sabato 7 novembre 2009

Supereroi e strisce. Parte 1 - Omologazione supereroistica




Mi ero preso un impegno, che mantengo con la prima di tre parti.

Alessandro Di Nocera, nel suo Supereroi e Superpoteri (Castelvecchi), cerca di convincerci della validità e dell’importanza sociale e culturale della metafora dei supereroi. In un excursus amplio e piuttosto completo traccia l’evoluzione di un genere, che rappresenta IL fumetto popolare statunitense.
Purtroppo la sua analisi è ingabbiata, perché riesce solo parzialmente a contestualizzare i mutamenti in relazione ai contesti sociali, produttivi ed editoriali che li hanno condizionati. E ancora, Di Nocera osserva con un’analisi evoluzionista, adorniana, secondo la quale contano i punti di svolta, le innovazioni e le crescite dell’essere “vivente” che è il genere supereroistico, senza tuttavia metterlo in relazione agli altri generi. La sua attenzione ai salti evolutivi non mette in risalto un aspetto piuttosto avvilente: che gli anelli distintivi dello sviluppo di quel genere all’interno di un medium ben più ampio come il fumetto sono davvero pochi, rispetto alle migliaia e migliaia di pagine stampate in sessant’anni di storia. Inoltre, sono convinto che alcuni dei momenti significativi evidenziati da Di Nocera nel suo volume saranno nel tempo ampiamente ridimensionati. Infine, osservando il genere dal di fuori, ci si accorge della portata spesso decisamente ridotta che tali innovazioni hanno avvuto per il fumetto nel suo complesso.
Il punto è che, in anni e anni di monopolio (bi-polio) imprenditoriale e culturale, il fumetto di supereroi ha tenuto in ostaggio l’intero mercato, con meccanismi che vanno dalla saturazione degli spazi (espositivi, distributivi, mediatici, ecc.) a veri e proprie azioni di boicottaggio e di soprusi (ancora oggi gli eredi di storici autori aprono dispute legali con Marvel e DC Comics per la questione dei diritti d’autore). Di questo, Di Nocera non fa cenno, perché il suo sguardo è orientato esclusivamente all’interno.

All’esterno, ma con pensiero mimetico verso l’interno, con ironia e cinismo, guarda invece Daniel Clowes con Pussey, una delle opere a fumetti che lo hanno fatto conoscere a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Clowes finge di essere parte di quel meccanismo e di quel sistema culturale e produttivo, per metterne in luce gli aspetti più insopportabili e ridicoli.
Sembrano lontani quegli anni, oggi, e molte cose si sono mosse, ma è importante non dimenticare: il fumetto indipendente era quasi assente dalle fumetterie, tanto più dalle librerie di varia; i volumi (ristampe in paperback o graphic novel che fossero) erano prodotti rari, spesso invisibili, cose da veri appassionati o da collezionisti. Certo, negli anni ’80 l’esplosione del fenomeno dei fumetti in bianco e nero aveva lasciato alcuni validi eredi (Cerebus e Bone su tutti) ma la caduta a precipizio di questa prima, malata bolla speculativa aveva creato più danni e perdite che altro.
Il fumetto alternativo, in quegli anni, lo si stampava in mini-comics e lo si distribuiva ad amici, conoscenti ed editori. Era un vero sottobosco, dove solo alcuni editori cercavano di differenziarsi (Fantagraphics Books, per esempio, ma non va dimenticato che proprio Fantagraphics è per anni sopravvissuta grazie alla stampa di prodotti pornografici e in tempi recenti, sull’orlo della bancarotta, si è salvata grazie alla ristampa dei Peanuts in splendidi volumi curati graficamente da Seth – un clamoroso successo editoriale). Per il resto, erano le superstar dei supereroi a far parlare di sé, i Jim Lee e i Todd McFarlane che innovavano senza aggiungere nulla a un genere che tornava ripetutamente su se stesso. Il punto non è se dalla produzione mainstream sia o meno uscito, negli anni, qualcosa di buono, interessante e persino eccellente (la risposta è certamente sì), ma quanto essa abbia immobilizzato il medium, generando l’autoreferenzialità di cui spesso si parla e l’allontanamento dei lettori (per prime le donne).
Purtroppo, i supereroi come sistema di mercato si sono mossi da sempre per omologazione e piccole, spesso marginali differenze. La strategia è spesso stata quella di insinuare l’illusione della novità più che la realtà di un cambiamento tematico, narrativo. Quel che sappiamo oggi, anche grazie a opere come Pussey, è che il fumetto può muoversi in territori molto differenti, può parlare di altro e toccare sensibilità diverse.

Clowes non usa mezzi termini. Il protagonista, Dan Pussey, grazie alla forza editoriale del Dottor Infinity, che fa del potere, del ricatto e della mistificazione il suo modus operandi, si ritrova improvvisamente al centro della scena fumettistica. È la star del momento, il nuovo Jim Lee. Dietro al successo, si nasconde una ridotta conoscenza del medium, la necessità di scimmiottare e riprodurre il già edito, di ridicolizzare i concorrenti e, soprattutto, l’assoluta incapacità di offrire un proprio punto di vista originale sul mondo. Pussey è l'autore che, di fronte alla possibilità di raccontare una propria storia originale, rimane spiazzato e senza parole. Pussey è l’autore/farfalla che si sviluppa dal bruco/appassionato, che di quel mondo mainstream si è nutrito e che per tutta l’adolescenza ha lavorato sodo per diventarne parte riconosciuta e di successo. E che non conosce il fumetto al di fuori di quel microcosmo.
L’autore inscenato da Clowes con quelle sue vignette statiche, gelide ma di grande leggibilità, curate nei minimi particolari, è una meteora che scomparirà proprio in ragione dei meccanismi che lo hanno posto al centro del firmamento.

Il momento più intenso e riuscito dell’opera di Clowes è senza dubbio la conferenza di premiazione curata dal Dottor Infinity, dove la celebrazione si configura via via come un’orazione funebre piena di menzogne. Dietro alla presunta libertà di espressione e alle intuizioni di un genio (sempre sorridente, come Stan Lee) si nascondono continui soprusi ad altri autori, mai riconosciuti per i loro reali contributi, né economicamente né moralmente. Con il Dottor infinity, in una persona sola, Clowes riassume gli atteggiamenti di un gruppo di autori più furbi e attenti nel comprendere il potenziale economico di un mercato nascente, come il già citato Lee o il celeberrimo Bob Kane, il creatore di Batman che per anni ha firmato, solo, opere realizzate con il fondamentale contributo di altri.
Per comprendere il tono caustico e irrispettoso di Clowes sarà sufficiente riportare le parole con le quali il Dottor Infinity presenta la storia di Dan Pussey a inizio volume:

Comics... sono troppo spesso disprezzati come cose irrilevanti e banali per ritardati mentali, e sono il primo ad ammettere che osservando i comics nel loro complesso questa affermazione possa avere qualche validità (anche se non posso non chiedermi cosa ci sia di male nel fare qualche soldo nello sfruttare le represse urgenze omosessuali di menti adolescenti sottosviluppate) (soprattutto quando appartengono a persone di 37 anni!). Tuttavia, nella storia del nostro medium è sempre esistito un piccolo gruppo di autori con una diversa aspirazione: creare miti moderni per adulti, o per lo meno per gli studenti del college. Uno di loro è il signor Pussey, ed è per questo che lui e i suoi pari rappresentano i veri campioni di questa industria! Io ti imploro, caro lettore, nel leggere questa storia, di portare per il nostro giovane protagonista lo stesso rispetto che avresti per qualunque altra leggenda (come gli sceneggiatori di Hollywood, i direttori di videoclip, gli sviluppatori di videogiochi, ecc.) Dopo tutto... se non noi, chi altri? Se non ora, quando?

Insomma, secondo Daniel Clowes, la storia del fumetto di supereroi è costruita sulla menzogna, la finzione e l'iperbole. A pensarci, questa parte della verità sulla storia dei comics statunitensi è la piena attuazione nella vita vera dell’autoreferenzialità: l’isolamento narrativo e culturale del genere è speculare all’isolamento (dorato) nel quale gli autori e gli editori hanno vissuto per decenni.
Harry
(continua, parlando di strisce)


7 commenti:

  1. Harry, però io non capisco se stai esponendo un punto di vista tuo o di clowes. Perché, ricordiamocelo, se è quello di clowes, sta dentro una storia e non un saggio. Quindi è funzionale a un racconto e non a un'analisi del sistema fumetto.ù

    Se, invece, è il tuo, a me sembra ci siano semplificazioni e dimenticanze gravi.

    Tra tutte:
    - Cerebus e Bone appartengono a ere diverse.
    - negli anni 80 il merdosissimo fumetto mainstream, prima di approdare alla rivoluzione dell'86, stava già lasciando spazio a robe strane come il devil di miller e gli xmen di claremont/byrne (che strani lo erano veramente).
    - negli anni 80, da un lato si spegneva la tradizione dei (vendutissimi) fumetti underground - stemperandosi nella nascita di WW3I e Raw, che avrebbero avuto un'importanza suprema sullo sviluppo del fumetto tutto - e dall'altro emergevano fenomeni laterali come comics journal e love & rockets.
    - Negli anni 80, accanto alla nascente fantagraphics, emergevano un sacco di altre realtà editoriali, favorite dalla rete dei negozi specializzati. Tra tutte ce n'era una che si chiamava e chiama dark horse. Per un po' di tempo la si menzionava come se fosse un terzo polo, in opposizione a marvel e dc, completamente dedito al bianco e nero.
    - la deriva degli autori supremi è storia degli anni 90 e, incredibilmente, spezza il duopolio dei supereroi inserendo un terzo incomodo che per un po' vende un pòrcozzio: la image.

    Fino al comics code (metà degli anni 50) il fumetto di supereroi era solo un dei generi del fumetto (e non è che la diversità di forme industriali garantisse enormi libertà creative, quattrini a sfare agli autori e proprietà sui personaggi: dan de carlo e josie and the pussycat, per esempio)
    Fino allo sviluppo del marvel universe (metà degli anni 60), agli albi dei supereroi erano accostati un sacco di fumetti umoristici bellissimi (l'antologia del fumetto per bambini curata da spieg e mouly, appena uscita, racconta una varietà di generi e una qualità narrativa impressionante).
    Fino alla metà degli anni 70 il fumetto di supereroi era fichissimo. E fuori dagli espositori dei negozi, dei supermercati e delle edicole c'era una vitalissima scena di fumetto underground (e c'erano testate che vendevano tanto tanto)

    Adesso, sono andato un po' a memoria. E, sicuramente, mi sono perso tocchi anch'io e ho confuso qualcosa... Ma, la domanda centrale è: a cosa serve dire che l'industria del fumetto è colpevole di tutto?

    Perché, tutte le volte, bisogna fare degli schieramenti? O si è dentro o si è fuori.

    Abbraccio
    sparidinchiostro

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  2. ti ringrazio per l'ottimo intervento.
    rispetto a quello che hai detto, ho solo perplessità sul fichissimo fumetto degli anni '70. mai amato ma è una mia idiosincrasia.

    per il resto, qui ho voluto osservare con gli occhi di clowes in pussey.
    infatti concludo il pezzo con "questa parte della verità sulla storia dei comics".

    nel prossimo parlerò dell'altra parte della verità secondo mort wolker. qualcosa tipo "le strisce sono l'unico modo per esprimersi liberamente a fumetti!".

    harry

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  3. non conosco minimamente Clowes se non per merito di questo blog, e già lo odio.

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  4. "le strisce sono l'unico modo per esprimersi liberamente a fumetti!"
    E con tutta 'sta libertà, ti viene beetle bailey...

    eheheh
    s

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  5. "E con tutta 'sta libertà, ti viene beetle bailey..."

    ma anche la Striscia di Sam ;-)
    baci,
    c.

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  6. @ spari: pensandoci, senza dubbio la tua lista è parziale, altrimenti, mi vien da dire, ne sono successe proprio poche di cose in tutti questi anni di fumetto usa. aggiungo che la visione di pussey è un buon contraltare a punti di vista che dimenticano quanto appiattimento le logiche produttive dei comics hanno generato per molti anni. l'ultima domanda che poni, poi la trovo poco rilevante. evidenziare un limite importante dell'industria fumettistica statunitense è fare schieramenti? non ne sono mica convinto. non ne ho parlato qui, ma possiamo per esempio dimenticare di come funziona la distribuzione dei comics con il monopolio diamond? le posizioni dominanti non si toccano, e il resto è quasi invisibile. mica tanto diverso che in italia.

    @ skull: la tua risposta mi ha fatto piegare dal ridere. e ci sta tutta. ma fidati, leggi david boring e amerai clowes.

    @ spari e claudio sulle strisce: mi volete spoilerare i prossimi due capitoli?! :)
    mort walker è un personaggio molto interessante, in ogni modo. molto molto americano.

    harry

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  7. Beh? Vogliamo la seconda parte!
    -Brendon

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