mercoledì 30 marzo 2011

L'impossibile critica (2)



Oppure, ammettiamo che il fumetto sia arte. Tolte le stratificazioni dovute ai meccanismi commerciali, alle necessità riproduttive e ai supporti, ridotte le implicazioni concettuali quali la distinzione tra popolare e autoriale… al netto delle stratificazioni, il fumetto è una forma di espressione artistica. L’autore che si pensa artista ha ragione, insomma, perché nella sua vocazione, nella sua intenzionalità, realizza opere d’arte in forma di fumetto.
Ma l’opera d’arte è tale in relazione alle intenzioni del suo autore o sulla base del risultato prodotto?

Esiste l’idea dell’opera d’arte pura, quella che prescinde completamente da altre esigenze se non quella della necessità espressiva. Incondizionata da un possibile pubblico (ma interessata ad avere dei possibili interlocutori), dal mercato e i potenziali acquirenti, da logiche di marketing e promozione. L’opera d’arte pura nel fumetto prevede l’autore/eroe libero dai condizionamenti, lontano dalle sirene del profitto seriale, dei personaggi popolari. Secondo questo punto di vista, la qualità artistica è legata alle intenzioni dell’autore, che decide di fare arte. In un mercato compresso e poco industrializzato come quello del fumetto, l’autore/artista puro ha più possibilità di esistere. Potrebbe essere quello che ha un primo lavoro con il quale paga l’affitto e per vocazione realizza fumetti. Da questo punto di vista il risultato qualitativo è ininfluente. La critica potrà mettere in fila, connotare, delimitare, catalogare, disprezzare, elevare ma nulla potrà mettere in discussione l’intenzione artistica dell’autore/eroe. In casi limite, l’autore/eroe disprezza l’idea stessa di poter trarre profitto dalle sue opere. Uno degli esempi maggiori di questa necessità eroica e, perché no, contro-culturale si è vista nei primi anni ’80 negli Stati Uniti con la diffusione dei mini-comix, auto-prodotti dall’inizio alla fine, ciclostilati e venduti di mano in mano. Ecco il manifesto di una delle case editrici che per prime hanno dato visibilità a questo fenomeno, la Newave:

Why do we go on drawing comix when there is no money in the business? We have no choice. Comix are what we do, the way we express ourselves, the way we react to reality. Ideas come and they have to be drawn, reproduced and passed around. It makes little difference if fifty or fifty thousand people read them. Ideas and their expression are the issue, not quantity or quality... Newave is about art, not money.
Clay Geerdes, January 1, 1983

(Perchè continuiamo a disegnare comix quando non ci sono soldi nell'editoria specializzata? Non abbiamo alternative. I comix sono quello che facciamo, il modo in cui ci esprimiamo, in cui interpretiamo la realtà. Arrivano le idee e devono essere disegnate, riprodotte fatte circolare. Fa poca differenza se li leggonono cinquanta o cinquanta mila persone. Il punto sono le idee e la loro espressione, non la quantità o la qualità... Newave si occupa di arte, non di soldi.)

Il fumetto artistico come necessità biologica primaria, di espressione, di espulsione. Il fumetto come feci. Il pubblico deve solo accogliere quel che viene, sia bello e profumato o sporco e puzzolente (e nel caso dei mini-comix la seconda opzione era la più probabile). Il pubblico può decidere se fare parte o meno di quel mondo, di quel gioco. Costruito sul meccanismo dell’identificazione e dell’appartenenza, il fumetto espulsivo diventa un movimento, e l’arte è l’insieme delle possibili forme espressive che ne derivano, guidata dalla volontà eroica dell’autore/artista che lotta contro uno status quo intollerabile e stantio.
La critica, per l’autore/eroe, è per lo più un nemico da combattere, perché inadeguata a giudicare, sempre troppo lenta, non al passo con la portata rivoluzionaria del movimento, collusa con il potere “istituzionale” dei prodotti tradizionali.
E l’eventuale critico che suo malgrado apprezza quelle forme espressive, o è un pazzo o ha qualche interesse personale. E in ogni caso, si ritrova con l’arma della critica spuntata, perché sarà difficile per lui mettere in discussione le singole opere d’arte, le singole espulsioni, pena la messa in discussione dell’intero movimento.
È in questa logica che si annida la trappola del conformismo dell’anticonformismo, dell’artistico come qualità massima purché sia diverso, strano, innovativo… puro. Tutto il fumetto concepito in un certo modo è arte!

Harry
(continua)

lunedì 28 marzo 2011

L'impossibile critica (1)


Ed eccomi subito a pregarla: legga il meno possibile testi di critica estetica; sono o congetture faziose, fossilizzate e oramai prive di senso nel loro rigore senza vita, oppure abili giochi di parole, in cui oggi prevale una opinione e domani quella opposta. Le opere d’arte sono di una solitudine infinita, e nulla può raggiungerle meno della critica. Solo l’amore le può afferrare e tenere.
Rainer Maria Rilke

 
Quando scrivo di fumetti, penso a chi legge. Penso soprattutto agli autori.
Ma parliamo di arte. A dirla con Rilke, c'è una solitudine degli autori, dell'opera d'arte, che non può non ricordare l'isolamento dell'incomprensione tra coppie di amanti. Hai presente?
L'opera d'arte non è un'opinione. E neppure un'argomentazione. Forse, ha più a che fare con la manifestazione. E ogni manifestazione esiste a prescindere da chi la osserva, la coglie, la vive. Poi scompare. Ma si rivolge sempre a qualcosa, a qualcuno.
 
Leggendo Il resto è rumore di Alex Ross (non il fumettista ma il musicologo), un saggio esemplare e rotondo sulla musica colta del Novecento, sorrido nell'evocazione che l'autore fa delle reazioni di Richard Strauss e Gustav Mahler alle increspature del pubblico alle loro prime. In Strauss si sente la voce dell'uomo determinato e autocompiaciuto, in Mahler quella dell'uomo meno sicuro e più cauto di quanto vorrebbe. In ogni caso, non c'è silenzio, non c'è pace, nell'artista che aspetta la reazione del pubblico. Né in quello che dichiara di infischiarsene, né in quello che attende con il fiato sospeso.
 
Ma il fumetto, grazie al cielo, non è arte. E il fumettista, per suo diletto, può sorridere alla reazione della gente, senza grandi preoccupazioni. Nessun suo lavoro cambierà l'umore dell'opinione pubblica, o modificherà la comprensione del mondo di un singolo essere umano. Il fumetto, popolare o meno, è un sottoprodotto culturale volatile, che vive del banale intercettarsi di azioni e reazioni, suggestivamente (come a dire suggestione di un mago di provincia) articolate e rappresentate su carta. 
L'opera a fumetti, non-arte, non merita l'amore di cui parla Rilke, perché non vive di solitudini. Si nutre di luoghi comuni (più o meno abitati) e non può avanzare pretese, né di credibilità, né di faziosità.
Il fumetto è immune anche alla moltitudine dei prodotti della musica pop, quel groviglio senza ritorno fatto di finte muse, style, merchandising. Il fumetto, quando è usato dal mercato, permette di vendere magliette con una S davanti, senza costringere nessuno a leggere le sue pagine colorate. Perché quando è veicolo, è invisibile nella sua essenza, che essenza non ha, ed è solo apparenza.
 
La critica sulla non-arte del fumetto è quindi impossibile. Sarebbe come fare critica sulla carne in scatola. Impossibili le congetture, impossibili i giochi di parole. Si può se mai raccontare l'esperienza del sapore che il fumetto ha lasciato. Si può forse raccontarne gli ingredienti. La percentuale di verità, come la percentuale di tonno nella pappa del gatto.
 
E il fumettista che si crede artista, lui, che intanto lavora in uno studio di grafica, oppure in una piccola grande casa editrice popolare... il fumettista che si crede artista è solo due volte, perché illuso, perché impotente. Solo per finta. Perché la sua opera non sarà mai sola, e mai impropria.
 
Harry

(continua)

domenica 27 marzo 2011

The Secret - allora è una cospirazione!

illustrazione di max guadagni

Per essere chiaro, penso che solo gli sciocchi non sono cospirazionisti, al giorno d’oggi.
Ma non pensare a tutte quelle stupidate new age che puoi trovare in internet. Per capire davvero il concetto di cospirazione, di doppia morale, governo ombra e così via, ti basta partire dalla lettura di Shock Economy di Naomi Klein. E se ti interessa un occhio nuovo e originale sulla nostra cultura, qualcosa che non centra direttamente con la controcultura, ma che vive di pensiero originale, leggi Il resto è rumore di Alex Ross, ovvero come comprendere la storia attraverso la musica (colta?!). Sono due lavori monumentali e illuminati. E con questo, potrei chiudere i consigli per gli acquisti di questa grigia domenica primaverile.
Ma nella vita accadono cose divertenti.

Ho due figli. Entrando in un negozio biologico (carissimo, è l’ultima volta che ci metto piede) il proprietario vede il bimbo più piccolo è dice, che bello, che luce, è un bimbo cristallo. Penso, che diavolo sta dicendo?! Osserva il grande e dice, lui è un bambino indaco. E la coppia è fatta. Abbiamo generato i salvatori del mondo, penso. Perché poi mi documento e leggo qualcosa in internet. Eccoci.
Penso che la filosofia new age sia una schifezza. Derivativa, inconsistente, superficiale. Il pensiero positivo è una forma di autosuggestione inconcludente e priva di veri risultati. È la trasformazione commerciale e popolare del buddhismo zen e della culla orientale della civiltà. In poche parole, il pensiero positivo non è altro che l’ennesima sovrastruttura a una mente, la nostra, già confusa e condizionata. L’ascolto profondo e l’osservazione consapevole e silenziosa del buddhismo sono il contrario di una sovrastruttura. Sono un lavoro graduale e costante di pulizia da condizionamenti e attaccamenti. Ma non voglio andare troppo lontano. Che poi ci sono gli alieni, la telepatia, e così via.
Scoprire di avere due figli che appartengono alla nuova evoluzione del genere umano non mi ha sconvolto. So già del loro essere speciali. Sono i miei figli, ogni scarafone…!

Le condensazioni mi portano però all’ultimo fumetto che ho letto. Divago, ma arrivo sempre lì.
Ho imparato a comprare molti meno fumetti, negli ultimi anni, lo sai. Ma conservo il piacere, ogni tanto, di comprare a scatola chiusa alcuni prodotti semplicemente perché ne ho voglia. Ma non so spiegarti perché in queste scelte sia finito The Secret 1 della Star Comics. È una nuova miniserie ed è scritta da Giuseppe Di Bernardo. E non è un segreto, non ho mai apprezzato questo sceneggiatore. La sorpresa è che questo fumetto mi è piaciuto. Il cerchio (nel grano?!) di queste divagazioni si chiude quindi sulla tematica di The Secret, che, come avrai già immaginato, è un fumetto popolare, di genere, che pesca a piene mani dalla cultura cospirazionista new age. Eppure, miracolosamente, Di Bernardo mette le mani e la testa nel materiale giusto, popolarizzando (brutto termine) in chiave fiction un mix di elementi culturali e politici importanti, riuscendo a imbastire una storia con il giusto ritmo e le giuste intenzioni. Insomma, per una volta, l’ambizione popolare che pesca nell’attualità (di cui è figlia anche la per me insopportabile Insonne), Di Bernardo la calibra con intelligenza, evitando l’eccesso didascalico e soprattutto il sentimentalismo controculturale che lo ha spesso soffocato.
The Secret è, insomma, a giudicare dal primo numero, quello che potrebbe essere oggi un fumetto pienamente popolare, per vocazione e risultati, perché si muove nelle idee (feconde? O semplicemente diffuse?) di una cultura superficiale e stratificata, per certi versi sciocca e usa e getta, ponendo le basi per stimolare un approfondimento, un recupero dei semi originari che tale cultura e tale fiction hanno utilizzato. Ma soprattutto, questo fumetto, pur nelle sue numerose imperfezioni produttive tipiche del seriale italiano Star Comics (la copertina di Lupacchino è sbagliata da tutti i punti vista, i disegni di Da Sacco e compagnia sono altalenanti, il respiro della storia è costretto dal formato bonellide, ecc.) è stato una lettura divertente.
E a proposito di semi, chiudo con un terzo consiglio letterario, ovvero l'ottimo Il Cigno Nero di Nassim N. Taleb. Tutto fluisce in modo circolare. Anche le profezie.

Harry

martedì 22 marzo 2011

In gita scolastica: quello che osservo quando osservo



Fermo nel centro di una cittadina, seduto su una panchina, sole e pranzo e vento e una fontana brutta, puntuta, circolare, inutile. Ricordo l'anno della costruzione. Ricordo di aver pensato che merda, quando fu inaugurata.
Il silenzio del vento e dello scorrere dell'acqua è interrotto da grida di bambini. Una classe elementare passa a sciame, cappellini gialli in testa, panini di McDonald's. Ai polsi di molti di loro pende una digitale. Molti si fermano, osservano e fotografano la fontanaccia. Disposizione d'animo, penso. Sono in visita a una città e la loro mente è programmata per ricercare cose belle, o più probabilmente, cose da fotografare. Logica da consumo, come in tutto. Neppure testimonianza. Il digitale, poi, tolto il peso del costo del rullino e della stampa, livella le scelte verso il basso: nel dubbio, scatto.

Cosa osserviamo quando osserviamo? Quando guardiamo un fumetto, muovendoci tra le vignette, quali scatti facciamo? Dove si ferma più a lungo il nostro sguardo, a memorizzare, interpretare, attribuire? Il nostro gusto, di dipendenti visivi, è livellato verso il basso? L'abitudine digitale, ripetizione identica a se stessa, senza supporto tangibile, come si riversa nella lettura di un tradizionale fumetto cartaceo? Cosa sfugge al nostro sguardo, perché abituati ad altro? Siamo in gita, quando guardiamo un fumetto, cappello giallo in testa e hamburger, più interessati alle relazioni sociali, a quella sensazione di libertà mista a eccitazione, che a riconoscere cosa realmente vale, rimane, persiste? In questo, nell'essere in gita, si può riassumere il concetto di evasione, di intrattenimento di questa post-modernità?

Harry

lunedì 21 marzo 2011

Se son Fior: giornalismo, critica e umanità

 disegno di manuele fior


Che piaccia o no, il 2010 è stato l'anno fumettistico di Manuele Fior. Lo dico da estimatore della prima ora del suo ultimo lavoro, e da detrattore della sua prima opera, Oltremare, che mi era sembrata vuota ed eccessivamente decorativa.
Siviero sul suo House Of Mystery mette il dito nella piaga del giornalismo generalista sul fumetto, evidenziando per l'ennesima volta approccio superficiale e pressapochismo. In pratica, dai suoi approfondimenti, si evince che l'intervista di Fior pubblicata dal Corriere della Sera è stata liberamente interpretata dall'intervistatore, virgolettando come parole dell'autore proprie considerazioni. Fa bene Fior a prenderne le distanze e puntualizzare, specificando che quelle scritte nell'intervista non sono le sue parole letterali.

Mi vengono in mente due pensieri. Il primo riguarda Siviero, di cui ho apprezzato l'attenzione al problema. Ma davvero, se le parole fossero state di Fior, ciò avrebbe tolto valore all'opera vincitrice a Lucca, Angouleme e nella Top Ten de LoSpazioBianco.it, come ha ironicamente esplicitato qui? Sembra una domanda banale, eppure credo sia importante tornare a riflettere sul rapporto tra l'uomo/autore e la sua opera. Certo, la riflessione è prosaica, in questo caso, visto l'errore del giornalista del Corriere della Sera. Ma l'ambivalenza che il rapporto autore/uomo/opera mette in atto mi ha sempre affascinato e inquietato. Buttandola su un piano più politico, e spostandoci nel mondo della letteratura, mi vengono in mente due nomi che generano da sempre in me tale ambivalenza: James Ellroy (di cui amo certi lavori ma stento a condividere anche solo un suo punto di vista politico) e, in anni passati, Louis-Ferdinand Céline (la cui opera ha ancora oggi una potenza e una portata innovativa straordinaria, a fronte di posizioni politiche di nuovo piuttosto discutibili).

La seconda questione, più semplice, ma forse ancora più grave, è la responsabilità gionalistica dell'autore dell'intervista. Attribuire all'interlocutore pensieri che non ha espresso è al limite della correttezza. Superficialità motivata dal soggetto dell'intervista (il fumetto), o una tendenza presente in una parte (rilevante?) del giornalismo nostrano?

Harry

Alcuni buoni motivi per leggere Grandville (6)



Grandville è un fumetto di genere e in quanto tale segue alcuni schemi precisi, ma senza mai banalizzare. Per esempio, verso al conclusione di Mon Amour, Talbot arriva alla soluzione finale attraverso un classico dialogo intuitivo tra i protagonisti, dove tutti i pezzi si mettono in ordine e il complotto emerge dallo sfondo. Oppure nella spettacolarizzazione (mai semplicemente decorativa) di alcune scene. Come in questo salto nel vuoto. Notare il movimento del capo degli astanti che seguono la caduta, con relativo cambio di espressione. Cura dei particolari.


Harry

(c) bryan talbot

domenica 20 marzo 2011

Politicamente scorretto

Ancora su Maakies.
Il politicamente scorretto è l’essenza di Maakies di Millionaire. A che serve la satira? A questo, a colpire e sovvertire i punti di vista. L’aborto è uno dei concetti forti e più ideologicizzati degli ultimi anni.
Val la pena attendere una cura?

Harry

(c) tony millionaire, da maakies, dark horse

sabato 19 marzo 2011

Alcuni buoni motivi per leggere Grandville (5)

Non ho amato molto l’uso della colorazione digitale e di photoshop in Alice in Sunderland, per quanto motivati da una ricerca e una necessità compositiva inedita e affascinante.

In Grandville Talbot gioca senza strafare, con un gusto tutto orientato alla resa dello scenario steampunk. Solo questo rende Grandville imperdibile.

Harry

(c) bryan talbot

venerdì 18 marzo 2011

Cattolico

Riprendo Maakies con una nuova mini-striscia.

Si parla di religione, di una particolare religione. O di quel che si crede riempia la religione di significato. Una parola, un mondo. O di quello che…
Insomma, io la faccio lunga ma Millionaire la fa brevissima. E questo lassismo paterno mi ha fatto ridere. Molto.

Harry
 
(c) tony millionaire, da maakies, dark horse

giovedì 17 marzo 2011

Alcuni buoni motivi per leggere Grandville (4)

Basta una sequenza per comprendere la grandezza di Talbot. La sua cura nei dettagli e la sua abilità nelle scelte di regia, si potrebbe dire, ma soprattutto in quella valutazione tutta fumettistica che sta nel decidere cosa inserire in ogni singola vignetta: la tecnica di Talbot scompare dietro al meccanismo narrativo, salvo riemergere a un’analisi più attenta.


Harry

grandville mon amour - pagg. 66-67-68 - (c) bryan talbot

mercoledì 16 marzo 2011

Il Dio del Tuono - una parodia


Dopo che Bottero e compagnia hanno fatto una parodia involontaria con la loro straordinaria scoperta filologica, ti propongo l’invenzione filologica di Leo Ortolani: la prima, dimenticata versione delle origini di Zoth, il Dio del Tuono. Per ricordarci che Ortolani resta il Dio della Parodia.

Questa breve storia di due pagine contiene tutto quel che serve a realizzare una parodia efficace, ovvero la riproposizione di luoghi comuni sedimentati in anni di storie supereroistiche e totalmente ridicolizzati attraverso la loro inversione. Il tutto, con una sintesi e una leggerezza inarrivabile.

Ricordo che le origini di Zoth, il Dio del Tuono sono contenute all’interno di Rat-Man 78, ovvero la prima volta di Rat-Man a New York, faccia a faccia con i suoi beniamini di sempre. La tetralogia di New York è al momento una delle cose più divertenti che ho letto di Ortolani in anni.
Prossimamente mi piacerebbe anche parlare dei disegni di terza di copertina di Rat-Man Collection, che vivono di una narrazione tutta loro.

Harry


tutte le tavole sono di leo ortolani da rat-man 78, panini editore (diritti riservati)

martedì 15 marzo 2011

Alcuni buoni motivi per leggere Grandville (3)


(c) bryan talbot

In Grandville Mon Amour, inedito in Italia, c’è un cattivo spaventoso, di quelli che ti prendono sempre alle spalle. Talbot lo tratteggia in modo schematico, in modo totalmente funzionale all’intreccio, salvo poi rivelarne il paradosso nel corso della storia. La sua cattiveria nascosta dal ruolo di soldato è in realtà pura perversione. È l’ipocrisia che prende sempre alle spalle.


Harry

pagg. 20-21


pag. 38



lunedì 14 marzo 2011

Un serial TV per Tex

 tex 602 - copertina di claudio villa

Se vuoi sapere come si costruisce uno showdown, leggi Duello nel Corral, la seconda parte di una storia di Tex di Boselli e Mastantuono. Trovi quello che serve: i tempi giusti, la tensione tra i personaggi, le ritualità, i tradimenti, e un movimento corale a raggiera che culmina in una sparatoria furibonda. Boselli e Mastantuono controllano tutto, in una regia sapiente, lucida, espressiva e chiarissima. Se fossi un canale televisivo statunitense, da questo Tex, da queste storie, proverei a ricavare un serial TV. Altro che gli zombie.

Harry

domenica 13 marzo 2011

Il gioco delle scoperte

 copertina di jack kirby collector #17


Il gioco funziona più o meno così.
Io scopro in una rivista che un tale ha fatto una scoperta filologica.
Siccome la rivista è straniera e sono passati un po' di anni dalla sua pubblicazione, immagino che in pochi sappiano di questa scoperta.
Quindi, dico che la scoperta è mia.
Il punto: se io scopro una cosa già scoperta da un altro, ma nessuno sa dell'altro, la scoperta è mia? O sto solo barando? E se qualcuno scopre il trucco?

Trovi tutto qui. Non ho voglia di riportare i fatti. Se vuoi, leggi di là.
Per necessità, riporto anche io il fumetto di Jack Kirby oggetto della questione intitolato The Last Enemy, fumetto libero da diritti e facilmente recuperabile in internet. Riporto anche la traduzione di Alessandro Di Nocera, spero me lo perdonerà, ma è utile a far circolare le idee, ché dopo un po' si fermano e puzzano.

Harry




TITOLO e vign. 1:

Il viaggiatore del tempo incontra strani amici nel mondo del futuro… e l’opportunità di sconfiggere… L’ULTIMO NEMICO!
Vign. 2:
Ho impostato la discesa del ”Cubo del Tempo” laddove avrebbe dovuto essere Montford, nel Connecticut… nell’anno 2514 d.C….
Vign. 3:
Dida.: Quattro anni di lavoro segretissimo nel laboratorio governativo avevano dato i loro frutti. Il Cubo funzionava… ma la gente non l’avrebbe mai saputo… fino a quando non fossi tornato…
Ball.: Nasconderò il cubo in questa grotta. Poi effettuerò una piccola esplorazione.



Vign.1:
Dida.: Mi trovavo in una foresta. In cinquecento anni ogni traccia della città di Montford era scomparsa!... All’improvviso mi ritrovai in una radura disseminata di… di TIGRI MORTE!
Ball.: Tigri! A dozzine… e indossano abiti!
Vign. 2:
Dida.: All’improvviso udii una voce alle mie spalle… Una voce dal tono squittente… Me ne resi conto quando vidi da chi proveniva…
Ball. 1: E’ stata una gran battaglia, signore. I grandi felini sono difficili da sconfiggere!
Vign. 3:
Ball. 1: T-tu… puoi parlare?
Ball. 2 : Oh, sì... La sua specie ci ha lasciato molte cose.... linguaggio… cultura… armi…
Vign. 4:
Ball. 1: Ma…
Ball. 2: Lei non dovrebbe essere vivo, signore. Qualcosa chiamato “guerra atomica” ha sterminato gli umani.
Vign. 5:
Ball. 1: E così, la Terra è rimasta agli animali…
Ball. 2: Qualcuno doveva pur ereditarla! E’ ancora un bel posto dove vivere, sa?
Vign. 6:
Dida: C’erano così tante domande da fare… Ma la consapevolezza della tragica fine dell’umanità era piombata talmente profondamente in me da lasciarmi stordito. Mi voltai verso la creatura quando la sentii sogghignare…
Ball. 1: Cosa c’è di così divertente?
Vign. 7:
Dida.: Le luci non scomparvero interamente dopo il colpo in testa. Avvertii il dolore ed ebbi una rapida visione del terreno che mi veniva contro…


Vign. 1:
Dida.: Potei solo intuire il resto…essere trascinato in una sorta di tunnel nel terreno… Quindi svenni…
Vign. 2:
Dida.: Se mai c’era stato un uomo davvero in trappola, ebbene quello ero io. Hammond Drake. Non potrei dire quanto in profondità mi avessero portato. Quando mi svegliai, stavo fronteggiando un interrogatorio…
Ball. 1: Quella luce… mi fa male agli occhi!
Ball. 2: quando ci dirai ciò che vogliamo sapere… la spegnerò!
Vign. 3:
Ball. 1: Che cosa dovrei dirvi per…
Ball. 2: Guardami! Non hai a che fare coi nostri antenati ancestrali! Noi pensiamo! Noi edifichiamo! Noi stiamo combattendo per dominare il pianeta… e col tuo aiuto possiamo vincere!
Vign. 4:
Ball.1: I nostri network di tunnel circondano l’intera sotto-superficie del pianeta! Di sopra, i cani e i gatti si contendono il predominio, e, al momento, siamo in attesa che gli uni distruggano gli altri.
Vign. 5:
Ball. 1: Ora, non dobbiamo più attendere… Non quando possiamo apprendere come fabbricare bombe atomiche!
Ball. 2: Bombe atomiche!
Vign. 6
Ball. 1: Sì! Tu ce lo mostrerai! Se non puoi… Viaggeremo indietro nel tuo tempo e troveremo qualcuno che possa insegnarcelo!
Ball. 2: Non capisco cosa intendi…
Vign. 7:
Ball. 1: Non prenderti gioco di me! Non sei giunto qui con un missile Pogo! La tua specie ha costruito una macchina del tempo… E tu sei il pilota! Adesso, dimmi dove hai nascosto quella macchina!


Vign. 1
Dida: Il piccolo diavolo era in gamba e da quello che si poteva capire dall’aspetto della sua specie… molto cattivo. Ma io mantenni il silenzio.
Ball. 1.: Non vuoi parlare, eh? Ma tu sai che lo farai! Abbiamo studiato i metodi degli antichi nazisti… li ricordi?
Vign. 2:
Dida.: In quel momento, una campana d’allarme entrò in funzione da qualche parte e un’ombra di terrore percorse la faccia dell’inquisitore…
Ball. 1: Un raid! E’ un raid!
Vign. 3:
Dida.: Non sapevo che cosa volesse dire. Ma speravo che fosse il miracolo per cui avevo pregato…
Ball. 1: Alla caverna principale… Svelti!
Vign. 4:
Dida.: Ma la caverna principale era già nelle mani degli invasori. Erano grossi e veloci come il lampo ed emergevano con organizzata precisione da un veicolo dalla testa a trapano che si era fatto strada attraverso i tunnel sotterranei. Era una visione che lasciava attoniti!
Vign. 5:
Dida.: Gli incursori indossavano una specie di lanciafiamme. Ma era gas ciò che fuoriusciva dalle bocchette che reggevano in mano. Coloro che mi tenevano prigioniero vennero dispersi e tutto quello che potei fare fu gridare e tossire mentre il gas mi avviluppava…
Vign. 6:
Dida.: Il mio ultimo ricordo prima di piombare al suolo è quello dell’ombrosa figura di uno degli invasori che incombeva su di me tra i vapori turbinanti…



Vign. 1:
Dida.: Mi risvegliai, inaspettatamente, in un soffice e confortevole letto. Mi sarei sentito benissimo se non avessi visto il cane, la volpe e l’orso al mio capezzale…
Ball. 1: Stupefacente! Un uomo… Un uomo vero!
Ball. 2: Fantastico!
Vign. 2:
Dida.: All’improvviso la porta della mia stanza venne spalancata da un grosso bulldog in uniforme militare. I miei ospiti saltarono sull’attenti quando entrò. Evidentemente li sopravanzava tutti in grado.
Ball. 1: Attenti!
Ball. 2: Riposo!
Vign. 3:
Dida.: Lo chiamarono generale… e si allontanarono rispettosamente quando richiese di lasciarci soli…
Ball. 1: Io… ritengo che le sia tutto di conforto, signore… Si sente meglio?
Ball. 2: Mi sono state prestate le cure migliori.
Vign. 4:
Ball. 1; E perché no? E’ come festeggiare il ritorno di un vecchio amico, giusto?
Ball. 2: Mi dica, generale…riguardo tutti questi combattimenti…
Vign. 5:
Ball. 1: Ahimè… I combattimenti!... Deve trovarlo triste. In ogni modo, il cane non combatte per soggiogare… Combatte per porre fine all’istinto naturale del nemico!
Vign. 6:
Ball. 1: In principio combattevamo contro tutti… Volpi, orsi, lupi! Ora, siamo alleati. Vede, è possibile sostituire la cooperazione al posto della paura e dell’odio!
Ball. 2: Forse può funzionare anche con i felini. Ma coi roditori, Io… io…
Vign. 7:
Dida.: Quella specie animale era differente e lui lo sapeva. Non solo crudele e perversa ma anche eccessivamente intelligente! Erano loro i grandi rivali. Alla fine, sarebbe stato il roditore contro l’intero regno animale!
Ball. 1: Sì. Saranno loro… o noi! Poi ci sarà pace per sempre.
Ball. 2: Penso che dovrei favorire la vittoria della vostra parte, generale!



Vign. 1:
Dida.: Intendevo proprio quello. La Terra sarebbe stata in buone mani con una vittoria della sua parte! Chiesi al generale di chiamare il capo dei suoi scienziati…
Ball. 1: Esatto! Voglio il direttore del dipartimento di fisica! Gli dica che il generale vorrebbe vederlo qui quanto prima!
Vig. 2:
Dida.: In presenza del generale e del suo principale esperto di fisica, scrissi quanto dovevo su un pezzo di carta.
Ball. 1: Qui ci sono la formula di base e la descrizione del processo… Ora tocca a voi!
Vign. 3:
Ball. 1: Non so se faccio bene a farlo! Vi lascio una pericolosa eredità e l’ultima testimonianza dell’uomo della sua fede in voi!
Vign. 4:
Ball. 1: E ora, darò un’ultima occhiata a questo mondo tramutato in un campo di battaglia e spero che voi non-umani svolgiate un lavoro migliore dell’uomo.
Vig. 5:
Dida.: Diedi il mio addio al generale e ai suoi colleghi. E lui si premurò che fossi ricondotto al luogo in cui ero apparso per la prima volta. Poi, rispettando il nostro accordo, fui lasciato da solo. Trassi fuori la macchina del tempo…
Ball. 1: Bene, torniamo al passato, Drake. Il tuo posto è tra gli uomini… anche se stanno per estinguersi!
Vign. 6:
Dida.: Entrai e presi posto ancora una volta davanti ai controlli…
Ball. 1: Mi chiedo se un altro uomo avrebbe dato loro la bomba atomica…
Vign. 7:
Ball. 1: Penso di sì! E’ meglio che il mondo vada ai cani che a una nidiata di astuti ratti!
Dida.: Lasciai che mi si disegnasse sul volto un sottile sorriso mentre il flusso temporale mi sospingeva nella mia corsa a capofitto alla conquista del mio destino… FINE.

Immaginari


Sento un urgente bisogno di rileggere Akira di Katsuhiro Otomo. Che la fiction resti fiction, e il Giappone sopravviva.

E nucleare? No grazie.

Harry

 

sabato 12 marzo 2011

La Top Ten 2010 de LSB

 disegno di reviati (particolare)


L'annuale Top Ten de LoSpazioBianco.it mi porta a tre cose (di cui una domanda):

- il fumetto italiano sa raccontare in modo vario ed eterogeneo;
- sbagliava Eddie Campbell quando parlava di graphic novel come di un movimento, ma non sbagliava quando sosteneva la necessità di un cambiamento dai contorni epocali;
- l'editoria a fumetti vive di grandi opere in piccoli editori o di grandi editori in piccole opere?

In questa classifica trovo che vi siano due intrusi. Il primo è Gardel e il secondo è Yeti. La loro presenza è comprensibile, ma non la condivido. Gardel mi sembra una delle cose meno ispirate del celebre duo Munoz e Sampayo. Di Yeti ho invece già parlato.
Dovrò invece recuperare Barcazza di Cattani.
Ma in chiusura mi chiedo dove siano Canemucco e Baru.

Harry

mercoledì 2 marzo 2011

Codici e mondi



Mi capita svariate volte, lo so, grazie anche all’approccio sempre più metafumettistico di molti degli autori che amo. Eppure ringrazio John Doe 5 di Recchioni e Genovese per avermi ricordato la questione del “linguaggio”,  dei “codici” o di come diavolo vogliamo chiamarli. A metà racconto, Genovese cambia stile, e ci immerge in sei tavole di puro Diabolik. Un’immersione che avviene dalla prima vignetta di quelle sei tavole, per quanto mi riguarda, e che mi ha colpito per l’efficacia e il cambio emotivo che sottende. Ecco, il fumetto seriale è spesso fatto di queste cose. Pensiamo ai fumetti Disney, per dirne una. Diabolik in questo è forse il più coerente e… rigido. John Doe no, John Doe ha un’eterogeneità talmente ampia che è difficile, per me, ritrovare un sostrato comune ai vari episodi. Scelte artistiche, difficoltà produttive e via dicendo. Punto di forza o punto di debolezza?


È di questo che ha voluto occuparsi Giancarlo Berardi con Julia, di questo codice comune, riconoscibile e trasversale alla serie che accompagna ogni storia e muove precise emozioni e aspettative. Un lavoro che come sai per anni ho sottovalutato e, perché no, poco compreso.
A marzo in edicola trovi Laura Zuccheri ai disegni di Julia. Lei è, per me, il canone di Julia. Ed è bravissima.
Per inciso, ti dico che John Doe 5 è la storia più divertente di Recchioni che mi è capitato di leggere in anni e che Luca Genovese è il complice perfetto. Puro talento.

Harry

martedì 1 marzo 2011

Panini diabolica?



Un amico mi racconta...
sta discutendo con il suo fumettaro di fiducia degli orrori di traduzione, lettering, ecc. di Planeta De Agostini, dopo avergli riportato gli ultimi due volumi di Hellblazer (leggi cosa ne dice smoky man qui e qui). Il mio amico sosteneva che il numero e la qualità degli errori è tale da poter ritenere quelle copie fallate. E che sono indice di una estrema superficialità del lavoro redazionale. Per questa ragione, le restituiva. Il fumettaro, persona di fiducia ed estremamente trasparente, ha accolto le copie e restituito i soldi. Concordando in linea generale col punto di vista del mio amico.

Poi il mio amico dice, hai mai visto errori simili nelle produzioni Panini Comics, quello che rappresenta a tutti gli effetti il principale concorrente di Planeta? Il paragone è corretto. Panini ha dimostrato in molti anni di lavoro un'attenzione a questo tipo di errori adeguata alla professionalità. Raro, rarissimo trovare fumetti con errori di ortografia, per non parlare di baloon in altre lingue o altre amenità.
Il fumettaro del mio amico però si accende. Panini Comics è il male, dice. Non farà quel livello di errori, dice, ma ha abituato negli anni i lettori a leggere le cose più brutte e confezionate nei modi peggiori. Per fare un esempio al mio amico, prende uno degli ultimi fumetti dei Vendicatori, con copertine a tre o quattro ante ripiegate, per fargli vedere come le pagine siano più grandi della copertina, che ripiegata non arriva a coprirle totalmente. Sì, pensa il mio amico, un lavoro davvero brutto. Un lavoro che Panini ha sempre fatto in quel modo. Necessità produttive, dice al fumettaro. Inaccettabili, risponde il fumettaro. Per non parlare, prosegue, della qualità dei manga che pubblica e della qualità di altre produzioni, come per esempio i 100%, a partire dai volumi francesi rimpiccioliti.

Si può concordare, eppure il paragone con Planeta non regge. Planeta pubblica un lavoro pieno di errori. Il lettore, consapevolmente, compra un prodotto e quando lo legge lo trova diverso da come dovrebbe essere. Fallato. Panini segue una linea editoriale, discutibile, ma prodotta con professionalità. Quello che vedi e ti aspetti osservando il prodotto all'acquisto, è quello che troverai leggendolo. Piuttosto, sta al lettore non acquistare un prodotto che non gli piace.
Il fumettaro però ribadisce, Panini è il male. Per colpa sua, i lettori si sono abituati a tutto.

Mi chiedo, tenendo ben saldo il rispetto che ho per la libertà di scelta dei lettori, della responsabilità all'acquisto che tutti abbiamo, da dove nasce questa percezione di un addetto ai lavori?
Il problema è legato all'insofferenza di doversi riempire il negozio di prodotti che non apprezza, a scapito di altri che lui valuterebbe più importanti, interessanti, perché in definitiva sono quelli che il lettore cerca? Oppure, esiste davvero un meccanismo di diseducazione al ribasso?

Harry


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La versione a fumetti di Harry è (c) di Daniel Clowes.