Proseguono le mie riflessioni sul
Premio Micheluzzi dell'ultima Napoli Comicon.
Inizio.
Prima parte.
I vincitori
Per non annoiare me stesso e te, caro lettore, non prenderò una per una le opere premiate o escluse per discutere in modo analitico ogni scelta. Cercherò solo di suggerire alcune riflessioni, partendo dal gruppo che ha effettuato la selezione.
La giuria è composta da professionisti molto diversi tra loro. Solo
Gomboli è integrato al mondo fumetto. Gli altri si potrebbero definire esperti di “scrittura” e di “forme espressive” in senso generico, appassionati di fumetti, frequentatori assidui delle nuvolette, o quel che si vuole.
Manca quindi quasi totalmente un giudizio tecnico, così come mancano rappresentanti di peso della critica fumettistica italiana, a conferma del fatto che il Premio è visto come un’appendice necessaria della manifestazione Comicon, ma non è in nessun modo visto come strumento di analisi o opportunità di sviluppare un discorso, una consapevolezza nuova sul fumetto.
Credo sia per queste ragioni che è possibile trovare tra le nomination dei migliori lavori esteri il rivoluzionario
Jimmy Corrigan di
Ware accanto al leggero
Fragola e cioccolato di Aurelia e vedere selezionato come vincitore l’estetismo superficiale e sentimentale de
Il gusto del cloro di
Vives.
Allo stesso modo, solo un’osservazione superficiale e poco in grado di riflettere sulla forza espressiva del fumetto può portare alla scelta di inserire nelle nomantion del miglior disegnatore
Manuel Fior, quando
La signorina Else andrebbe analizzata e valorizzata per la sua eccellente fusione di testo e disegno, per la sintesi che il giovane autore ha saputo creare. Insomma, una mezza scelta. Aspetto che si ripete ovviamente per la scelta del vincitore della categoria,
Andrea Bruno.
Come puoi vedere, malgrado le premesse, ragionare sui vincitori mette necessariamente in discussione l’impianto complessivo del Premio e le scelte del comitato che ha definito le nomination. Solo uno sguardo poco attento potrebbe valutare La Signorina Else dal punto di vista estetico e non nel suo equilibrio espressivo di opera completa. Ma, come puoi vedere, non esiste la categoria "Miglior autore completo".
Se la scelta del miglior fumetto italiano dà spazio a un’opera forte e atipica come
Morti di sonno, la scelta del miglior sceneggiatore ricade su
Gabos per le ragioni (e l’opera) sbagliata. L’autore bolognese ha dalla sua una voce unica e forte, che si afferma nelle sue opere intimiste e autobiografiche, mentre
in Esperanto emergono numerose difficoltà proprio sul piano della sceneggiatura. Gabos non è efficace nel sostenere la coralità dei personaggi e la dimensione sociale e di massa degli avvenimenti; il ritmo della storia è poco armonico, con pause troppo lunghe e monotone, e con accelerazioni che banalizzano la tensione drammatica; la metafora culturale, sociale e politica alla base del racconto diventa presto ridondante e autoreferenziale, al punto da risultare stucchevole. Insomma, se si dovessero valutare le qualità di sceneggiatore di Gabos da
Esperanto, ne uscirebbe con le ossa rotte. Senza dire del fatto che qui accade in modo speculare quanto fatto con Fior, ovvero valutare la sceneggiatura di un autore completo, senza metterlo in relazione al lavoro sul disegno.
Come miglior serie estera viene selezionata l’opera più meccanica di
Urasawa,
Pluto, che finora ha solo confermato lo stile inquietante e accerchiante dell’autore, ma senza la forza delle opere precedenti.
Il sospetto è che la scelta sia caduta su Pluto perché unico manga premiato (e quasi l'unico premiabile). Se non
Criminal, Scalped, All-Star Superman e
The Walking Dead avrebbero forse meritato di vincere. Ma anche qui, si escludono in partenza altri lavori interessanti, come per esempio
Ex-Machina di
Vaughan e Harris, per dire la prima che mi viene in mente.
Non sono sicuro che
Pinky sia la miglior serie umoristica, ma è certo che il panorama delle produzioni “umoristiche” italiane è ai suoi minimi storici e tutti sono stanchi di premiare
Rat-Man (molti anche di leggerlo).
Il fumetto seriale umoristico in Italia è morto o moribondo. Inutile girarci intorno.
E poi vince
Tex come miglior serie realistica. È vero, Tex è la miglior serie realistica italiana di tutti i tempi. “Realistica”? Di cosa stiamo parlando? Di stile di disegno? O del finto realismo Bonelli? O della fruibilità (realistico=facilità di lettura)? Lo so, il fumetto Bonelli è il fumetto “realistico” per antonomasia, ed è sciocco da parte mia mettere in discussione questo sillogismo. Per cui lasciamo da parte l’etichetta (che è più un fatto di linguaggio comune), perché quello che realmente conta è altro.
Tex vince per manifesta inferiorità delle altre proposte? In un territorio, quello seriale, dove Bonelli gode del quasi monopolio editoriale, la scelta su Tex, più che nostalgica, appare compiaciuta. Non c’è dubbio che il lavoro degli sceneggiatori e dei disegnatori abbia alzato di molto la qualità della serie, rendendola nuovamente leggibile e divertente, ma è altrettanto vero che siamo di fronte alle solite, infinite variazioni sul tema, a messe in scena avventurose ripetute all’infinito, dove quel che conta non è certo la sostanza ma la forma.
Tex è un esercizio di stile, che può riuscire più o meno bene, ma sempre esercizio di stile resta, come apertamente mostrato da
Patagonia, il Texone di
Boselli e
Frisenda (“naturalmente” segnalato con una menzione speciale che non so spiegarmi). O il fumetto seriale (realistico?!) è a un punto negativo di non ritorno, tale da non aver più nulla di reale(istico) da dire, oppure qui
si è voluto con compiacenza premiare il successo longevo di una serie che, si, finalmente può giustificare le vendite con l’innalzamento della qualità delle storie. Quasi un miracolo, quello dell’abbinamento di qualità e vendite, con buona pace dello snobismo di qualunque
critico anarchico che si rispetti.
Harry
(continua)