
Nella musica classica occidentale era uso fare esercizio di parodia. L’esempio più celebre è il lavoro di Johann Sebastian Bach sullo Stabat Mater di Pergolesi. Ma gli esempi non si contano, soprattutto in ambito liturgico e lirico. Gioacchino Rossini, noto per la velocità con la quale componeva le sue opere, era un maestro della parodia, perché riprendeva brani e musiche proprie e altrui ricucendole all’interno di un contesto nuovo. Si dice, forse a ragione, che Rossini fosse una sorta di juke box di arie celebri.
Parodiare, quindi, nella musica cosiddetta colta, non aveva nulla a che fare con lo sberleffo o con la copia. Ma sottintendeva un processo di lavoro basato sulla rielaborazione e la ri-contestualizzazione.
Se ci fermiamo a questa definizione, possiamo trovare esempi di parodie riuscite in moltissime opere a fumetti. Non so perché, ma l’esempio più immediato che mi è saltato in mente è Ronin di Frank Miller. L’autore statunitense ha parodiato apertamente Lone Wolf and Cub, di Koike e Kojima.
Il tentativo di Miller, parzialmente riuscito ma senza dubbio seminale, agiva su diversi livelli: il più immediato è quello visivo, nel tratto, nel disegno e nella costruzione della tavola; il secondo, più sottile, è tematico e concettuale. È il tentativo di trasformare un’antica storia di samurai orientale in una moderna favola post-industriale occidentale.
Insomma, da questo punto di vista, Ronin è una parodia che lavora sia sul piano dei codici utilizzati che su quello dei contenuti narrativi, delle suggestioni e dei contesti culturali.
Il fumetto, arte povera per eccellenza, arte del rimescolamento, della rimasticazione, della macellazione del suino, si è evoluta negli anni mantenendo un sottile equilibrio tra parodia, citazione, omaggio e copia. Se ne è parlato a proposito del recente inciampo nel quale Panini Comics è incappata con la realizzazione del fumetto Le Cronache Del Mondo Emerso, dove Ferrario, il primo disegnatore del progetto, ha riutilizzato, copiandoli, pezzi di fumetti e anime di altri autori, per lo più orientali.
Era parodia, questa?
Era omaggio?
Era pigrizia?
Era furbizia?
Qualche giorno fa, mi è stato segnalato un articolo che evidenzia il chiaro processo di ricalco, in perfetto stile copia-incolla-ribalta, che Cristiano Cucina ha effettuato per una copertina di Jonah Hex della DC Comics a partire da due copertine di Magico Vento, una a firma Andrea Venturi e l’altra Pasquale Frisenda.
L’articolo non lascia dubbi sul processo realizzativo della nuova copertina. È una parodia? Per certi versi, sì.
Il fumetto, come si sa, non è altro che una composizione di simboli. Ogni tratto all’interno di un disegno è una rappresentazione in sostituzione di qualcosa d’altro. È innanzitutto il tentativo di riprodurre la tridimensionalità in uno spazio bidimensionale. E il simbolo, come si sa, ha per sua natura la caratteristica della riproducibilità all’infinito.
Gli stivali, pezzi di gambe penzolanti, ripresi dal disegno di Frisenda, possono essere visti come un simbolo isolato, da ricomporre e riprodurre. È qui che si nasconde il problema del fumetto, che è anche la sua forza popolare; è qui che prende forma l’ambivalenza tra originalità e copia che il fumetto più di altri media vive dalla sua genesi.
Ma se il simbolo, di per sé riproducibile, può rimanere immutato in prodotti diversi, quello che è assente, nel lavoro di Cucina, è il suo segno. Se il simbolo è riproducibile all’infinito, il segno dovrebbe essere unico, personale, idiosincratico. È una prerogativa autoriale, cioè l’opportunità (la necessità) che ha l’autore di definirsi agli occhi dei lettori, di caratterizzarsi (darsi carattere) e di affermarsi. Non solo. Cucina evidenzia la propria incapacità di rielaborare e ricontestualizzare. Jonah Hex, come Magico Vento, è una serie di ambientazione western. Gli elementi copiati da Cucina non perdono minimamente il significato iniziale, ma lo mantengono in uno scenario parzialmente differente: due pistole incrociate e un teschio. La banalità della scelta simbolica di questi elementi – banalità per il genere narrativo in questione, il western – non permette a quegli stessi elementi di acquisire nuovi significati. Se ne deduce, quantomeno, una mancanza di cultura visiva del disegnatore in relazione al tema in oggetto. Alla quale si associa, probabilmente, pigrizia e una certa furbizia, essendo la copertina di Jonah Hex prodotta per un mercato differente da quello italiano.
In definitiva, quello che viene leso, in questo esempio, non è il diritto d’autore di Venturi e Frisenda, ma il diritto(dovere) di essere autore di Cucina medesimo.
Harry.