asterrò dal farlo :)

    Su Comicus sono "fiocotram".

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  5. @ marco: grazie. e non preoccuparti. copyleft. basta che indichi la fonte.
    :)

    harry

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  6. Tranquillo, metto sia la fonte che il link al tuo post :)
    Grazie!

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  7. @ harry

    ok, penso di aver capito meglio cio' che intendi...e non posso che trovarmi d'accordo con te ...in particolare mi piace quel "necessario"...è una parola che mi frulla spesso in testa...

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  8. in quanto a sensibilità narrativa ultimamente sono rimasto colpito dal primo volume de "la guerra di alan" di guibert (il secondo e il terzo volume mi arrivano in settimana).
    Forse è il momento in cui l'ho letto ma ricordo pochi fumetti che mi hanno colpito cosi, forse addirittura nessuno.
    Ti è capitato di leggerlo?

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  9. @ pog: anche io ho letto il primo volume de la guerra di alan. è un bel fumetto, ma l'ho trovato fin troppo didascalico, soprattutto nell'impostazione dei disegni. mi piace la leggerezza e l'umanità che comunica, ma per ora non mi ha colpito più di tanto. è in ogni caso talmente intelligente e vivo da spiccare sopra la media di molti altri fumetti.

    harry

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  10. @ harry

    se hai trovato troppo didascalico il primo volume gli altri due non li troverai molto differenti.
    Questi ultimi due non mi hanno dato lo stesso effetto del primo, diciamo che mi hanno soddisfatto ma non entusiasmato.
    Ho capito pero` perche` il primo mi ha colpito tanto, motivi personali, mi ha ricordato tanto i racconti di mia nonna sulla guerra. Era la prima biografia a fumetti che leggevo, e a differenza di altre forme mi ha ridato una sensazione perticolare di racconto diretto, quasi faccia a faccia.
    Se il valore artistico si misurasse solo nelle emozioni che un opera trasmette sarebbe un concetto talmente soggettivo che sarebbe inutile starne a parlare.

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