Sarà che ho appena terminato di sfogliare per l'ennesima volta Dream Of A Rarebit Fiend di Winsor McKay, sarà che non sono contento di come stanno andando le cose nella Striscia di Gaza e come (non) interviene il nostro governo del neopresidente Obama... sarà, ma ripensavo a casa Bonelli con un certo rammarico.
Il mese di dicembre ha visto l'esordio su due testate ammiraglie, Nathan Never e Dylan Dog, di due nuovi sceneggiatori: il poco conosciuto Davide Rigamonti sulla prima, il più che noto Roberto Recchioni sulla seconda. Entrambe le prove, lo dico subito, sono decisamente deludenti.
Del Dylan Dog di Recchioni ho già scritto.
Del Nathan Never di Rigamonti accenno solo che si tratta di una storia con un soggetto debolissimo e trito (che reinterpreta per l'ennesima volta un certo immaginario a la Psyco), una trama noir che si risolve per la forma di un copertone di automobile e per il comportamento incomprensibile di un'azienda che è tangenzialmente coinvolta nella spirale di violenza. Insomma, un soggetto a dir poco stiracchiato, che appare complessivamente infantile. Ma quel che più pesa è la sceneggiatura. Lo sai, anche un pessimo soggetto può essere salvato da una buona scrittura complessiva della storia. Qui al danno si somma la beffa. Rigamonti interpreta perfettamente la parte del classico (e per classico leggasi vecchio) sceneggiatore Bonelli: i dialoghi sono stereotipati, prevedibili e impersonali, il ritmo della storia è senza guizzi, meccaniche le svolte risolutive. Quel che è peggio è leggere ancora oggi, a fine 2008, dopo migliaia di pagine popolari, quei dialoghi irrealistici tra i personaggi che servono solo a spiegare al lettore rincoglionito dal gelo cosa sta succedendo, o dare informazioni pleonastiche su personaggi, contesti, eventi (un solo esempio, il dialogo surreale tra i due guardiani dell'ospedale psichiatrico).
Che questo ti basti per dire dell'eccezionalità negativa della storia.
Trovo anche significativo che entrambi gli esordi siano accompagnati ai disegni dai due autori più rappresentativi delle serie: De Angelis e Brindisi. Di fronte a due sceneggiature simili, i due "veterani" delle serie hanno tenuto il passo, con una prova buona ma spenta. Senza entusiasmo, si direbbe. Ma la scelta di casa Bonelli è testimonianza quanto meno di una cosa: che sui due esordienti si è deciso di investire, eccome. E veniamo al vero problema.
Temo che la responsabilità maggiore per l'insuccesso di questi due esordi non sia dei due sceneggiatori, ma della redazione o, forse, delle logiche che guidano il lavoro di redazione. Tanto che non credo sia possibile dividere tra le colpe reali del meccanismo intrinseco Bonelli e le responsabilità degli autori che ad esso si adeguano a priori, per non rischiare, si direbbe.
Fatto sta che, non volendo scoprirsi e scorpire la propria voce di autori, Recchioni e Rigamonti interpretano un cliché, fanno la parte degli autori automi, generando mostri invece che gemme.
Lo sai, non mi riferisco alla necessità di realizzare rivoluzioni o trasformazioni del personaggio. Quanto di offrire una propria interpretazione che non parta dalla rimasticazione di vecchie storie o vecchie modalità, ma dalla voglia di offrire un punto di vista vivo e vitale di quel personaggio. Se su Dylan Dog, schiavo del meccanismo sclaviano del buonismo e orfano del suo tempo, ciò appare assai difficile, Nathan Never, grazie alle sue continue evoluzioni e al coraggio di altri autori di sviluppare storie più al passo coi tempi, le possibilità le offrirebbe eccome.
Ma il meccanismo è lì. Ed è quello che spegne la forza narrativa di altri validi autori (Diego Cajelli?) o che porta l'ottimo Boselli a realizzare le sue migliori storie su Tex (destino che forse, a breve, condividerà anche Manfredi).
Sono il solo a pensare che qualcosa non funziona?
Hanry.
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