In ogni caso, nulla di particolarmente interessante.
A breve, inoltre, un salto agli inizi degli anni '60 tra le strisce di Sam's Strip.
Harry
Ricordate cosa scrissi a proposito del fumetto e degli intellettuali? Probabilmente no. Potete rileggerlo qui, oppure accontentarvi di questo: la nostra attualità ha bisogno di nuovi intellettuali, e ha bisogno del fumetto come forma di “arte povera” che sappia reinterpretare la nostra realtà, fuori dai soliti “canoni” e schemi. Secondo me, le due cose potrebbero muoversi di pari passo.
Il fumetto appare e scompare dalla nostra cultura e dalla “società civile” come un fantasma. Sembra mancare di sostanza e di solidità. Striscia come un topo nel buio, all’ombra dei muri della letteratura e del cinema. Poi qualcosa accade, e del fumetto tutti parlano, per un giorno o due. Quando Disney compra Marvel, quando Batman muore, quando la Fiera del fumetto di Lucca registra uno straordinario record di affluenza. È febbre, come l’influenza. Si prende la medicina e si ritorna tranquilli, nell’ombra.
Esistono decine di fiere del fumetto ogni anno in Italia che passano inosservate, che muovono poco o nulla, e soprattutto che non fanno cultura. Poche, pochissime fanno incassi, nessuna fa cultura.
Unica eccezione, forse, BilBOlbul della benemerita Associazione Hamelin, un festival del fumetto all’interno della città di Bologna, che di Bologna valorizza spazi e luoghi e forme, che avvicina studenti universitari ad autori affermati, che presenta altri fumettisti, nuovi, giovani e straordinari. Attraverso uno sforzo organizzativo di rilievo, mostre, rinfreschi, interviste, workshop si susseguono per giorni. Ne parlano i giornali locali, ne parla qualche rivista, ma non riesce, il festival del fumetto, a superare la barriera dell’indifferenza.
Durante il festival del cinema di Venezia, o i festival della letteratura di Mantova e Torino, sono numerosi i collegamenti, i servizi, le interviste. Tutti più o meno per le ragioni sbagliate, per la star che piscia fuori dal vaso, per l’autore di best-seller che dichiara qualcosa di scomodo su Israele… Ma in quella cortina di fumo si celano anche buoni frutti, che basta osservare con attenzione e cogliere. La cultura di oggi si muove sempre sporcata dalla sovraesposizione e dalle sciocche mistificazioni. Esattamente come la scuola, come internet. È la logica della controcultura de-istituzionalizzata che si espande. Si può dire che oggi, qualunque forma di rappresentazione credibile della realtà, non guidata cioè da obiettivi di marketing, non pretestuosa, che sia di destra (esiste una cultura di destra al di là del marketing?) o di sinistra (e una cultura di sinistra che sappia guardare al futuro?), qualunque forma di rappresentazione, dicevo, deve essere scoperta, recuperata nel mare magnum della sovraesposizione, assumendo in questo modo una caratteristica essenziale della contro-cultura.
Ebbene, i festival del fumetto, le fiere, le iniziative dovrebbero rimbalzare tra i media, nelle radio, per le ragioni giuste o sbagliate, fino a imporre un’attenzione oggi inesistente. Ricordate Oreste Del Buono? Forse qualcuno della cultura altra, gli intellettuali che ancora esistono in Italia, i pochi, dovrebbe dare una mano al fumetto, entrandoci e, per reciprocità, facendolo uscire.
Ed allora, forse per superare questa cortina di ferro, per trovare una visibilità che superi il solo qualunquismo dei temporali estivi, ed assuma anche marginalmente un valore culturale, un primo passo sarebbe quello di far incontrare l’intelligenza sotterranea degli autori di fumetti con l’intelligenza manifesta degli intellettuali. I primi potrebbero trovare un modo per ri-emergere, ri-apparire, e i secondi potrebbero riscoprire la forza di un linguaggio e una forma espressiva viva, vivace e aperta, tremendamente aperta, come poche altre.
Harry
Carlo Peroni dovrebbe lasciare un segno nell’immaginario del fumetto italiano.
Io non so, non sono un esperto. Osservo da oltreoceano, invischiato da altri immaginari. Ma di Perogatt qualcosa deve restare. Eppure di lui, come di molti altri professionisti di vecchia data, non si parla mai.
Oggi scrive che basta, scrive che gli Editori non comprendono, che la loro professionalità e serietà è risibile, scrive che si dedicherà a restaurare botti, come durante la Seconda Guerra Mondiale. La Seconda…? Ma quanti anni ha Perogatt? Controllo, classe 1929.
Quanti autori di fumetti della sua generazione lavorano attualmente su riviste, periodici, mensili in Italia? Temo di non averne proprio idea. Saranno pochini. Sono pochine le riviste, i periodici, i mensili...
Che Perogatt faccia parte di quella parte di cultura fumettistica da dimenticare? Quella che non ha più spazio o ragion d’essere? Quella che il fumetto è artigianato, è (sotto)cultura di serie b, è un prodotto (de)generazionale.
Di Perogatt ricordo alcuni personaggi, Gianconiglio, Nostradamus, Nerofumo. Soprattutto mi ritorna il suo tratto e i tempi delle sue battute. Carlo Peroni è un professionista da tutti i punti di vista, anche quelli “negativi”, quelli che un purista definirebbe più commerciali, robetta da ragazzini e da mode, come il fumetto di Fiorello quando Fiorello era fenomeno di massa capellone.
Che Perogatt sapesse sollevarsi sopra alla mediocrità? In fondo, a ben guardare, la sua interpretazione grafica di Fiorello è luminosa e riuscita. Non so dire delle storie. Non ne ho lette.
Perogatt non ha scritto graphic novel, non lavora per Bonelli, che ha fatto della tutela dei suoi autori storici una ragione di vita; Perogatt ha continuato imperterrito a realizzare fumetti per bambini. Sentite bene come suona: “fumetti per bambini”. Terribile, vero?
Fumetti per bambini.
Che dignità c’è oggi nel realizzare fumetti per bambini?
Forse, a Perogatt spetta solo il compito di realizzare un feroce noir in bicromia con protagonista il suo Ispettore Perogatt. Forse troverebbe il suo spazio tra Igort e Loustal.
Linguaggi diversi.
Questa non è un’agiografia, ché la cultura italiana è piena di inutili creature sentimentali e fatti risibili (i funerali di stato per Mike B., il più grande presentatore italiano degli ultimi 150 anni, parafraso).
Non so cosa mi viene in mente. Non leggo nulla di Perogatt da decenni, forse da sempre. L’avviso di sfratto, per lui, nella mia mente, è arrivato da tempo. Ci penso, mi sembra quasi scomodo, questo Perogatt, quest’uomo che dichiara di sentirsi escluso quando forse è il tempo ad averlo escluso. Cosa cerca di fare, poi, con questa sua passione di internet a ottant’anni suonati?! Il tempo, proprio lui, in fondo sistemerà le cose.
Fumetti per bambini?!
Ma per carità, nessuno scrive più fumetti per bambini, oggi.
Harry
tutti i disegni sono (c) di Carlo Peroni
“Ironically, I can’t go to my local comic shop to celebrate the 70th anniversary of Martin Goodman’s comic book company because Marvel policies from the 1990s closed down my local comic shop.”
Tom Spurgeon
"Ironicamente, non possono andare nella mia fumetteria per celebrare il settantesimo anniversario della casa editrice di Martin Goodman perché la politica della Marvel degli anni '90 ha portato alla chiusura della mia fumetteria"
Poco tempo fa, la Marvel Comics non era ancora proprietà della Disney. Non ci crederete, ma è così.
Pochi mesi prima della grande acquisizione, la Casa delle Idee ha festeggiato i suoi 70 anni di attività con iniziative speciali realizzate in molte fumetterie statunitensi, ma non quella a cui il buon Tom Spurgeon era abituato ad andare. Sfortunatamente, la bolla speculativa che ha investito i rivenditori negli anni ‘90 ha mietuto moltissime vittime. Si trattò della seconda, tremenda speculazione nel mondo del fumetto, la più eclatante, quella che ha ridotto di molto più di un decimo le vendite di fumetti, (ma erano cifre gonfiate dalla speculazione che non corrispondevano in alcun modo al numero reale di lettori) quella che ha regalato a Diamonds nel giro di pochi hanni l’esclusiva (o quasi) della distribuzione, quella che ha portato la Marvel alla quasi bancarotta, quella che ha costretto la stessa Marvel a ritornare a pubblicare fumetti di qualità (almeno per un periodo) e a razionalizzare le uscite (almeno per un periodo).
Oggi la Marvel Comics, proprietà Disney, continua ad annacquare e saturare il mercato, mettendo costantemente in difficoltà i rivenditori. Per cui, sì, è importante festeggiare e festeggiare seriamente, perché malgrado tutto ci sono negozianti che riescono a lavorare e bene, perché ci sono nuovi autori e nuove possibilità che continuamente si aprono in un mercato che, superata o meno la crisi, ha trovato nuovi sbocchi editoriali e produttivi, grazie soprattutto all’esplosione della vendita dei tradepaperback, all’evoluzione del concetto di graphic novel (e di art comics) e allo sviluppo di un nutritissimo gruppo di ristampe cronologiche delle strisce. Un mercato che non se la passa poi così male, grazie (anche) alla Marvel, malgrado la Marvel.
Ammetto di leggere ancora qualche fumetto della Casa delle Idee, ma mi ritrovo sempre più stanco e disinteressato. In Italia, la pubblicazione in corso di Secret Invasion mi sta lasciando del tutto indifferente. La trama portante è noiosa e pedante, Bendis sembra la caricatura di sé stesso e lo svolgimento del concept (interessante) risulta poco digeribile (almeno quanto la Final Crisis di Morrison), pur per ragioni diversissime). Nel frattempo, tramite la pubblicazione nella collana Super-eroi (Gazzetta dello Sport), mi è capitato di recuperare, ahimé, l’ultimo cross-over mutante Messiah Complex che, malgrado i buoni nomi coinvolti, non raggiunge neppure la sufficienza. Tanto rumore per nulla, mi verrebbe da dire. Il messia in fuga con Cable, tutti gli altri (buoni e cattivi) in fibrillazione, per l’ennesima trama che non si conclude e che chissà quando e se avrà un’evoluzione. I soliti X-Men, cancellata la buona gestione Morrison, che mutano ma non evolvono mai.
Le celebrazioni, si sa, sono sempre occasione di bilanci, e lo fa anche Jeet Heer a proposito del trecentesimo numero di The Comics Journal, la rivista di critica sul fumetto più longeva e importante degli Stati Uniti (consiglio di leggere il suo articolo per intero). Per chi lo ricorda, la rivista fondata e precedentemente diretta da Gary Groth (oggi editore di Fantagraphics) era una vera e propria sfida al fumetto popolare e di genere. In anni passati, quando il mondo del fumetto indipendente come lo conosciamo oggi era solo una chimera dei più ottimisti, Groth e il suo gruppo lanciò una vera e propria crociata contro il fumetto mainstream e, come ricorda Heer nel suo articolo, tutti gli addetti ai lavori non potevano prescindere dal leggere il Comics Journal, che condividessero o meno quelle posizioni. Oggi che quella dicotomia e quella frattura sembrano in buona parte superate, il Journal cerca una nuova identità. A mio avviso, resta ancora una rivista interessante, piena di spunti e di buoni articoli, fin troppo densa per la cadenza (quasi) mensile, ma capace di offrire spesso opportunità di riflessione. Non c’è dubbio tuttavia che il suo impatto culturale caustico è nel tempo andato scemando.
Nei prossimi numeri, mi aspetterei, quanto meno, un approfondimento cinico e disinvolto che faccia il punto, il suo punto, a la Groth, sui 70 anni della Marvel Comics, alla luce della sua attuale politica editoriale e della recente acquisizione da parte della Disney (ricordate, prima di poco tempo fa, Disney non possedeva Marvel Comics, non ci credete?!).
Ho fiducia.
Harry.
Diario di una ragazzina di Phoebe Glockner... ma i fumetti dove sono?
Una delle più importanti autrici underground statunitensi si impegna nella realizzazione di un diario finto-autobiografico dove i fumetti sono marginali e, quando ci sono, piuttosto didascalici.
Mi ci annoio, a leggere di sesso sesso sesso e di qualche droga. Troppo lontana la mia adolescenza? O troppo asfittico il suo racconto?
(e rifletto... dietro alla maschera dei nomi inventati, c'è molta verità in questa pagine della vita di Phoebe, ma mi annoio lo stesso)
Meglio Vita da Bambina.
Harry
Apprendo da Bart Beaty su The Comics Reporter (ma ne aveva parlato anche afNews a inizio agosto) che Lewis Trondheim sta realizzando una striscia giornaliera a fumetti per iPhone, dal nome Bludzee. È tradotta in quasi venti lingue ed è possibile acquistarla tramite iTunes a 99 centesimi al mese. Parla di un gatto.
L’iniziativa come ovvio non dovrebbe passare nel silenzio. Sia perché conosciamo l’intelligenza di Trondheim e la sua apertura alle possibili evoluzioni del medium, sia perché la lettura (in senso lato) su sistemi informatici portatili è nel pieno della ricerca.
Intendiamoci, non si può negare che ci sia il tentativo di riempire di contenuti un prodotto, l’IPhone, che non ha ancora una chiara identità e che, filtrato dall’hype pubblicitario, per i costi dei gestori italiani è quasi dissennato utilizzare. Tuttavia, è interessante che così come da tempo si realizzano fumetti pensati specificamente per il formato internet, così si inizia a sperimentare un nuovo formato per una nuova utenza. Quali possibilità e inghippi nasconda, lo scopriremo col tempo. Certo è più interessante, credo, che cercare di leggervi prodotti pensati specificamente per un altro formato (la carta stampata, per esempio).
Che sia Trondheim a occuparsene, ad aprire la strada, dovrebbe essere una garanzia di qualità. Purtroppo non ho avuto modo di leggere alcunché, se non quanto (poco) reperibile in internet. Beaty rileva una certa lentezza nello scaricare le strisce, rispetto al ridotto tempo di lettura. Sul piano tematico, sempre il collaboratore di The Comics Reporter richiama qualche vicinanza con la striscia Mutts di Patrick McDonnels ma non cita quello che appare come il riferimento più prossimo, tanto da impressionare. Si tratta di Cronachette di Giacomo Nanni. Davvero, trovo la cosa quasi inquietante. Possibile che Trondheim non conosca il lavoro di Nanni? Possibile che lo conosca e ne abbia tratto ispirazione? Possibile che semplicemente i due autori abbiano avuto un’idea simile e basta?
All'estero, Cronachette è stato pubblicato proprio solo in Francia per Cornelius e sembra abbia avuto una buona diffusione. In Italia sta avendo senza dubbio un buon riscontro di critica e di pubblico. Sarebbe un peccato che non avesse maggiore diffusione all’estero e che qualcuno come Beaty non lo conosca per poterlo confrontare con Bludzee. Intanto, cerco di fidarmi della buonafede di Trondheim.Ci fidiamo?
Harry.
bludzee o cronachette?
(c) lewis trondheim
cronachette o bludzee?
(c) giacomo nanni
bludzee o cronachette?
(c) lewis trondheim
cronachette o bludzee?
(c) giacomo nanni