Interrompendo la stretta continuity degli ultimi giorni...
L’ultimo Dylan Dog a firma Michele Medda si eleva parzialmente sopra la deludente media degli ultimi anni, se non altro per la cura nelle caratterizzazioni e per il gioco divertito con il quale l’autore ripercorre i topoi propri della serie. Oltre a questo non c’è molto, se non un’idea narrativa ben condotta ma superficiale, e i disegni di Angelo Stano che sanno ancora raccontare la normalità con delicata inquietudine. Medda conduce attraverso l’ironia (di Groucho ma non solo) un divertito percorso meta-narrativo, sottotraccia, che nasce già dall’impianto del soggetto, ma che trova la sua efficacia nella sceneggiatura, per lo più confermando con sottolineature le aspettative dei lettori. Il gioco, purtroppo, ci ricorda tristemente un aspetto fin troppo evidente, che Dylan Dog è sempre più prigioniero di sé stesso. Sembra sempre più impossibile raccontare l’indagatore dell’incubo con convinzione e “realismo”.
A questo punto, però, viene quasi voglia di sovvertire i punti di vista. Una battuta di Groucho all’interno della storia di Medda dice, più o meno, che le statistiche confermano che la maggior parte dei divorzi avvengono all’interno di coppie sposate. La tautologia suggerirebbe di non sposarsi. Raccolgo l’idea, e parafrasando suggerisco che la maggior parte dei fumetti brutti si trovano all’interno dei fumetti che vengono prodotti. Vorrebbe dire non produrre più fumetti? O non leggerne?
Ho la tentazione di chiedere se ci rendiamo conto di quante sono le difficoltà per realizzare un buon fumetto, soprattutto all’interno di contesti seriali. Il dato di fatto è che gli attuali sistemi produttivi in Italia non rappresentano le condizioni più adatte per garantire un buon prodotto. O sono all’insegna del più asfissiante meccanismo automatico (Diabolik? Disney?) o si basano su una stabile precarietà che costringe a creare nei ritagli di tempo.
Stando così le cose, è strano, sorprendente quante opere interessanti vengono prodotte ogni anno. Ed è normale, semplicemente prevedibile che i lavori che sono davvero in grado di lasciare il segno nella coscienza dei lettori e, chissà, negli anni a venire, sono proprio pochini. Perché mi viene anche il dubbio che, lodato quel che serve, il lavoro dello stesso Gipi non abbia la forza per marcare un segno che potrà rimanere saldamente nel tempo.
Possiamo lamentarci quotidianamente. Gli italiani, poi, sono così bravi in questo.
Ma forse, ogni tanto, potremmo gioire per un mercato fumetto immaturo che sa dare comunque opportunità di lettura ancora vitali.
Harry
Ti seguo!
RispondiEliminaCome senso complessivo. I percorsi dei tuoi ragionamenti non mi sembrano invece sempre lineari. Però condivido la reazione di fronte a questo Dylan. Ma volendo anche il precedente disegnato da Mandrafina. Un sovrautilizzo di talento per due risultati tutto sommato un po' modesti. In questo, inoltre, c'è l'evidente citazione di daybreak che mi sembra inserita un po' troppo di forza.
ciao michele.
RispondiEliminaè vero, lo ammetto, la linearità non è sempre tra i miei obiettivi principali. spesso preferisco farmi guidare da intuizioni e strani accostamenti.
me lo concedo, scrivendo in un blog.
ma mi rendo conto che può essere un limite. boh!
tu continua a seguirmi.
con il post su taniguchi chiudo un ragionamento, che oltre a essere una piccola riflessione sulla forma fumetto vuol essere anche un approfondimento sull'approccio alla critica.
aspetto il tuo parere.
harry