domenica 6 settembre 2009

Quale Africa? Quale fumetto?



Qualche mese fa parlai con Alberto Ponticelli a proposito del suo Blatta. Gli chiesi a cosa stesse lavorando in quel periodo e, tra le altre cose di cui spero avremo presto notizia, mi ha parlato di Unknown Soldier. La notizia mi era sfuggita, più per distrazione che per disinteresse. Tanto che, non appena ne ho avuto l’occasione, vi ho posto rimedio.

l'inferno grafico reso da Alberto Ponticelli in Unknown Soldier #1


Il primo volume di Unknown Soldier (Vertigo, DC Comics) costa meno di 10 dollari e contiene sei storie, ovvero l’intero primo ciclo. Alla sceneggiatura c’è Joshua Dysart, che leggo per la prima volta ma che trovo davvero centrato. I disegni di Ponticelli sono un nuovo passo avanti nel suo percorso stilistico, recuperano qualcosa di vecchio mettendo da parte inutili esasperazioni grafiche (e lasciandole riposare nella polvere degli anni ’90, ormai lontani), e sposano senza perdere in personalità un certo stile sporco ma diretto che ha fatto la fortuna della Vertigo, sviluppando una crudezza non effimera e non inutilmente decorativa che ben si sposa con le tematiche della serie.


Il mix scelto da Dysart trova un felice equilibrio tra horror, storia di guerra e realismo socio-politico, portandoci in Uganda, all’ombra lunga di una delle guerre civili più tremende e lunghe e taciute degli ultimi anni. I protagonisti del primo ciclo di storie sono i bambini, vittime e carnefici, sfruttati e cresciuti con i fucili al posto dei giocattoli, spietati ma incoscienti. L’occhio di Dysart e Ponticelli è vitreo ma mai patetico. C’è una cupezza che sprofonda nel cuore pagina dopo pagina, di pari passo con la nascita e l’evoluzione del Soldato Fantasma, lacerato tra una vocazione pacifista e un destino violento.

La buona riuscita della serie sta nella capacità degli autori di utilizzare i fatti storici piegandoli perfettamente ai fini della narrazione. La verosimiglianza e l’attenzione al contesto socio-politico non sono pretesti né l’obiettivo principale della serie, quanto piuttosto l’impalcatura narrativa che permette di dare senso agli avvenimenti.

Il naturale dinamismo e la capacità di sviluppare un disegno propriamente narrativo, confermano il talento di Ponticelli, che si aggiunge agli altri autori italiani che già hanno lasciato e stanno lasciando il proprio segno nel fumetto statunitense. La solidità della preparazione tecnica italiana, che spesso conduce a una consapevolezza del medium maggiore rispetto a quella di molti autori statunitensi, quando si reinventa per adattarsi al mercato di oltre oceano, sa dare spesso buoni frutti, perché originale e meno derivativa.

Unknown Soldier, in questo primo ciclo di storie, mostra una perfetta sinergia tra sceneggiatore e disegnatore e offre una nuova, efficace interpretazione del fumetto d’avventura, confermando una libertà esplorativa delle potenzialità del fumetto che negli Stati Uniti c’è, è presente, e che in Italia sembra ancora mancare, sia per scelte editoriali che per (in)capacità degli autori.


Basta prendere a puro titolo di confronto il terzo numero della serie Rourke di Memola (e Fontana) per comprendere di cosa parlo. Tanto è caratterizzato, diretto e viscerale Unknown Soldier, tanto è superficiale, prevedibile e meccanico Rourke. In quest’ultimo, dove la vicenda si sposta improvvisamente in Africa, non vi è nulla che coinvolga emotivamente il lettore, né sul piano delle dinamiche relazionali tra i protagonisti (il battibecco iniziale tra Rourke e la figlia, con la sua conclusione, è quanto di più automatico si possa leggere); né sul piano degli avvenimenti (non appena messo piede in territorio africano, e avvisati i lettori in modo piuttosto didascalico del pericolo di quei territori, Rourke e la figlia finiscono in un agguato, dove la violenza è semplicemente utile all’evoluzione della storia o, ancora peggio, alle “regole” del genere avventuroso). Anche i disegni di Fontana, per quanto perfettamente professionali, per quanto perfettamente codificati all’interno di un certo modo italiano di intendere il fumetto, si muovono nel puro anonimato, senza certezze e senza intenzioni concrete.

L’Africa di cui leggiamo è assente, impersonale, lontana dal mondo; terra di finzione narrativa sterile, almeno quanto quella di cui si legge in Unknown Soldier è reale, terribile, sconvolgente, vicina, nonché esemplificativa di mille altri scenari di guerra.

Cosa manca in Rourke? Una volontà di fondo, una precisa attenzione alle vicende, un approfondimento per quello che si vuole raccontare. La serie è progioniera di una superficialità che è un male, un profondo male di certo fumetto popolare e che, forse, agli occhi degli stessi autori è giustificato dal genere (avventura, horror, …), sinonimo di disimpegno e di leggerezza. Il tutto risulta come un’amara, ennesima opportunità persa.


Harry.


in queste tavole di Fontana manca un'intenzione precisa

16 commenti:

  1. Sono d'accordo. C'è, forse, nell'autore "popolare" italiano, una sorta di auto-censura inconscia per evitare il cestino dell'editore da edicola? E' vero, Bonelli e bonellidi sembrano imbrigliati e le felici eccezioni sono più dovute a una sapiente riorganizzazione degli schemi narrativi classici da parte dello sceneggiatore esperto, che un tentativo di proporre un modo diverso di narrare. Io credo che gli americani abbiano compreso la necessità di rinnovare i contenuti e le scelte linguistiche per stare al passo con la nuova generazione di prodotti televisivi e cinematografici. I giapponesi li avevano anticipati di molto (e ciò spiegherebbe la loro capillare diffusione già negli anni '90). La crisi delle serie da edicola dovrebbe far riflettere gli addetti ai lavori sulla NECESSITA' di comprendere, assimilare e applicare il metodo dei nostri colleghi stranieri.

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  2. è comunque diverso il target di riferimento, prima di tutto.

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  3. A nostro modesto avviso, non è possibile sovrapporre quanto accade in America a quanto ''non ''succede da noi.
    Titoli come la nuova incarnazione del Soldato Fantasma, ma anche scommesse, a volte vinte a volte no, come Fables, 100 Bullets, Y the last man, the exterminators, DMZ e altro ancora, sono possibili in un mercato dove i paperback vendono tanto da coprire i costi dell'operazione ed i relativamente bassi numeri dello spillato.
    E' allora commercialmente conveniente - in fondo la Vertigo è nata proprio con questa idea vincente -ripescare qualche vecchio personaggio bollito (una volta Doom Patrol o Animal Man ) o persino solo il nome ed il concetto di massima ( Shade e Sandman ) e proporre, direbbero i Monty Python, '' qualcosa di completamente diverso. Ed ora abbiamo the Unkonwn Soldier in Africa ed abbiamo avuto uno Human Target nel post 9/11 e dei Losers nuovi di pacca.
    In Italia, qualcosa si è mosso - vedi il Garrett di Recchioni che è western con elementi horror più vicino allo Hex di Lansdale e Truman che al Magico vento di Manfredi - ma le nostre ''majors '' hanno costi e targets dversi.

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  4. "le nostre ''majors '' hanno costi e targets dversi."

    Le nostre majors (appropriate le virgolette) stanno chiudendo diverse serie che rispondevano alla loro idea un po' bollita di fumetto popolare. Gli stessi Topolino e Giornalino, con un target ben definito, hanno toccato i minimi storici negli ultimi anni (crisi? invasione manga? Mah...).

    In tutta onestà mi chiedo come mai il prodotto editoriale americano (giapponese, francese...) IN GENERALE stia ricercando strutture narrative più complesse, attuali ed efficaci, mentre quello italiano (con felici eccezioni come Caravan) arranchi. E, attenzione, non parlo di Bonelli che, anzi, continua ad ampliare il suo staff e "ci prova".

    Davvero il target a cui è destinato Nathan Never è così diverso da quello di Battlestar Galactica? E quello di Unità Speciale, così diverso da quello di C.S.I.? Gli americani stanno moltiplicando gli adattamenti (e non solo) realizzati da team rubati alla televisione o ai romanzi. BOOM Studios e IDW hanno fatto fortuna con queste iniziative. Nelle edicole italiane si trovano ANCHE Batman e l'Uomo Ragno, le cui storie sono notevolmente evolute seguendo il trend. PANINI (mica l'ultima arrivata), così restia a produrre italiani, tra le ultime operazioni sforna Vasco, Ligabue, Valentino Rossi e Le Cronache del Mondo Emerso (che, ricordo, non ha chiuso anticipatamente per un calo di vendite).

    Non è (solo) un problema di qualità, ma di cogliere i trend dominanti. Eura e Star, altre grosse case editrici da edicola, hanno chiuso troppe serie per non costituirsi come un segnale preoccupante di una grave perdita di pubblico. Gli esperimenti destinati alle fumetterie (come Garrett), poi ristampati all'estero, anche se di successo, non possono purtroppo costituirsi come indicatori, perché il circuito di vendita è esiguo.

    P.S. anti-flame
    "Eh, ma vuoi che si faccia il fumetto dei cesaroni, allora? Meglio la morte!"
    Prevenuta (meglio che curare): il problema non è nei contenuti, ma nelle forme narrative. La scelta delle miniserie è stata un'evoluzione necessaria. Il pubblico si stanca più in fretta, le narrazioni sono sempre più serrate e organizzate in modo quasi scientifico per non annoiare e... la pubblicità non è il demonio.

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  5. @ Valentino: no, no, secondo me il target è proprio diverso.
    Se segui Nathan Never e poi guardi Battlestar Galactica non puoi non accorgerti dell'abisso narrativo e di caratterizzazione dei due prodotti; e quindi inizierai a seguire di meno o a criticare di più quello in cui ti ritrovi in maniera minore.
    Stessa cosa, anche più evidente, per Unità Speciale e CSI.
    Per Rourke e Unknown Soldier, poi, c'è un ulteriore salto: la prima è una serie avventurosa-horror-ironica, la seconda una crudissima (da sempre) serie di guerra.
    Che sia la seconda guerra mondiale o una delle tante guerre d'Africa poco importa, sempre guerra è: e Memola non scrive un fumetto di guerra.

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  6. Giusto Skull... i prodotti hanno TARGET diversi... ma siamo sicuri (ed è la mia domanda) che a target diversi corrispondano persone diverse? La domanda è importante perché il prodotto migliore abitua il lettore a livelli maggiori di complessità e qualità e ciò a scapito dell'intrattenimento che non riesce ad evolvere. In molti hanno accusato Bonelli e bonellidi di "immobilismo" e in molti hanno replicato che è l'unico modo di mandare avanti la baracca per conservare i lettori. Eppure proprio Bonelli sta dando segnali di rinnovamento in questo senso, e per quanto riguarda le serie che hanno chiuso, poco da dire: c'è di meglio in tv (e in libreria e anche negli scaffali delle fumetterie alla voce "paesi esteri"). E ciò non vale (solo) per gli ultimi arrivati, ma per progetti consolidati e duraturi che hanno visto il loro tramonto come Mister No e Nick Raider.

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  7. grazie per gli interventi, molto interessanti.
    per sensibilità e approccio mi sento più vicino a quello che dice valentino sergi.

    però, però, nel mio post non ne faccio solo o soltanto un problema di forma, né di "coraggio".

    cerco di porre una questione diversa, ovvero il modo in cui gli autori italiani, nell'esempio memola, affrontano alcuni temi, in questo caso la guerra.

    sto tornando spesso su rourke di memola, parlandone male, non certo per acredine nei confronti dell'autore, ma perché, tra le ultime novità, è quello che trovo più esemplificativo di un certo tipo di impostazione.

    quella che chiamo superficialità, in questo caso, deriva da un approccio generalista, grossolano della faccenda. manca un'idea precisa di cosa si vuole raccontare, se non un horror privo di spessore in un contesto avventuroso. quando un prodotto popolare di genere non sa rielaborare la nostra realtà, in modo anche semplice e diretto, ma si configura come la riproposizione sterile di altri modelli, altre storie, altri concetti (diventando quindi semplicemente derivativo) perde ogni ragione d'essere, a mio avviso.
    e questo approccio, giustificato da una presunta ordinata "professionalità" è tipica del fumetto italiano ed è, a mio avviso, spaventosa.

    harry

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  8. harry: quello che puntualizzi è fuori dubbio; una certa superficialità su alcuni temi precisi è da sempre voluta e ricercata, nel fumetto popolare italiano... la nostra generazione è pur sempre "figlia", narrativamente parlando, di Bonelli padre e figlio e della loro politica editoriale.
    C'è qualche felice eccezione, nell'argomento specifico, rappresentata essenzialmente da qualche storia di Dampyr calata in un contesto abbastanza realistico: ma siamo comunque dalle parti di una perenne "sfocatura voluta" della realtà crudissima e orrenda.
    Il problema a mio avviso è la voluta massificazione: uscire dai binari "generalisti", che possono andare bene per tutti (avventura, esostismo, qualche brivido, una spruzzatina di sesso) sicuramente fa salire il consenso della critica ma scendere quello del pubblico che non si riconosce nel prodotto. Il che di questi tempi è come dire "chiudetemi, grazie".
    Proprio Memola peraltro ci aveva provato nella serie Star di Jonathan Steele a cambiare toni e registri, non tanto in una direzione realistica quanto di rottura dei canoni bonelliani... e si è visto com'è finita.

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  9. Harry,
    ho letto con interesse il tuo post e apprezzo l'accurata analisi che hai svolto. Il mio giudizio è tuttavia differente. Non
    spenderò parole sulla "presenza" dell'Africa in Rourke e Unknown Soldier: l'Africa è protagonista di Unknown Soldier. Non così in Rourke. Rourke racconta un'altra storia, tutt'altro che banale. Il motore narrativo in Rourke risiede nel
    rapporto tra una ragazza adolescente (io narrante) suo padre e la madre
    di suo padre. Sia l'adolescente che il padre affrontano, da due
    prospettive diverse, lo stesso problema esistenziale: la ricerca dello scopo della
    propria vita. L'adolescente vive esperienze paranormali che sembrano
    indicare una via, un destino che insieme l'attraggono e la spaventano.
    Il padre, nel cuore della sua maturità, non crede nella possibilità di trovare una propria
    strada, ma soffre, e fugge nell'alcolismo. La psicologia narrata è vera, ben costruita,
    e sottende le vicende senza mai creare tensione nel quadro narrativo. Già solo per questo (tralasciando la peculiarità del soggetto e la coerenza del mondo in cui la trama si dipana) Rourke spicca per originalità. Questa dimensione delle opere di Memola (già presente in Jonathan Steel) non è valorizzata dalla critica: non mi sorprende. Probabilmente è la cecità (di critica e pubblico) verso ciò che è nuovo e diverso a costringere il mondo culturale italiano al provincialismo di cui tanto ci si lamenta. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

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  10. @ skull: io penso che in una fase di perdita di lettori e difficoltà, l'unica cosa che ti può salvare non è il generalismo o la banalizzazione, ma la cura e la qualità. e questo prescinde dai temi o dai modelli. si può fare un bonelli classico con buona cura o con poca. rourke da questo punto di vista, secondo me, non c'è.

    @ pkenergy: guarda, io non credo che i problemi (di vendite o di visibilità) dei lavori di memola dipendano da una critica miope. affatto. penso dipendano dalla sua impostazione. i temi che citi sono certo interessanti, ma il modo in cui memola e il suo team li raccontano semplicemente non funziona. è qui il problema della cura. penso che prima di fare cose difficili devi saper fare bene le cose semplici. perché la complessità che citi a livello di psicologia e di relazioni in rourke non viene affatto curata come dovrebbe. i dialoghi non sono naturali, sono meccanici, anonimi e prevedibili. l'uso delle parolacce (per entrare nello specifico e fare un esempio semplice) è approssimativo. perché usare le parolacce? per realismo? ok. per sottolineare uno stato d'animo, calcando la mano? ok. memola sembra incerto nelle intenzioni dell'uso delle parolacce. non c'è convinzione e il suo uso risulta sbagliato. solo un esempio, ma è in queste cose che si fa funzionare un meccanismo narrativo. leggi caravan n.4, una storia dal soggetto semplice, ma curatissimo nei ritmi della sceneggiatura, equilibrato nei dialoghi. qui sì la psicologia dei personaggi è precisa, nelle reazioni, nei tempi che l'autore dedica alle scene, a come mette in evidenza certi stati d'animo e così via.
    in rourke tutto questo è banalizzato. non trasmette emozioni, è meccanico e quindi inconsistente.

    torno all'Africa. non perché l'Africa non è tema centrale di una serie giustifica una rappresentazione così astratta e debole. piuttosto, non portare in Africa i tuoi personaggi. vuoi giocare col folclore? con certi riti e credenze? allora l'Africa centra eccome. allora l'Africa in qualche modo deve vivere.

    Harry

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  11. scusa la banalità, Harry, ma da quando cura e qualità salvano le vendite?
    un concetto simile prevederebbe un lettore attento ad entrambe, a prescindere come dici da temi e modelli: ti sembra una visione realistica del parco lettori italiano? :)

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  12. Non so Skull. Vediamo di cosa parliamo.
    Se Tex di Galep e Bonelli non fosse stato di qualità non sarebbe diventato quello che è.
    Se Dylan Dog di Sclavi non avesse avuto quella cura nella realizzazione e quella sensibilità diretta non avrebbe avuto quel successo.
    Lo stesso per Martin Mystere.
    Si può dire lo stesso per, non so, Alan Ford di Magnus e Bunker.
    E così via.
    La cura e l’intenzione che ci si mette è fondamentale per la buona riuscita di un prodotto, anche in Italia. E questo, ragionando a prescindere da forma e generi e mode.
    Poi, se alla qualità (in senso lato) aggiungi la formula azzeccata per quel dato periodo, il successo è difficile mancarlo. Ma qui siamo sul piano delle alchimie editoriali, e servono dei buoni cuochi, quello che sembra proprio mancare in questo periodo.


    harry

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  13. D'accordissimo, ma guardiamo allo stato attuale delle cose: Tex vive della gloria riflessa del periodo Bonelli senior da almeno 30 anni (trenta anni, mica bruscolini); Dylan lo stesso, anche se da meno anni (solo 15?).
    Eppure vendono in questi anni di qualità (vogliamo azzardare infinitamente?) inferiore hanno sempre sembre venduto più di tantissimo materiale dalla qualità indubbia.
    E' una dimostrazione che le vendite sono disgiunte dalla qualità effettiva, per effetto di una delle ennesime "magie" tutte italiane: l'affezione ai personaggi, agli stilemi, l'abitudinarietà italica... tutte cose che con la qualità e soprattutto la sua percezione da parte del lettore non c'entrano proprio...

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  14. non c'è dubbio, skull, che ci sia l'effetto nostalgia a mantenere i legami per certi personaggi a prescindere dalla qualità.
    ma sei sicuro che sia una malattia solo italiana?

    negli usa funziona nello stesso modo, con la differenza che si mettono in moto molti più tentativi di svecchiamento (che tutto cambiano senza cambiare niente).

    final crisis, come ho scritto, è una vera operazione nostalgia, anche se è verniciato in stile morrison. cosa che mi ha infastidito doppiamente.

    però, rourke, caravan, ..., sono (mini)serie nuove. e sono certo che solo una qualità, cura e sensibilità sopra alla media possano fare breccia nel cuore dei lettori.
    capisci cosa intendo? sono opere nuove, hanno bisogno di trovare lo spazio che non c'era. e qui, la cura e l'attenta progettazione e una chiara intenzione dietro al progetto per me è fondamentale.
    harry

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  15. adesso ho capito meglio cosa intendevi più sopra, e non posso che essere d'accordo: mi viene in mente Dago, per esempio, che con entrambe si è ritagliato un posto d'onore nelle librerie di tante persone e può campare benissimo di rendita per tanti anni.
    poi però penso anche a tantissime opere altrettanto curate e di qualità che o non ce l'hanno fatta già da subito (Bella e Bronco, Hammer) o hanno arrancato per anni per poi chiudere (Ken Parker, Magico Vento, forse lo stesso Mister No -che tanto avrebbe ancora da dire-) e mi viene spontaneo concludere che la qualità e la cura devo avere necessariamente un pubblico ricettivo, che in Italia (ma non solo in Italia, pienamente d'accordo) spesso latita.
    e così torniamo al discorso che purtroppo spesso (quasi sempre?) non bastano...

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